La nomina di Gentiloni alla Farnesina, ancora una volta immagine senza sostanza
La decisione a sorpresa di Matteo Renzi di designare Paolo Gentiloni (dallo scarnissimo se non inesistente curriculum al riguardo) a Ministro degli Esteri e della Cooperazione dopo la ridda di voci su eventuali candidate alla Farnesina, e seguita alla rampognata del Presidente della Repubblica al Presidente del Consiglio raccontata oggi da qualche quotidiano, non può passare inosservata. Anzi indica una serie di questioni politiche rilevanti, una in particolare. A prescindere dalle dichiarazioni retoriche o di facciata sulle varie emergenze internazionali, o ai cosiddetti “lip-service” (pure chiacchiere) rispetto al resto della politica estera, il Presidente del Consiglio non sembra avere chiaro che fare politica estera è una cosa seria. Non solo per l’immagine sua e dell’Italia nel mondo.
Ad oggi il semestre di presidenza italiano pare essere stato una mera opportunità di facciata per trattare “pro domo sua” rispetto alla legge di stabilità, ai parametri fissati dalla Troika, al tanto fantasticato piano Juncker di 300 miliardi di euro per il rilancio e la crescita. Giochi di numeri, percentuali, dati, scadenze, che rilevano come in realtà tra lo Jobs act, lo Sblocca-italia, la legge di stabilità si sta sferrando un attacco ad alzo zero su ciò che resta dei diritti sociali, ambientali, economici, e su ciò che resta del welfare. Una pantomima le cui ricadute alla lunga saranno durissime per tutti. Oltre questo e la nomina di Federica Mogherini ad Alto Commissario, abbiamo per caso sentito qualche parola su Gaza? (vale la pena rammentare che dietro le quinte la Farnesina assieme ad altri paesi europei sì mandò una lettera di dura protesta a Nethanyahu per i nuovi insediamenti a Gerusalemme Est) Sui kurdi? Sulle stragi nel Mediterraneo? Sull’urgenza di proporre una profonda revisione delle relazioni tra Europa e Maghreb? Nessun baloon d’essai rispetto ad una conferenza regionale per il Medio Oriente? Nulla. Magari un accenno al TTIP, da concludere il prima possibile, o accelerare, e da offrire sul piatto alla Commissione ed al fido alleato d’oltreoceano. O un timido accenno del sottosegretario Gozi, convinto federalista – così en passant – sulla necessità ora, a due mesi dalla scadenza della Presidenza italiana – di porre mano ad una revisione dei Trattati. Non è solo una questione di silenzio mediatico. È il sintomo preoccupante che le relazioni internazionali del Paese possano essere sacrificate alla frenesia comunicativa, all’ossessione di rottamazione. Il capo decide, nel toto ministri, ma decide così all’ultimo come se questa decisione riguardasse una casella da riempire per la sua squadra non una decisione di merito e di capacità. Imbarazzante. Come imbarazzante fu la visita in extremis in Iraq mentre il Ministro Pinotti stava annunciando la decisione di inviare armi ai kurdi, senza ancora avere consultato il governo irakeno. O la mossa malandrina di rendere pubblica la lettera di Barroso con le “conditionalities” da imporre all’Italia. Un atto di insubordinazione che forse a prima vista potrebbe anche attrarre simpatie, ma Renzi non é né Assange né Snowden, che pagano con la oro pelle le loro scelte. Ultimo ma non da meno, va ricordato un fatto.
Il vero conflitto sottotraccia che probabilmente né il Presidente della Repubblica né Renzi vorranno risolvere, è quello che vede la Farnesina progressivamente in subordine rispetto alla Difesa e semmai ai ministeri economici e produttivi. A maggior ragione con un ministro “debole” e senza esperienza. Ossia un progressivo cedimento di sovranità sulla politica estera alle armi ed al mercato. Ma questo non sembrerebbe un criterio per informare la decisione di Renzi troppo preoccupato di dar prova di grande innovazione sulla scia del “politically correct”, che alla fine si trasforma in quella che un tale Velleio Patercolo in tempi di Roma antica definì, “imago sine re”, immagine senza sostanza.
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