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Lunedì, 14 marzo 2016

L’incontro a Perugia della Sinistra Riformista PD: Occorre, insieme, battersi per una prospettiva

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Sono venuto qui oggi, accogliendo volentieri il vostro invito di cui vi ringrazio, con lo spirito di un uomo di sinistra che coltiva un desiderio ed è animato da un proposito. Il desiderio di compiere un passo in avanti, il proposito di farlo insieme. Il passo in avanti da compiere, insieme, è quello che si misura sul terreno dell’unità e della qualità della sinistra nel nostro paese. Qui c’è qualcosa di urgente, qualcosa che mette fortemente alla prova la credibilità di ciascuno di noi, ovunque sia collocato dentro la diaspora che dissemina il cammino della sinistra in Italia. Questo è, allora, il nostro problema dominante, e noi, tutti noi, fin qui non siamo stati in grado di dare a questo problema una soluzione tempestiva e all’altezza delle sfide, prima di tutto quella sociale, che la crisi ha aperto in Italia e in tutta Europa.

Sono convinto, da tempo, che le distanze, i contrasti, tra questa sinistra che oggi è minoranza dentro il Partito Democratico e quella dentro la quale mi colloco, non risiedono prima di tutto nel programma. Ho letto con attenzione le schede tematiche che avete posto a base di questo incontro. Meno di un mese fa, a Roma, Sinistra Italiana ha svolto un’assemblea nella quale gli snodi dell’agenda politica del paese risultano i medesimi di quelli che voi qui discutete.

Lavoro e sviluppo, welfare e salute, fisco e finanza pubblica, governo del territorio e riforma delle istituzioni, crisi della rappresentanza e funzione dei partiti. Non solo. In molti punti di merito tanto l’analisi quanto la proposta si collocano, direi oggettivamente, nel medesimo spazio concettuale. Faccio l’esempio a me più congeniale, quello del lavoro. Voi parlate dell’affermarsi, in questi ultimi anni, di un turbocapitalismo che non è in grado di coniugare la necessaria competitività con l’obiettivo della coesione sociale, e dunque genera nuove disuguaglianze e contrae, proprio a partire dal lavoro, i diritti collettivi e individuali. E indicate come via d’uscita la strada dei grandi investimenti pubblici, oltre di quelli privati, di un sistema del credito a sostegno delle famiglie e delle imprese innovative, di una politica economica e industriale che, a partire dal Mezzogiorno, mai come oggi distaccato e distante dal resto del paese, rilanci i consumi dei ceti più poveri colpiti ferocemente dalla crisi. E’ una lingua che conosco bene, dato che è quella stessa che parlo anch’io.

Del resto non più di tre anni fa, e nel colmo di una crisi che tutti abbiamo definito epocale per le proporzioni e gli sconvolgimenti, voi e noi abbiamo lavorato attorno ad un programma politico – Italia Bene Comune – che indicava una via d’uscita di sinistra alla politica dell’austerità, e la indicava non solo in Italia e per l’Italia, la indicava all’Europa, data l’interdipendenza, sempre più stretta, tra i governi nazionali e le politiche comunitarie. Aggiungo che anche quando, sul programma, si manifestano approcci differenti su determinati nodi, come può essere ad esempio quello del destino politico dell’Europa e della sua moneta, trovo queste differenze in qualche misura naturali. Né noi né voi abbiamo in mente una sinistra già depositaria di una verità precostituita e di certezze rassicuranti. Io sono per L’Europa. Il punto è quale Europa. È su questo occorre confrontarsi. L’Europa della solidarietà o dell’austerità? L’Europa dell’accoglienza e dell’integrazione o dei respingimenti e dei fili spinati?

