La sinistra. Le ragioni di una vita e l’equivoco della contemporaneità
“L’indipendenza del pensiero, l’autonomia e il diritto all’opposizione politica sono stati privati della loro fondamentale funzione critica. […] Oggi è il sostrato dei reietti e degli sfruttati a poter rappresentare, come una volta il proletariato, la coscienza più avanzata dell’umanità e la sua forza più sfruttata.”
Così scrive Herbert Marcuse nel 1964 in quello che diventerà uno dei testi cardine del ’68, L’Uomo a una dimensione.
E’ stata questa una sorta di profezia di lungo periodo se proviamo a traslare tali concetti alla nostra dimensione contemporanea che, è giusto sottolinearlo, vive di latitudini e di spazi completamente diversi ma anche in parte uguali. La fine del secolo breve, riprendendo la categoria di Hobsbawm, ha coinciso con l’esaurirsi della parabola del socialismo reale e con il crollo dell’Unione Sovietica. Questa è la prima cesura della dimensione contemporanea che ha portato la sinistra alla negazione tout court di sé stessa e delle sue radici senza salvaguardare l’immenso patrimonio culturale e di lotta rappresentato dal movimento operaio e comunista italiano nella sua storica diversità da quello sovietico. E’ quello il tempo dell’infingimento, dell’assuefazione per alcuni e del ritorno alla dimensione individuale, dopo la percezione della sconfitta, per altri.
E’ quello il tempo del cambiamento di pelle, è quello il tempo delle divisioni, è quello il tempo in cui si giudicano come errori le ragioni di una vita di molti. Inizia a essere quello il tempo degli orfani politici. Un concetto prima assente entra a far parte del vocabolario della sinistra. E’ il concetto della governabilità, è il concetto del governo slegato ora da una reale prospettiva di diversità. E’ l’ingresso nella “stanza dei bottoni” di nenniana memoria. Inizia la nuova parabola del centro-sinistra nella cosiddetta Seconda Repubblica (nuova perché, come si ricorderà la formula del centro-sinistra viene inaugurata nei primi anni ’60 da Dc e Psi e vede l’esclusione e l’opposizione dei comunisti). Sono gli anni delle grandi speranze deluse. Sono gli anni in cui la sinistra socialista in Europa viene rapita dalla Terza via del New Labour di Tony Blair. In Italia questo corrisponde all’assunzione del liberalismo anche da parte della sinistra che inaugura la stagione della liberalizzazione/precarizzazione del lavoro col Pacchetto Treu, con l’equiparazione delle scuole paritarie a quelle pubbliche. Sono del centro-sinistra guidato da Massimo D’Alema i primi attacchi virulenti al Sindacato nel suo ruolo di corpo intermedio. Sono gli anni della guerra in Kosovo.
La seconda cesura della contemporaneità cade come un’accetta nella splendida cornice di Genova l’estate del 2001. Il popolo di Seattle e di Porto Alegre si ritrova in Italia al G8. E’ quello un movimento molto plurale ed estremamente creativo dal punto di vista dell’analisi politica e culturale. Le ragioni di quelle esistenze vengono recise insieme alla vita di Carlo Giuliani. La Repubblica Italiana torna a morire dopo Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Bologna, di nuovo a Genova. Muore nella scuola Diaz, muore a Bolzaneto. E da lì di nuovo il ritorno nelle proprie individualità. Si continua, ma ci si sente tranciati a metà nella propria esistenza, quasi menomati nell’anima e nel cuore.
Mi si perdonerà un excursus così prolisso, ma ritengo sia fondamentale metodologicamente, recuperare la capacità di elaborare e analizzare i contesti, tornare ad analizzare la complessità.
La nascita di Sinistra, ecologia, libertà avviene quindi in questo contesto disastrato con l’obiettivo di ricostruire in Italia una sinistra ampia, plurale, autonoma, alternativa alle politiche liberiste e in grado di sfidare il Partito Democratico in un corpo a corpo politico e culturale. La frase simbolo con cui nasce Sel “Non vogliamo rifare un partito, vogliamo riaprire la partita” recava con sé un errore concettuale in quanto poneva in contrapposizione due assunti in realtà assolutamente complementari fra loro. Sinistra, ecologia, libertà, è stata capace di interpretare un ruolo e di darsi una missione concreta fin dall’inizio seppur con degli equivoci di fondo che, rimasti latenti, hanno portato alle contraddizioni di oggi.
