L’evoluzione del Fattore Umano
Dati shock (pubblicati nel 2013-2014) sul crollo della biodiversità globale, in tutti i comparti (percentuali). E’ confermato che ci troviamo nel mezzo della Sesta Estinzione di Massa, paragonabile cioè per impatto alle cinque peggiori estinzioni catastrofiche verificatesi negli ultimi 500 milioni di anni (l’ultima, quella dei dinosauri, era avvenuta 65 milioni di anni fa, un oceano di tempo fa). Viviamo quindi dentro una singolarità evolutiva del tutto eccezionale, se consideriamo la nostra normale percezione del tempo calibrata sulle centinaia o al massimo migliaia di anni.
Per gli evoluzionisti le estinzioni non sono un fatto negativo, anzi aprono nuovi spazi ecologici per altre specie e garantiscono un continuo ricambio della biodiversità. Da un punto di vista scientifico, quindi, non è una questione di allarmismo o di catastrofismo. Il problema riguarda la specie umana, perché questa estinzione di massa è la prima prodotta dalle attività di una specie sola, la nostra, ed è la prima che avviene così rapidamente. Che cosa sta succedendo, nell’indifferenza della politica? Vediamo.
– Gli effetti della Sesta Estinzione cominciano a farsi sentire sulla vita umana: ex. alterazione della fisiologia del sistema immunitario nei paesi occidentali, ma soprattutto riduzione dei “servizi ecosistemici” (ciclo dell’acqua, fertilità dei suoli etc) che finora la biosfera ci ha elargito gratuitamente, benché non siano computati in alcun calcolo economico classico del benessere sociale-ambientale e della “crescita”. Un patrimonio ecologico essenziale, ma invisibile e a costo zero secondo i canoni dell’economia neoliberista. La Sesta Estinzione sta insomma mettendo a rischio i beni comuni, pubblici, che garantiscono il nostro benessere sul pianeta.
– Le cause della Sesta Estinzione sono note e analizzate dalla scienza una per una (niente alibi!): 1) frammentazione degli habitat (deforestazione, trasformazioni in pascoli e colture estensive); 2) specie invasive diffuse con i viaggi e i commerci globali; 3) crescita della popolazione globale, con urbanizzazione; 4) inquinamento chimico, industriale e agricolo; 5) eccessivo sfruttamento delle risorse biologiche attraverso caccia e pesca intensive e senza regole (soprattutto in acque internazionali). A tutto ciò vanno aggiunti gli effetti del riscaldamento climatico di origine antropica, che non riguardano soltanto gli ormai ben noti fenomeni dell’innalzamento dei livelli dei mari, dell’aumento di eventi atmosferici estremi, dello stress idrico, ma anche la moria delle specie (ex. estinzione degli uccelli migratori su lunghe distanze, estinzioni negli oceani). Questo è il primo fattore umano da considerare per uno scienziato.
Ed è evidente che ciascuno dei 6 fattori prima elencati dipende strettamente dal tipo di sviluppo economico e di mercato globale indefinitamente espansivo che abbiamo costruito, da un’economia predatoria che per esempio in questo momento sta devastando l’Africa (ex. nessuno lo ricorda ma l’ultima epidemia di ebola non nasce per caso: secondo dati scientifici del 2014, il virus è passato dai pipistrelli all’uomo anche perché la foresta in Guinea e Liberia è stata degradata e sostituita da palmeti da olio per esportazione, che hanno fatto crescere la popolazione di pipistrelli frugivori e aumentato i contatti con l’uomo).
Non è catastrofismo, è realismo scientifico, suffragato da evidenze vincolanti oltre ogni ragionevole dubbio.
Sfondo evolutivo. La specie umana, quindi, è diventata un potente agente evolutivo, abbiamo cambiato il pianeta come pochi altri fattori in passato (tipo impatti di asteroidi, grandi mutamenti climatici, eruzioni vulcaniche parossistiche…). Dobbiamo quindi aspettarci ripercussioni su noi stessi. Si chiama modello della “costruzione di nicchia”: gli organismi (in questo caso noi) modificano attivamente l’ambiente, e l’ambiente così modificato pone nuove pressioni selettive sugli organismi stessi; è un processo ricorsivo, dagli esiti imprevedibili, difficilmente controllabile. L’ecologia non riguarda soltanto la conservazione di una Natura là fuori, ma anche un grande impegno umanistico nei confronti del futuro della nostra specie. La nicchia ecologica globale (biosfera), che abbiamo stravolto in questo modo, sarà ancora accogliente in futuro verso di noi come lo è stata finora? Vediamo come siamo arrivati fin qui.
