La religione e l’Oppido dei poveri!
Ci sono notizie che, durante l’estate, assumono una rilevanza mai avuta in passato. In alcuni casi in realtà anche l’espressione “notizia” appare eccessiva perché in Calabria, come in Sicilia e in Campania, che le processioni religiose abbiano avuto (e spesso abbiano tuttora) un coinvolgimento economico, di “rispetto” e di potere da parte delle mafie è cosa saputa e risaputa. Sia dalle comunità che ospitano questi riti sia dalla Chiesa, sia dalla stampa sia dall’opinione pubblica generale.
Questa volta per il caso di Oppido Mamertina dove, durante la processione, la statua della Madonna è stata “costretta” a un inchino davanti alla casa del boss s’è voluto creare il caso. E va bene, perché vale sempre la logica del “meglio tardi che mai”.Probabilmente le parole inequivocabili di Papa Francesco hanno aperto davvero un varco sociale e mediatico su questo tema. Purtroppo però la reazione della stampa e delle istituzioni, religiose e civili, che si è determinata davanti a questo clamore a mio avviso è sbagliata.
È del tutto incomprensibile l’atteggiamento generale di ipocrita stupore di fronte a quello che accade sotto gli occhi di tutti in una parte significativa del territorio italiano. Ed è inaccettabile la logica per cui se esistono parroci e comunità compiacenti nei confronti dei boss si possa risolvere tutto annullando le processioni, come ha annunciato il vescovo della diocesi di Oppido.
Perché bisogna privare di un rito religioso, di una tradizione un intero territorio a causa di un parte di connivenza. Qual è il messaggio che si trasmette? La resa. Non sappiamo come intervenire, o peggio non vogliamo intervenire (eppure alcuni sacerdoti il problema lo hanno affrontato e risolto molti anni fa), e liquidiamo il problema attraverso la privazione per tutti.
Se l’Expo di Milano è infiltrata pesantemente dalla ‘ndrangheta la risposta è non farla? Chiaramente no. Perché il meccanismo della resa vale soltanto dentro il perimetro calabrese. Come è accaduto per i migranti di Rosarno nel 2010: scoppia la rivolta e invece di individuare la responsabilità di chi imbracciando le mazze fa la caccia al nero si mettono i migranti su un pullman, si mandano via e si risolve così il problema. Non ne faccio una questione di immagine. Anzi, non la sopporto più la retorica di chi mette in mezzo l’onorabilità dei buoni calabresi. L’immagine è compromessa da tempo e non è mettendo la polvere sotto il tappeto che migliorerà.
Tra qualche giorno andrò in Aspromonte, a Pietracappa, per ricordare insieme alla famiglia Lollò Cartisano, fotografo di Bovalino, in provincia di Reggio Calabria, sequestrato e ucciso perché aveva denunciato i suoi estorsori. Questo appuntamento il 22 luglio di ogni anno raccoglie tante e tanti giovani di tutta Italia che ascoltano le storie delle vittime dalla ‘ndrangheta dalla viva voce dei familiari: un’immersione dentro un pezzo della Calabria più bella. Ricordo che qualche anno fa, insieme all’associazione antimafie daSud, quando a questa processione laica partecipavamo in pochi, un’istituzione di San Luca nell’augurarci buon cammino rivolgendosi alla famiglia Cartisano disse: “Ricordare Lollò va bene perché è roba nostra, ma toglieteli i nomi delle altre vittime. Non sono stati ammazzati qua e i turisti si impressionano”. Quei nomi sono ancora lì perché è così che si fa antimafia.
Commenti
-
alberto ferrari
-
Edoardo
-
alberto ferrari
-
francesco
-
alberto ferrari
-
ophios