L’equivoco di fondo era rappresentato da due filoni interpretativi del ruolo di Sel: Sel come motore per la costruzione di una sinistra ampia, plurale, autonoma e in grado di porsi la sfida del governo come sfida politica e culturale; Sel come intercapedine del Partito Democratico con la prospettiva di una naturale riunificazione. Quando Sinistra,ecologia, libertà è stata capace di ingaggiare una battaglia frontale col Pd proponendosi nella sua alternatività concettuale e culturale ha vinto le proprie sfide. L’emblema di questo è la vittoria del referendum sull’acqua e la battaglia sui beni comuni in cui Sel è stata capace di proporsi come soggetto politico protagonista, in un rapporto privilegiato coi movimenti, di una battaglia politica e culturale che rappresenta oggi uno dei nodi centrale nell’elaborazione concettuale della sinistra che verrà. La sfida culturale ha portato Sel a conquistare anche molti comuni, fra cui Milano, Cagliari, Rieti, Lamezia Terme, Priverno; esempi di laboratorio politico e culturale applicati all’amministrazione pubblica.
I problemi che oggi vive Sel hanno radici lontane. La fuoriuscita di 10 parlamentari non è assimilabile a una scissione interna. Le scissioni interne sono momenti molto più profondi, complessi, lungi, ma soprattutto partecipati e partecipativi. Le radici di tutto ciò affondano nella costituzione del governo Monti. La partecipazione del Pd a quell’operazione ha sancito di fatto la sconfitta politica di Pierluigi Bersani e con lui la nostra. Il modesto progetto di Italia Bene Comune non è mai decollato a causa della campagna elettorale rinunciataria condotta dal Pd da un lato, e dall’esaurimento della nostra spinta, consumatasi nella contraddizione tra l’aver fatto opposizione al governo delle larghe intese sostenuto dal Pd e l’essere in alleanza con quello stesso partito, logorata anche dalla presenza di Antonio Ingroia col quale non si è voluto neanche tentare un approccio.
Il magro risultato e le susseguenti larghe intese col caimano spingono Sel all’opposizione. Nasce qui l’ennesimo equivoco di fondo tra chi ritiene necessario praticare un’opposizione dura, ma al tempo stesso costruttiva, e chi vive emotivamente male il relegamento all’opposizione e vorrebbe al più presto rientrare in maggioranza. L’avvento di Matteo Renzi costituisce il momento di esplosione delle nostre contraddizioni interne. Il Congresso di Riccione ha avuto il demerito di condurre una discussione ingessata in unico documento frutto di un lavoro di sintesi ormai inapplicabile. La scelta di praticare la Lista Tsipras viene mal digerita ma non apertamente contrastata al Congresso. L’unica scelta possibile. E’ bene sottolinearlo. Nello scenario delle quasi certe larghe intese continentali e all’indomani dell’annuncio da parte di Renzi dell’Italicum, la scelta della Lista Tsipras era l’unica possibile e la più giusta, seppure con tutti i suoi limiti. Con Alexis Tsipras infatti la sinistra radicale esce dai gangli della pura testimonianza e compie un’operazione di egemonia culturale nella società ponendosi il tema del governo senza perdere la sua radicalità.
Le ragioni della divisione di oggi vivono però nel diverso giudizio attribuito al renzismo fra chi ritiene che il premier rappresenti una possibilità di declinazione per la nuova sinistra e chi non si arrende al conformismo imperante; fra chi ritiene che il futuro del lavoro sia il decreto Poletti e chi non si arrende alla precarizzazione, ormai divenuta, esistenziale; fra chi ritiene prioritario abolire il Senato e accoltellare la Costituzione e in nome della governabilità mira a reprimere le minoranze e la rappresentanza, e chi ritiene che il tentativo in corso conduca a una svolta autoritaria, citando Stefano Rodotà, anticostituzionale.
La sfida che Sinistra, ecologia, libertà ha oggi di fronte è di natura culturale, prima che politica. La sinistra che verrà deve tornare ad affondare le proprie radici nel proprio popolo, in quella che un tempo si sarebbe chiamata “classe”; deve ricostruire una propria identità, che è strumento necessario per riconoscere se stessi e per farsi riconoscere; deve affondare le proprie radici nei conflitti e nelle vertenze, nella consapevolezza che il conflitto è strumento necessario per il miglioramento delle relazioni democratiche; deve tornare ad essere termometro della società; deve tornare a rappresentare e ad essere per questo rappresentativa; deve riprendere a studiare le fenomenologie della società contemporanea, lottare per fornire a tutti gli strumenti di studio e non rinunciare a esercitare quell’indipendenza e autonomia di pensiero e di opposizione che oggi, più di ieri sono privati della loro fondamentale funzione di critica.
Francescopaolo Palaia,
Segretario Circolo Sel “Alberone” Roma
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