– L’accelerazione recente di questo fattore umano ad alto impatto dipende dalla rivoluzione industriale, ma in realtà è molto più antico e precede addirittura la rivoluzione agricola, un’altra invenzione umana che ha stravolto gli ecosistemi terrestri e appesantito enormemente il fattore umano. La sostenibilità nel rapporto uomo-natura è a rischio da quando è nato il genere Homo, due milioni di anni fa.
– Homo sapiens è una specie giovane, ultimo ramoscello di un rigoglioso cespuglio di specie umane. Fino a 50mila anni fa sulla Terra abitavano almeno cinque specie umane, “diversamente sapiens”. Non siamo mai stati soli nell’evoluzione. La nostra è una storia di diversità, grazie a un processo che avevamo sottovalutato in campo scientifico: la geografia. Da due milioni di anni a questa parte le specie umane (al plurale), nate in Africa, non hanno mai smesso di spostarsi, di diffondersi, di occupare nuove nicchie. Così facendo si sono diversificate.
– Poi però siamo rimasti soli, perché? Qui si annida la profonda ambivalenza di Homo sapiens. Quei processi di diffusione ed espansione sono stati per noi una benedizione, perché hanno favorito la diversità culturale umana, generando il bellissimo albero planetario delle culture e delle lingue umane (oggi anch’esse sottoposte purtroppo a una vera e propria estinzione di massa di tipo culturale), frutto dell’evoluzione dell’intelligenza simbolica umana, uno scrigno di creatività mentale e inventiva che ancora non si è esaurito. E tuttavia, quei processi diffusivi sono stati anche una maledizione, per gli altri innanzitutto: abbiamo iniziato già 50mila anni fa ad estinguere migliaia di specie nelle Americhe e in Australia, e in poco tempo abbiamo estinto anche tutte le altre 4 specie umane. Siamo una specie creativa e distruttiva allo stesso tempo. Siamo una specie invadente e prepotente.
– Ma siamo anche, e questo è il punto cruciale, una specie migratrice, più di quanto avessimo pensato in passato. Il segreto evolutivo del fattore umano è la mobilità. Non siamo mai stati fermi. Abbiamo sempre cercato qualcosa al di là della collina. Le cause di questa spinta migratoria sono state sia cognitive (la curiosità e un’organizzazione sociale senza precedenti, di tipo esplorativo) sia ambientali (oscillazioni e crisi climatiche). Questa flessibilità ambientale è stata la nostra principale strategia adattativa e ha decretato il nostro successo come specie planetaria.
Migrazioni antiche e attuali. E’ impressionante che, secondo la “Sahara Hypothesis”, il fulcro delle migrazioni antiche sia stato il passaggio dal Corno d’Africa e dall’Africa sub-sahariana al Mediterraneo e al Medioriente, sentieri di spostamento percorsi e ripercorsi in diverse fasi climatiche negli ultimi 60mila anni. Ebbene, sono esattamente gli stessi crocevia di umanità delle migrazioni recenti!
– Le migrazioni antiche erano dettate in gran parte dalla necessità ed erano lente. Quelle odierne sono intenzionali, cioè frutto di un progetto di vita, e veloci. Ma non per questo sono “libere”. Nascono da condizioni ambientali, economiche e sociali di diseguaglianza, le cui radici affondano nella storia culturale e biologica della nostra specie.
– Noi guardiamo sempre alle migrazioni come a un effetto: di crisi regionali, geopolitiche e ambientali, che producono schiere di profughi di guerra, profughi ambientali, profughi religiosi, profughi politici, individui e famiglie alla ricerca di una vita dignitosa. Le sirene del fondamentalismo, consolanti nel loro dare un senso delirante a tutto, proliferano in questo terreno propizio.
– Adesso dovremmo imparare a guardare alle migrazioni anche come a una causa, con uno sguardo lungo nel tempo: le migrazioni sono causa di cambiamento, sono occasione di cambiamento, generano nuove diversità, rimescolano le carte, sono una sfida e un propulsore positivo del fattore umano, lo sono da migliaia di anni e continueranno a esserlo.
Chiusa: scienza e sinistra. Molti dicono che l’evoluzione umana è finita. Non è vero. Il fattore umano continua a evolvere, con altri mezzi, quelli culturali e tecnologici. Più diventiamo potenti e più quella ambivalenza fra creazione e distruzione si radicalizza. Abbiamo commesso molti errori, ma oggi abbiamo la consapevolezza e gli strumenti per ripensare in modo nuovo l’evoluzione del fattore umano. E’ una questione squisitamente politica, nel senso più alto del termine.
