L’aspettavamo dagli anni Settanta
Un’esponente del Pd, suppongo una parlamentare, di cognome forse Puglisi, nella puntata particolarmente ululante di Agorà di questa mattina sul Jobs act e affini, ha detto a gran voce e con un’enfasi degna di miglior causa- ma del tutto congrua con il suo modo di esprimersi – che finalmente siamo arrivati al Jobs act perché era dagli anni Settanta (del secolo scorso immagino), che la stavamo aspettando. L’esponente piddina è una giovane signora, suppongo che in quel decennio fosse al massimo adolescente o forse neanche, quindi la sua esternazione potrebbe sembrare paradossale. Chi aspettava che cosa?. Ma non è paradossale. Evidentemente la signora in questione ha studiato la filiera ideologica e storico-sociale da cui scaturisce la vision del premier, che lei con tutta evidenza condivide.
La filiera del cambio di passo alla storia imposta dagli attori internazionali protagonisti della svolta neoliberista, che via via ha cambiato moltissime cose e che, nella combinazione con la crisi economico finanziaria degli ultimi anni, sta mandando l’Europa – e non solo l’Europa – in malora. Verso la fine degli anni Settanta cominciò anche in Italia la controffensiva dei sostenitori del nuovo corso: troppo welfare, troppo pubblico, troppi diritti del lavoro, troppe chiacchiere parlamentari e poca governabilità. Il primato dell’esecutivo divenne da allora il mantra e la crisi dei partiti e della politica, con tutto il seguito di corruzione, scandali, pivilegi odiosi al seguito, via via contribuì a depotenziare la rappresentanza democratica, non in grado più di contrastare il nuovo andazzo. Perché la sinistra non fu in grado di farlo, affascinata pur essa dalla fine del vecchio e l’avvento del nuovo.
Nel frattempo sul piano internazionale, proprio in quegli anni, si imposero figure chiave del nuovo corso, Ronald Reagan negli Usa e Margaret Thatcher in GB. Entrambi esponenti della destra dei loro Paesi. Nel suo suo secondo mandato, all’inizio degli anni Ottanta, la Lady di ferro spinse sull’acceleratore per le “riforme” (è in quel periodo che la parola slitta di significato) dando vita a una delle più importanti svolte nella storia economica dell’Occidente: quella della vittoria del privato sul pubblico, dell’individualismo sulla forza dell’organizzazione sindacale, della meritocrazia sull’ egualitarismo. Il suo motto era più o meno, vado a memoria, “pensare l’impensabile”, il focus della sua visione politica era: le ricette economiche hanno uno scopo che va otre se stesse: devono cambiare l’anima e il cuore della gente. Maestra di neoliberalismo, insomma oltre che di neoliberismo. Voglio anche ricordare che se la Lady britannica sconfisse i minatori, categoria fortissima delle Trade Unions, in Italia la Fiat sconfisse i metalmeccanici di Torino, che erano il corrispondente più o meno in Italia. Ovviamente stando al governo la Lady potè menare botte in tutte le direzioni e annichilire ogni resistenza anche ideale della locale sinistra.
L’esponente del Pd alludendo oggi agli anni Settanta dice quello che dice forse perché ha studiato il dibattito italiano di quegli anni, che contrappose da noi anche a sinistra la filiera dei convinti del nuovo corso a chi si limitò a contenerne – ricorrendo per indorare la pillola ai bizantinismi nominalistici tipici della nostrana cultura che ancora dura – gli effetti più negativi sul piano sociale (sinistra tradizionale e confederazioni sindacali) senza mettere in discussione il nuovo credo. Ne seguirono molti indebolimenti e perdite di prospettiva, a partire dalla non risposta alla crescente precarizzazione del lavoro, alla cancellazione del futuro per le nuove generazioni, e dal crollo di ogni idea di nuove forme di ridistribuzione della ricchezza che andava concentrandosi verso l’alto nelle mani di pochi. La sordità sulla tematica del reddito di cittadinanza, o salario minimo garantito o affini da parte del sindacato in generale dice questo. Ma tra resistenze di ruolo, articolo 18, concertazione, i sindacati hanno continuato nella loro autodifesa e nella protezione di alcuni segmenti del mondo del lavoro. Avendo come sponda istituzionale la sinistra.
Oggi Renzi porta a compimento l’opera. I sindacati possono occupare le piazze, ma chi se ne frega. Più o meno. Tutto il resto è neoliberismo secondo le ricette di Bruxelles. E chi vivrà vedrà.
Forse la signora in questione invece ha semplicemente appreso la lezione alla Leopolda: pillole renziane di indottrinamento che dopo il Jobs act sono davvero il nuovo vangelo.
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