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Martedì, 18 febbraio 2014

La riforma che manca è quella da cui partire

astolfo

Nel nano secondo in cui l’Ottovolante è transitato dalle parti del Quirinale, il Renzi è stato chiaro, lapidario. D’ora in poi, una riforma al mese. Nell’ordine: legge elettorale, a febbraio. Lavoro a marzo. Pubblica amministrazione in aprile. Fisco a maggio. E’ risalito sul convoglio e prima di riprendere il volo verso l’orbita siderale ha fatto in tempo ad aggiungere quella che sta diventando ormai la sua frase di rito, quella che chiude tutti i suoi discorsi indipendentemente dall’argomento che toccano: “O si fa così, o si va tutti a casa”.

In questo preciso momento l’Ottovolante non si sa dove sia, ma lo si dà per fermo da qualche parte in attesa che salgano a bordo ministri e sottosegretari. La sosta durerebbe, a quanto si dice, una settimana e già i conti non tornano. Il tempo di riaccendere i motori, planare sulle Camere per il giuramento e siamo a fine mese. Vorrà dire che a marzo anziché una avremo ben due riforme, così si potrà cominciare subito con un record. E i ministri, i sottosegretari, quanti saranno? Per adesso lo scoglio è sui nomi, dato che tutti quelli che sono andati in questi anni alla Leopoldina a dire come rivoltare l’Italia, al momento di poterlo fare si sono affrettati a dirgli di no. Sul numero si tace, ma noi siamo sicuri che il Renzi è uomo di parola, come ha dimostrato con quel “stai sereno Enrico” due giorni prima di affidarlo del tutto alle sue pratiche zen dalle parti del Testaccio.

La sua parola il Renzi l’ha data nel pubblico dibattito televisivo dei candidati alle primarie e quella adesso ci attendiamo: “Se ci sarà un governo da me presieduto avrà solo dieci ministri e dieci sottosegretari, non uno di più, metà donne e metà uomini”. I numeri, del resto, parlano sempre da soli e parlano una lingua sola, tranne quello più misterioso di tutti, lo zero. E i numeri ci dicono che governare quattro anni al ritmo di una riforma al mese equivale a realizzare in Italia, entro la legislatura, quarantotto riforme. Quarantaquattro se teniamo fuori dal calcolo il mese d’agosto, ma questo particolare non è ancora chiaro. Nessuno più di noi prende sul serio le cose che dice il nuovo premier e proprio per questo vorremmo chiedergli l’elenco completo, così da poter decidere con cognizione di causa come votare tra una settimanella alle Camere. Dovrebbe essere quella, infatti, stando al ritmo extracircadiano impresso dal Renzi alla politica italiana, l’ultima occasione che il Parlamento avrà a disposizione per dibattere.

Una riforma al mese è materialmente possibile a una sola condizione: che tutto si faccia per decreto, cioè con i tempi per il dibattito parlamentare uguale a zero, al misterioso zero. La cosa funzionerebbe in pratica così: Renzi e i suoi ministri presentano all’inizio del mese la riforma di turno, dieci giorni dopo i parlamentari senza averla discussa l’approvano, verso il venti del mese il presidente della Repubblica firma il decreto, entro l’ultimo venerdì il testo è già in Gazzetta Ufficiale. Altro mese, altro giro. Diciamo allora la verità: “riforma” è parola che sta diventando stucchevole, comincia a dar fastidio a sentirla solo pronunciare. A farlo ogni sacrosanto giorno, negli ultimi anni, sono stati tra gli altri Berlusconi, Tremonti, Sacconi, Brunetta, Alfano, Monti e Fornero. I risultati sono noti. Renzi, se vuole essere per l’Italia la speranza che evoca, usi questa parola insieme ad altre due: intellettuale e morale.

Il paese ha bisogno di una grande riforma intellettuale e morale, punto. Non gli si chiede di rivisitare Gramsci, con tutto quel che ha da fare in questi giorni. Gli si chiede di non girare a vuoto con l’Ottovolante in orbita siderale, di individuare un luogo adatto della penisola su cui atterrare e di andare incontro al dolore del proprio paese e al suo bisogno di futuro senza doverlo inondare ogni momento di effetti annuncio. La prima, vera riforma, comincia qui.

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