Le nuove potenzialità dei movimenti
Lo scorso fine settimana si sono svolti a Bruxelles due importanti appuntamenti su scala europea: i meeting di AlterSummit e Blockupy. Sono entrambi spazi pubblici e politici di incontro, discussione e condivisione di proposte di lotta, espressione di reti formate da associazioni, organizzazioni sindacali, in qualche caso partiti della sinistra di opposizione, movimenti radicali che hanno in comune il fatto di volersi battere per cambiare lo stato di cose presenti nei propri paesi e in europa.
Le politiche di austerity, le crescenti diseguaglianze sociali con l’aumento drammatico del numero degli impoveriti, ma anche la crisi climatica ed ambientale, sono il presupposto che motiva per tante realtà così diverse tra loro, la ricerca di un piano comune europeo di pensiero e prassi. Abbiamo partecipato, come hanno fatto Podemos e Syriza, ma credo utile offrire al nostro dibattito alcune considerazioni per capire quali sono gli aspetti, attualmente, politicamente rilevanti dello stare dentro percorsi simili. Stiamo parlando di reti e spazi pubblici e politici ancora troppo embrionali infatti, per consegnare all’oggettività questa scelta. E’ invece il loro potenziale a destare grande interesse. Vi sono alcuni nodi che lo delineano.
1- Il loro carattere europeo, innanzitutto. La traduzione di moltissimi ragionamenti che hanno accompagnato il nostro essere “dentro” e “contro” questa Europa, è esattamente l’assunzione dell’Europa stessa come il terreno contemporaneo di un possibile conflitto costituente. La scelta avrebbe potuto essere, e il pericolo è sempre dietro l’angolo, il rifiuto dell’europa come prospettiva per l’alternativa, con tutto quello che questo significa dal punto di vista sociale, culturale e politico. Invece l’assumere l’europa fino in fondo, trattandola come qualcosa che oggi è indebitamente sottratta ai suoi cittadini dalla violenta dominazione delle ideologie neoliberiste dell’economia di epropriazione, come la chiama D.Harvey, trasforma una condizione di subalternità collettiva, in un’immenso potenziale di cambiamento. Quando abbiamo percorso le strade del mondo da Seattle a Genova, “contro la globalizzazione”, eravamo i più “global” di tutti: nei fatti, attraverso pratiche di incontro, condivisione, meticciato. Nei linguaggi, ridefiniti a partire dal desiderio, che la rete ha per certi versi poi imbrigliato, di dire le stesse cose che un altro come noi, a migliaia di kilometri di distanza, stava dicendo. Nell’accettazione della sfida che, come diceva il Che, la liberazione non può avvenire solo a Cuba, e anzi il modo per farla fuori a Cuba è privarla del suo carattere planetario…Quindi per essere contro questa Europa, bisogna “praticare”, agire, l’europeismo più di tutti, a partire dai nostri avversari che odiano l’Europa affermando sempre il contrario a parole, ma dall’alto delle loro tower e dei loro uffici, tentano di smembrarla, dividerla, imbarbarirla ogni giorno di più.
2- Il loro essere spazi pubblici e politici “ibridi”, formati cioè da un insieme di realtà che stanno dentro e fuori le istituzioni esistenti, ma non hanno nella purezza identitaria il tratto distintivo per definire l’appartenenza a un qualcosa di comune con altri. Questo è un altro fatto importante, perchè contribuisce a descrivere, ad immaginare quel processo di cambiamento che chiamiamo “alternativa” e lo affida a un percorso di ricerca complessa, articolata, multilevel, dove l’orizzontalità propria di ogni dinamica democratica, costituente e partecipativa non rinuncia a confrontarsi anche con la “verticalità” del rapporto istituzionale. Proprio in questa relazione virtuosa tra dentro e fuori le istituzioni si annida forse quell’anomalia nell’uso della rappresentanza del nostro tempo, che è caratterizzato dalla crisi irreversibile di quest’ultima e dalla crisi della democrazia che storicamente si è determinata nei sistemi parlamentari e costituzionali che abbiamo fin qui conosciuto ed agito.
