La questione sociale e i ritardi dei governi
Non accenna minimamente ad arrestarsi lo spopolamento della Basilicata, facendo registrare oramai da anni una media del -0,3% annuo (Svimez). Siamo di fronte a una regione che perde i suoi residenti, i quali si trasferiscono altrove per motivi di studio e di lavoro. Più del 30% di questi ‘nuovi’ migranti del lavoro sono in possesso di una laurea: dato che mette in evidenza come la Basilicata si lasci sfuggire le ‘menti’ migliori, le competenze specializzate, su cui sono state investite risorse e che dovrebbero essere valorizzate sul territorio.
A rendere ancora più preoccupante il quadro sociale che abbiamo di fronte sono i dati che vengono dall’occupazione, lì dove registriamo un vero e proprio fallimento del Jobs Act, come mostrano i dati dell’Osservatorio sul precariato dell’Inps per i primi sette mesi del 2015 e che evidenziano come, tra entrate ed uscite, siamo di fronte a soli 8.207 posti di lavoro generati, e che per la gran parte rimangono a termine (nonostante la retorica del Jobs Act come strumento di stabilizzazione). Dati che rafforzano la denuncia fatta in questi giorni dal sociologo Luca Ricolfi circa il massimo storico raggiunto dal precariato a oltre un anno dell’entrata in vigore della controriforma del lavoro. A cui si aggiunge anche l’allarme della Corte dei Conti sui rischi che gli sgravi contributivi introdotti dalla legge di stabilità a complemento del Jobs Act possano pesare negativamente sui conti dell’Inps e dello Stato, soprattutto di fronte agli esigui numeri occupazionali fin qui registrati. Un doppio rischio, quello denunciato dalla Corte: da un lato il rischio che prevalgano le trasformazioni di contratto sui nuovi contratti (quindi senza reale incremento occupazionale); dall’altro il rischio che gli assunti col nuovo contratto e, quindi, con gli incentivi statali, siano licenziati al termine dei tre anni e che, pur in assenza di contributi effettivamente versati (appunto gli incentivi medesimi), chieda – com’è naturale e giusto che sia – la cassa integrazione (che, ricordiamolo a scanso di equivoci, è uno strumento di parziale tutela che i lavoratori subiscono e che rende assolutamente incerto il loro futuro).
Narrazioni, quelle che vengono dal governo nazionale, e occultamento del vero nodo della questione sociale e lavorativa, lì dove anche il tema della precarizzazione e della facilità di licenziamento – introdotto dalla eliminazione dell’art.18 – ne nascondono un’altro: quello del peggioramento delle condizioni materiali di lavoro che oggi si nutre proprio della ricattabilità maggiore.
Così come narrazioni sono quelle ripetute dal governo regionale, utili a riprodurre propaganda di potere, lasciando sempre più soli quante e quanti pagano quotidianamente il prezzo più alto di questa crisi. Continuano a mancare risposte serie a quante e quanti rimangono fuori, per l’anno in corso e per quelli a venire, dalle parziali – eppur necessarie – misure volte ad assicurare un reddito minimo. Basti pensare come ad oggi non vi siano certezze per gli ex Copes che rimangono fuori dalle graduatorie del Reddito Minimo d’Inserimento, strumento concepito ancora una volta per separare le platee e generare una guerra tra poveri (non è un caso che il governo Renzi abbia impugnato, davanti al Consiglio di Stato, una sentenza del Tar Lazio che escludendo l’assegno Copes dal calcolo dell’Isee).
Continuano a tardare azioni volte a cambiar il volto di una formazione che, in Basilicata – come emerge dal rapporto Excelsior di questi giorni e presentato da UnionCamere – ha finora saltato tutti gli appuntamenti con le reali esigenze del mondo del lavoro, così come continua ad assordare il silenzio delle istituzioni regionali sulle crisi industriali ancora aperte.
Vi è una vera e propria emergenza sociale, all’interno della quale continua a crescere la platea di quanti – e quante – vivono a ridosso della povertà. Non è più il tempo delle narrazioni e della propaganda, così come sono diventati insopportabili lo scaricabarile continuo e il rimando continuo a un tempo supplementare. Oggi servono risposte urgenti che possono stare solo all’interno di un quadro coerente e di lungo raggio, ma che purtroppo continuiamo a non vedere.