E’ una sfida difficile, per due ragioni principali:
1) La prima è che gli strumenti tradizionali della mediazione politica appaiono inadeguati e macchinosi rispetto alle dinamiche planetarie; gli uccelli migratori, gli agenti inquinanti, i virus e i messaggi di odio in rete sono tutte entità del tutto indifferenti ai confini nazionali, viaggiano dove vogliono;
2) La seconda, che mi sta molto a cuore, è che la scienza e la sinistra devono ritrovare una nuova alleanza; intendo per sinistra la sinistra, cioè noi e le nuove giovani sinistre europee, non chi si auto-proclama di sinistra e fa politiche di destra governando con la destra e privilegiando accordi con la destra più impresentabile, e intanto nell’agenda di governo non riesce nemmeno a pronunciare la parola “ricerca scientifica”; e per scienza intendo quella scienza consapevole di non essere neutrale ma che al contempo ci sottopone dati e fatti vincolanti, che non possiamo ignorare; nella ricerca scientifica e tecnologica la sinistra può trovare oggi un tesoro di idee innovative e radicali che ricreano lavoro, ridanno dignità al lavoro, riducono le ingiustizie, favoriscono la sostenibilità ambientale; bisogna che la comunità scientifica italiana, fatta da migliaia di ricercatori giovanissimi e bravissimi, precari e sottopagati, torni a dialogare con la sinistra. E’ un invito che vi faccio perché da uomo di scienza e uomo di sinistra mi dispiace vedere ancora nel nostro mondo il retaggio di vecchi atteggiamenti antiscientifici.
Come esempio di questo ritrovato dialogo fra scienza e sinistra, vi propongo in chiusura tre parole chiave che scaturiscono proprio dai dati scientifici più recenti e che hanno secondo me un grande significato politico:
– la prima è cooperazione: la specie umana è una specie relazionale, il potenziale umano si esprime nelle relazioni sociali e ambientali; tuttavia questa solidarietà si è manifestata prevalentemente, nell’evoluzione di Homo sapiens, in gruppi ristretti, in tanti piccoli “noi” contrapposti agli “altri da noi”; la sfida del futuro è pensare a una cooperazione su larga scala, pensare alla stessa specie umana e alle generazioni future come soggetti di cura e di tutele; siamo dentro una comunità di destino, che non può avere confini;
– la seconda è lungimiranza: dinanzi alle sfide ambientali e di diseguaglianza globale, la miopia delle scelte politiche dettate dalle tornate elettorali è semplicemente deleteria; dobbiamo prendere decisioni politiche i cui effetti positivi saranno percepiti da chi ancora non esiste e da chi non è in alcuna relazione prossimale con noi; la lungimiranza è diventata una necessità;
– la terza è alternativa: le ingiustizie non sono inevitabili, nascono da scelte e da condizioni di contesto; la frase più oscena che sentiamo nel dibattito pubblico europeo è: “non ci sono alternative”. L’evoluzione ci insegna invece che un’alternativa c’è sempre, e che noi non saremmo qui se non avessimo esplorato, più volte, le alternative. Oggi molti ci dicono che siamo dentro un percorso necessario, ineluttabile: così stiamo perdendo la categoria più umana che esista, la categoria della possibilità.
Qualcuno scrive, anche su quotidiani italiani, che il neoliberismo sarebbe più “consono alla natura umana” e addirittura più “darwiniano”. Non credeteci. Non hanno letto Darwin o se l’hanno letto non l’hanno capito. In quell’osceno convegno tenutosi qui a Milano in Regione qualche giorno fa su omosessualità e famiglia “naturale”, tutti si riempivano la bocca di “biologia”. Così abbiamo scoperto che esistono differenze “biologiche” tra maschi e femmine, una notizia sensazionale. Questo è un uso ideologico di natura e di biologia per giustificare stereotipi sessisti e classisti, un’operazione che nessuno scienziato serio può avallare. E’ vero semmai il contrario: molte tirannie, schiavitù e discriminazioni sessuali sono cadute proprio perché qualcuno, magari dal chiuso di una cella per 30 anni come Nelson Mandela, non ha mai smesso di credere per un sol giorno che quelle infamie non facessero parte di alcun “ordine naturale delle cose”.