La Sinistra che vorrei
Oggi Bertinotti ci spiega che la sinistra è morta. Se fosse così lui non sarebbe certo esente da colpe, mi pare chiaro. Ma la sinistra non morirà, con buonapace sua e dei tanti come lui che l’hanno sempre più predicata che praticata. Empatizzare con le sofferenze degli altri e combattere per il loro superamento, stare dalla parte di chi ha e di chi sa di meno, battersi per una società solidale. Che si chiami “Sinistra” o “Giustizia sociale” o “Arturo” questo approccio politico non morirà, neanche nelle postdemocrazie.
Il punto è che nel frattempo, e in questo Bertinotti ha ragione, negli ultimi 20 anni non è stata più la sinistra in questo Paese a dare voce agli ultimi, alle persone normali, alla loro disperazione e solitudine. Per questo si vota Grillo ma anche Renzi e Berlusconi (che per me non si somigliano). Perché noi non parliamo più da molto tempo la lingua delle persone, non sappiamo più entrarci in contatto. Per questo è giusto interrogarci oggi su quali siano le forme che la sinistra deve assumere per svolgere ancora un ruolo in questo Paese. Per questo è tutta in salita la strada di chi oggi ha voglia di continuare a battersi contro il moderatismo, contro le larghe intese, contro l’austerity, contro le compatibilità del conformismo e a favore di politiche espansive ed inclusive. Non però sventolando una bandierina da soli, sentendosi dei reduci, “abitando i luoghi del conflitto” (ma quale??) per poi non essere capaci di riconoscere quelli veri di conflitti, quelli silenziosi, i conflitti della cassiera del Despar sotto casa.
La sinistra che vogliamo è una sinistra ecumenica, aperta, laica, non elitaria o identitaria, che parli a tutti, al popolo dei democratici, che riscuota consenso anche in periferia e in provincia e non solo al centro delle grandi città. Per fare questo serve trasparenza, partecipazione, inclusione. Tanta tanta modestia. Va bene quello che di buono c’è stato nella lista T sipras, va bene Sel, vanno bene i movimenti, va bene tutto. Ma basta patenti di chi è più bravo, di chi è più furbo, di chi è più conflittuale, di chi è più incompatibile. Io voglio essere compatibile con il mondo, con la gente diversa da me, con la bellezza della vita. Basta con la sinistra delle avanguardie, della militarizzazione dei linguaggi. Basta con la sinistra dei workshop, degli interventi uno in fila all’altro senza mai una sintesi, del parlarsi addosso.
Io voglio un posto che possa essere abitato da tutti, anche da chi in una sezione di partito o in un collettivo non ha alcuna voglia di metterci piede perché c’ha altro da fare. E stavolta, se è di sinistra che stiamo parlando, giochiamola all’aperto la partita, con i tanti che un certo tipo di sensibilità e consapevolezza l’hanno costruito nel corso di questi anni. Non per ricostruire il mausoleo funebre di una sinistra di cui non frega più niente a nessuno, ma per far rivivere certe istanze nella società e dove possibile nel governo delle istituzioni. Ruoli contendibili, confronti aperti, decisioni condivise, spazi plurali. Diamo voce a punti di vista innovativi, alle biografie, alla voglia di fare. Se c’è uno spazio da cui può ripartire l’alternativa per il paese e la possibilità di costruire egemonia culturale e politica a sinistra fuori dai leaderismi è proprio lo spazio dell’inclusione, della trasparenza, della contaminazione. Sfidiamoci su questo, non può che farci bene.
Enrico Sitta, rete Tilt!
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