L’alternativa alle larghe intese comincia fuori da noi
Qualche giorno fa Alessandro Gilioli, blogger de l’Espresso, ha scritto un articolo in cui si chiedeva che senso ha per persone come Marco Furfaro (Sel), Pippo Civati(Pd) e Simone Oggionni(Prc) continuare a stare nei propri recinti di fronte al cementarsi delle larghe intese e invitava i suddetti ad assumersi la responsabilità di prendere parola e immaginare il futuro. Ecco la replica di Marco Furfaro.
Le elezioni sarde consegnano alla politica due dati importanti e ineludibili. Il primo: in Sardegna il centrosinistra vince ed è più di una bella notizia. Perché dimostra ancora una volta che per giocarsi la partita bisogna essere alternativi alla destra, non conviventi con la destra. In questi giorni di scoramento, per la distruzione del centrosinistra e il probabile governo di larghe intese tra Renzi e Alfano, questo risultato dimostra che non solo la sinistra è determinante, ma che le persone vogliono scegliere tra destra e sinistra. E quando la partita in gioco è chiara, e il centrosinistra è innovativo e credibile, vince la sinistra.
Il secondo: la drammatica crisi della rappresentanza. La scarsa affluenza segna una volta ancora una frattura sociale enorme. Persino la vittoria del centrosinistra rischia così di essere una vittoria “mutilata” dall’astensionismo. Ma è una crisi che oramai viene perseguita e fomentata da almeno tre anni, durante i quali nessun cittadino o cittadina italiana si sente più rappresentato da governi nati “per emergenza”, “perché ce lo chiede l’Europa”, “per fare le riforme”, “per uscire dalla crisi”. Accusando tutti quelli che sottolineavano l’incapacità dei governi tecnici o di larghe intese di essere pericolosi sovversivi.
Ancora una volta, la vita reale non è compresa in quello che sta accadendo in questi giorni. Non se ne parla nel Palazzo, viene ignorata dal circo mediatico che preferisce parlare del tipo di auto con cui arriva Renzi a Roma o degli scherzi telefonici fatti a più o meno probabili ministri. Oppure, ancora peggio, quella vita viene strumentalizzata senza ritegno: si fa il governo per la “gente che non capirebbe il ritorno al voto”, salvo poi constatare che non c’è sondaggio che non mostri l’assoluta irritazione dell’elettorato di fronte a questa aberrante manovra di palazzo.
In questo, chi rischia di rimanere fuori sono le persone. E con le persone, la sinistra – intesa come prospettiva, lotta contro le disuguaglianze e le opportunità – non solo quella istituzionalmente intesa. Quella sinistra che vorrebbe rappresentarne le ansie, le debolezze, le fragilità, possibilmente dando risposte che trasformino la disperazione che diventa rabbia e populismo in speranza e prospettiva di futuro.
Per questo, ringrazio Alessandro Gilioli per il suo post, che nella sostanza invita il sottoscritto, Pippo Civati e Simone Oggionni, ognuno di noi iscritti a partiti diversi, a tenere conto di quanto sia incomprensibile all’esterno il fatto che stiamo in luoghi separati e di prenderci la responsabilità di non rimanere in silenzio.
Ho profondamente a cuore il centrosinistra. Non perché abbia mai particolarmente amato i suoi gruppi dirigenti – anche quelli della cosiddetta “sinistra” del PD, che di sinistra sembra gli sia rimasta solo la biografia – ma perché ho sempre inteso, come obiettivo e come prospettiva, il centrosinistra come un “campo largo” sgombro dalle rendite di posizione dei suoi dirigenti ma affidato, al contrario, al protagonismo dei suoi iscritti, militanti, elettori. Sono da tempo convinto che un contenitore del genere sarebbe rivoluzionario: tante persone, associazioni, collettivi potrebbero coltivare il proprio protagonismo come un valore aggiunto per tutti, dando battaglia politica per l’egemonia politica e culturale ma affidandone poi alle singole persone le decisioni più importanti. Se avessimo fatto questo, ci saremmo risparmiate le infinite discussioni con Fioroni e Binetti sui matrimoni gay, così come quelle sugli F-35, sul reddito minimo garantito, sul fiscal compact, sull’articolo 18. Perché, come cantava De Gregori, “quando si tratta di scegliere e di andare, la gente sa benissimo cosa fare”. E i risultati degli ultimi anni – dalle primavere dei sindaci ai referendum – lo dimostrano: quando il centrosinistra è una speranza, un’idea innovativa e radicale, scatena la partecipazione e vince. Renzi e le manovre di palazzo, per quanto visto fino ad oggi, seppelliscono quella speranza.
Per questo penso che sia venuto il momento di dare forza all’idea che anche se il gruppo dirigente del Partito Democratico intende cementificare le larghe intese, c’è ancora chi crede nella possibilità di ricostruire un campo aperto, plurale, che abbia un profilo tanto di cambiamento radicale quanto di governo possibile.
Un campo largo di tutti coloro che hanno a cuore la ricostruzione dell’alternativa. Questo vorrei dire ad Alessandro Gilioli e in particolare a Pippo Civati, Simone Oggionni e a tutti coloro che, più che il futuro della sinistra, hanno a cuore il futuro del Paese e dell’Europa: lanciamo una sfida e il campo iniziamo a costruirlo. Non semplicemente tra di noi, ma a cominciare da chi si astiene, chi rinuncia, chi non partecipa più perché stanco delle giravolte di questo ceto politico. A cominciare dalle giovani generazioni che vogliono cambiare la loro vita precaria e quella degli altri. Proviamoci. Cosa abbiamo da perdere?
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