C’è uno spazio grande, dentro cui la sinistra si colloca, che appartiene al dubbio e dunque alla ricerca, all’analisi, alle ipotesi da sottoporre sempre a verifica, specie quando queste ipotesi riguardano le soluzioni concrete da dare, sul piano politico, a questioni inedite che riguardano la vita reale delle persone. Non è allora qui, sul terreno prima di tutto programmatico, che si gioca la partita di quella che chiamerei l’unità e la qualità della sinistra in Italia oggi. E’ del tutto evidente che questo terreno è e rimane strategico, ma, come ho cercato brevemente di spiegare, abbiamo insieme dimostrato di poter esercitare, sul programma, la pratica di un confronto che è ricerca e costruzione di una risposta comune. Il punto viceversa su cui riscontro la contraddizione che non ci fa compiere, almeno fin qui, alcun passo in avanti, è tutto dentro la pratica politica reale. E non è un punto da poco. Penso che su questo punto si sta misurando da una parte la reale efficacia della minoranza del Partito Democratico di tenere il baricentro a sinistra, e dall’altra di Sinistra Italiana, che a fine anno darà vita con il congresso a un nuovo partito politico, di evitare un’altra falsa partenza. Allora mi chiedo: come riusciamo a fare, su questo punto che ci tiene inchiodati, un passo in avanti ? E cosa occorre per farlo insieme ?

Bisogna su questo essere chiari, e chiaro voglio esserlo con voi, come lo sono nel percorso che sta compiendo in questa fase Sinistra Italiana dopo l’assemblea del mese scorso e in prospettiva verso il congresso. Il punto debole che colgo nel percorso che Sinistra Italiana si sta dando riguarda, dal mio punto di vista, il nodo del centrosinistra. E’ evidente che la piega assunta da Renzi tanto come segretario del partito quanto come capo del governo (l’Italicum in particolare), scioglie questo nodo in maniera, per me, negativa, e chiude una possibilità. Ma questo nodo, il suo destino, non appartiene a Renzi, e non appartiene neppure al solo Partito Democratico. E’ un nodo che sta tutto dentro la storia politica dell’Italia, in ogni sua fase passata, ne segna il tratto peculiare, fino alla stagione dell’Ulivo e poi del tentativo, fallito, di Italia Bene Comune, è un nodo che corrisponde ad un dato oggettivo che a che vedere con l’equilibrio politico e storico del paese. Dare per definitivamente archiviato questo nodo, a seguito dell’avvento di Renzi alla guida del partito e per effetto della sua azione di governo, ritengo sia un errore, un errore politico. Compito di una forza politica non è solo quello di prendere atto del dato di fatto. Occorre, insieme, battersi per una prospettiva, se la si ritiene giusta, necessaria, pur se messa da parte dalla realtà del momento. Il punto debole che colgo nell’azione della minoranza democratica è nel prendere atto, cioè nel trarre le necessarie conseguenze, che tra i presupposti fondativi, originari, storici, culturali, del Partito Democratico e l’azione del governo esiste ormai un solco profondo. Basterebbe confrontare quelle schede tematiche di cui prima parlavo, da voi prodotte, e le scelte più significative di questi due anni di governo, che qui ora non richiamo, ma che proprio su quei nodi del lavoro, del welfare, del Mezzogiorno, portano da tutt’altra parte. Quali siano le concrete conseguenze da trarre non sta a me dirlo, e riconosco che la questione ha una sua oggettiva complessità, da ogni punto di vista. Ma è un passaggio sempre meno rinviabile. Allora credo che compiere un passo in avanti, e compierlo insieme, nelle condizioni date, voglia dire prima di tutto mettere a tema, dinanzi al paese, dinanzi al bisogno di una sinistra per l’Italia, dinanzi a un popolo disperso che non ha più rappresentanza e trasmigra nella diaspora o si rifugia nell’astensionismo, le due questioni che, a mio parere, decidono della qualità e dell’unità della sinistra: la natura di questo governo e il nodo del centrosinistra. Nell’autonomia reciproca, nelle collocazioni differenti, nelle differenze esistenti, dobbiamo lavorarci insieme. Perché se non disperdiamo il valore di un passato, se ci misuriamo sulle distanze del presente, prepariamo, già qui, già adesso, la prospettiva della sinistra italiana del futuro.

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