3- Queste reti, Altersummit come Blockupy, come altre reti che si vanno formando in Europa, si determinano anche come spazi pubblici e politici attraversabili da esperienze politiche di partito della sinistra di alternativa che, faticosamente, muove i primi passi in europa in questa nuova epoca. Da Syriza a Podemos, dalla Linke tedesca a parti di esperienze ecologiste verdi inglesi e del nordeuropa, è qui che Sel, ma soprattutto lo spazio politico che cerca di costruire in Italia tentando di andare anche oltre sè stessa, può trovare interlocutori preziosi per costruire il suo modo di stare, e le sue alleanze in europa. La ridefinizione delle vecchie famiglie socialiste, comuniste ed ecologiste, è determinata dalla crisi, dal salto epocale che abbiamo compiuto immergendoci nella dimensione di Weltstaat, come lo definiva alla fine della seconda guerra mondiale Junger, che però al contrario di quanto egli profetizzasse, è senza governo alcuno, è terra mobile, instabile, precaria, drammaticamente insicura. Questa condizione, la cui origine per molti è legata a comportamenti economici irrimediabilmente iniqui e distruttivi del pianeta e della vita che in esso si sviluppa, non ha prodotto finora nessuna strategia politica nuova, all’altezza di questa sfida terribile e pericolosa.
Questo è il motivo vero per il quale la ricerca, di un nuovo modo di essere e di nuove mete da raggiungere collettivamente, non può essere relegata a nessuna ideologia e a nessuna tattica. Costruire nuove istituzioni, nuova democrazia – ma i nostri spazi politici vorranno farlo?- secondo Sen coincide con il contribuire allo sviluppo dell’attivismo, delle manifestazioni pubbliche, il dibattito aperto e il confronto mediatico. Sono alcuni dei modi per promuovere la democrazia globale senza attendere uno Stato globale.
Su questi nodi si misura l’importanza di stare dentro, contribuire e riconoscersi nei percorsi europei di costruzione di reti e spazi pubblici e politici che si autodeterminano. La prossima Conferenza mondiale sui cambiamenti climatici del 2015 a Parigi, è già un altro terreno di costruzione di reti di azione, proposta e dibattito, tra tutti coloro che ritengono, e a ragione come ci spiega anche l’ultimo libro di Naomi Klein ma anche la mobilitazione moltitudinaria statunitense di questi giorni, che quello del climate change non sia una questione da “ambientalisti catastrofisti”, ma un paradigma fondamentale di una nuova azione politica di alternativa. Ma prima ancora di Parigi la giornata di mobilitazione dell’11 ottobre prossimo contro il TTIP, ed il controvertice dei movimenti europei ed asiatici, APEF, di metà ottobre a Milano ( e i recentissimi fatti di Honk Kong ci dicono quanto sia importante, in tema di lotta per la democrazia, gettare lo sguardo da quella parte del mondo ), sono appuntamenti fondamentali. Blockupy inoltre propone giornate di incontro e mobilitazione a Francoforte, a ridosso della “settimana della Finanza” celebrata nel santuario della BCE per metà novembre. Tornando a Parigi, è evidente che il percorso di costruzione delle mobilitazioni non può che intrecciare anche le tante esperienze di lotta italiane sul terreno ecologico. Perchè ad esempio non immaginare anche una giornata nazionale sulla giustizia climatica, in sostegno alle comunità che resistono all’avanzata petrolifera in Basilicata, Abruzzo, Sicilia? Tra il Renzi che va a New York e fa green-washing parlando dell’emergenza del climate change, e quello che in Italia spinge l’acceleratore sui decreti che autorizzano trivellazioni per petrolio e gas, c’è di mezzo il mare, appunto.