l’impeachment di Napolitano
Come è noto, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è stato messo in stato di accusa dal Movimento 5 Stelle per attentato alla Costituzione, in base all’ articolo 90 della Carta. La denuncia, come da prassi, è stata formalmente depositata in entrambi i rami del Parlamento, il 5 Febbraio scorso, e il Comitato parlamentare per i Procedimenti di accusa (composto da 23 senatori e 21 deputati, con la presidenza di La Russa) ha avviato l’iter previsto, che si dovrà concludere al massimo entro cinque mesi, con la decisione dello stesso Comitato di archiviare l’atto di accusa o di presentarlo al Parlamento. Nell’ordinamento italiano la Costituzione prevede che il presidente della Repubblica possa essere messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, per i reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione. La funzione di giudice, laddove si arrivasse a un tale esito, sarebbe svolta dalla Corte costituzionale, integrata da 16 membri.
Che la vicenda si concluda con una rapida archiviazione è però fin troppo ovvio. Anche per i promotori dell’impeachment.
Gli strateghi e ideologi del M5S, forse in questo caso più Casaleggio che Grillo, essendo tutt’altro che sprovveduti, sanno sicuramente che la loro reboante iniziativa si concluderà in un nulla di fatto. Ricorrendo all’impeachment, hanno voluto compiere una mossa ad alto impatto politico-propagandistico, per dimostrare che loro, con l’attacco al vetriolo condotto contro “il sistema”, non scherzano affatto. Indirizzano ad alzo zero il malcontento, la rabbia, il rancore e le critiche di ogni tipo, molte per altro più che giustificate, di cui si alimenta il successo dei Cinque Stelle. E hanno costruito l’iniziativa con l’evidente idea di trarne vantaggi politici sia d tipo strategico sia immediati, in vista degli imminenti appuntamenti politici che affollano l’agenda, tra cui la scadenza elettorale di maggio per il rinnovo dell’Europarlamento. Per i Cinque Stelle sarà quella un’occasione d’oro per misurare l’impatto popolare della loro strategia di messa sotto accusa dell’Europa e dei salatissimi costi che l’euro e i diktat di Bruxelles hanno comportato per l’Italia. Un campo questo in cui le responsabilità di Napolitano sono evidenti, perché è evidente che dall’autunno del 2011 – crisi del governo Berlusconi in seguito alla rottura con Fini – la vicenda italiana è stata fortemente segnata da un crescente protagonismo politico del Presidente Napolitano, andato oltre la funzione e i compiti disegnati dalla Costituzione. E’ “slittata”, quella carica, come una lavina lungo una discesa in cui però sta slittando l’intero sistema Italia, trascinandosi dietro il complessivo senso e sentimento della Costituzione e degli assetti democratici. Garante super partes, il Presidente, o parte in causa per risolvere i problemi del Paese che altri, che ne avrebbero il dovere istituzionale e costituzionale, non sono in grado, non possono, non osano affrontare al livello in cui sarebbe necessario?
In un momento come l’attuale molti nodi della politica italiana e dei rapporti dell’Italia con le autorità di Bruxelles, vengono al pettine, mettendo in luce complesse responsabilità politiche che riguardano, spesso in modo rilevante, proprio il ruolo di Napolitano. E’ su questo che il M5S punta. Pensiamo soltanto a come sia nato il governo Monti, vera e propria emanazione della Troika, e quale sia stato l’indirizzo impresso dal capo dello Stato all’impasse creatasi con il risultato elettorale delle ultime elezioni politiche e la costituzione del governo delle larghe intese. Continuazione della stessa politica d’indefesso rigore. E quanto si sia speso Napolitano per legittimare le scelte della Troika e le dure ricette imposte all’Italia. Nella sua recente visita al Parlamento europeo, Napolitano ha avuto parole di critica al perdurare delle politiche rigoriste, raccomandando però di non abbandonare il rigore dei conti in ordine. Teme l’impennata di forze anti euro, ostili all’Europa, Ma si limita a generiche osservazioni.
Tutti questi aspetti e altri, che potrebbero essere ricordati per chiarire forzature e slittamenti di ogni tipo, non hanno tuttavia proprio nulla a che vedere con l’accusa di attentato alla Costituzione. Un’ accusa di questo genere, per essere pertinente, dovrebbe riguardare atti presidenziali precisi e circostanziati contro regole e dispositivi costituzionali: atti premeditati del capo dello Stato, per dirla con l’articolo 61 della Costituzione tedesca, come potrebbero essere la decisione di prorogare una legislatura venuta a compimento, oppure l’iniziativa di un decreto presidenziale, lo scioglimento del Csm e fatti analoghi. Insomma un atto di rottura netta e precisa. Non uno slittamento di ruolo, tendenza che avviene operando entro ambiti previsti: moral suasion, che da moral diventa polical, incontri con le forze politiche, i capi politici e altro che da prassi d’interlocuzione doverosa diventano condizioni sine quibus non, per procedere secondo le indicazioni del Presidente.
Il giudizio critico sull’operato di Giorgio Napolitano può dunque essere solo di natura politica, non di responsabilità penale costituzionale. Inoltre non può prescindere da un problema di ordine generale che è la situazione a rischio in cui versa l’ordinamento democratico del nostro Paese, di cui il maggiore imputato non possono non essere le forze politiche, la classe dirigente, il sistema dei partiti e i disastri al seguito. Gli effetti distruttivi dell’infinita crisi della politica, che non sa trovare risposte di nessun tipo, ha comportato in modo sempre più evidente uno slittamento di molte funzioni istituzionali. In forma di supplenza dei deficit di partiti, maggioranze di governo, rappresentanza parlamentare e altro, questo è accaduto da parte di poteri e organismi nati con tutt’altra finalità. Il caso della magistratura chiamata a risolvere di tutto e di più è emblematico, così come è emblematico il ruolo assunto dalle istituzioni di garanzia che dovrebbero rimanere immuni da qualsiasi tentazione di “politicizzare” il proprio ruolo. Slittamento di ruolo nella e per la crisi che – aspetto essenziale per capire lo stato dell’arte – ha creato adattamento strumentale dei partiti, che, dietro al protagonismo del Presidente della Repubblica, possono nascondere la loro nullità e coltivare la propria sopravvivenza. E ha creato indifferenza popolare nelle regole e nella loro ratio costituzionale, perché le regole sembrano non servire più a nulla, solo impaccio che ritarda la soluzione dei “problemi degli italiani”, secondo il mantra del circo mediatico. Basti pensare al disprezzo che ha investito il Parlamento a cui si chiede solo di velocizzare i decreti del governo, come a un ufficio notarile che debba apporre un timbro, che non si capisce più che cosa dovrebbe attestare. Se ne potrà fare a meno, a un certo punto, di questo timbro? Forse sì, c’è da temere, soprattutto se la crisi sociale continuerà a gonfiare la rabbia e il rancore popolare. Purché la governabilità funzioni, purché qualcuno ci salvi. E’ in questo contesto che va giudicato Il ruolo svolto da Napolitano. Tutt’altro che positivo, ovviamente, come è molto preoccupante, lo scivolamento del sistema democratico verso una prassi del regolare ruoli e funzioni istituzionali secondo le esigenze politiche del momento. Napolitano, soprattutto, ha contribuito grandemente a rendere più evidente e disarmante la condizione di soggetto minorenne e minus habens della politica. Forse è la sua maggiore responsabilità.
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