L’inquietante mappa politica dell’Europa
Il fiordaliso è un bel fiore di campo che cresce fra i cereali e, sbocciando, si tinge delle gradazioni del blu. Nell’ epoca più buia della storia europea veniva utilizzato come segno di riconoscimento degli aderenti ai movimenti pangermanisti e antisemiti che sostenevano l’ascesa al potere del nazionalsocialismo. Non c’è da stupirsi. Il senso della bellezza fece parte della forte fascinazione esercitata, in quei tempi, dall’orrore ideologico della performance nazista. Anche la semantica dei segni meno urticanti rispetto alla svastica torna oggi a diffondersi, e anche a questo bisognerebbe fare attenzione. Così in Austria, nel grigio tempo della crisi morale, politica e sociale che affligge il Vecchio Continente, quel fiore lo ha esibito all’occhiello della giacca Norbert Hofer, capo dell’ultranazionalista e islamofobico FPO (Partito della Libertà Austriaco). Lo ha fatto dopo il successo incassato al primo turno delle elezioni presidenziali e in vista del ballottaggio del 22 maggio. Hofer ha perso la prova finale solo per una manciata di voti: più o meno trentamila in più per il suo avversario, soprattutto arrivati per posta da austriache e austriaci impegnati in vario modo all’estero. Uno spicchio dell’elettorato cosmopolita, femminile, giovane e acculturato che ha assicurato la vittoria del verde professore universitario di Vienna Vander Bellen.
E’ lui infatti l’outsider uscito vincitore dal ballottaggio; lui che ha fatto tirare un sospiro di sollievo all’Austria e all’Europa della democrazia bruxelliana; lui che a luglio sarà, come da prassi costituzionale, confermato all’alta carica grazie al voto da panico promosso da tutti i partiti coalizzati, socialdemocratici e popolari insieme a liberali e verdi, contro Holfer. E da solo Holfer, e col suo inequivocabile fiordaliso all’occhiello, è arrivato quasi al cinquanta per cento del consenso, portandosi appresso l’Austria profonda, i ceti popolari, a cominciare da quelli operai, e gran parte del corpo sociale medio, che si sente assalito da immigrazione, perdita di sicurezza economica, mancanza di futuro. Gli altri sono riusciti a farcela non disdegnando – bisogna metterlo bene in chiaro – anzi raccogliendo le armi dell’avversario. Non per caso infatti il governo socialdemocratico austriaco, nei giorni precedenti il ballottaggio presidenziale, ha confermato tutti gli impegni presi per tenere sotto sorveglianza Schengen, costruendo strutture e automatismi operativi atti a bloccare in presa diretta, se necessario il confine del Brennero.
Come segnalano quanti studiano con attenzione la diffusione delle destre ultranazionaliste e xenofobe, quando non dichiaratamente ultrarazziste, non siamo più, e ormai da tempo, alla fisiologia degli episodi isolati, ai successi cosiddetti inspiegabili, di corto respiro e destinati a rientrare e sgonfiarsi. Dagli episodi di anni fa, che spesso furono così etichettati e non considerati degni di attenzione, siamo passati alla crescita esponenziale di quei partiti e all’affermazione, soprattutto, di un consolidamento dello spostamento verso posizioni di estrema destra di significative fette di elettorato. E da qui, poi, all’avvento di governi ultradestri e con simpatie paranaziste in vari Paesi della stessa Ue.
In realtà, a conoscere bene la storia dell’avvento dell’Unione europea, che è tutt’altra storia rispetto all’utopia spinelliana, il germe del degrado era implicito nel suo nascere per il modo come l’Unione era stata concepita: l’Europa dei mercati senza i popoli, l’Europa delle regole senza democrazia costituzionale delle regole, l’Europa delle tecnocrazie senza politica. Soltanto sorretta da una performance funzionale di partiti e governi in stato di resa dichiarata all’egemonia dell’economia.
La mappa politica dell’Europa è inquietante. Da soli o in coalizione i partiti ultranazionalisti, ispirati a un duro populismo di destra, sono al governo in sei Paesi dell’Unione europea: Polonia, Ungheria, Slovacchia,Finlandia, Lettonia, Lituania. Nella Grecia schiantata dall’intransigenza tedesca, c’è il rischio che Alba dorata possa godere in futuro dei frutti derivanti dall’ingrato compito di governo di cui Tsipras si è dovuto far carico, potendolo fare anche grazie all’aiuto che, per sopravvivere, gli fornisce il partito nazionalista dei Greci indipendenti.
La tendenza è ovunque al rafforzamento delle schiere. In Germania guadagna spazio Alternativa per la Germania, In Italia Salvini scommette sul proprio ruolo salvifico della Nazione. La geografia politica ci parla del depotenziamento crescente, spesso vicino allo schianto, di tutti i partiti tradizionali – quelli che fecero l’Europa del secondo dopoguerra – e dell’affermarsi di forze nuove, soprattutto dell’ultradestra nostalgica, che cambiano la massa delle cose e lo stesso destino dell’Europa.
Mentre tutta l’Europa di Bruxelles, dopo lo stress per l’Austria, sta col fiato sospeso per gli esiti del referendum che in giugno deciderà delle sorti del Regno Unito, nessuno si cura di seguire e capire che cosa stia succedendo in Francia. Quel grande e decisivo Paese, a due passi da noi, da due mesi è squassato, per il rifiuto di massa opposto alla loi travail, da un conflitto sociale di proporzioni vaste e imprevedibili, che coinvolge il mondo del lavoro e del non lavoro, in tutte le sue parti, e accende una passione civile che nessuno si aspettava. Soprattutto dopo le dure prove subite dalla Francia per gli attentati dell’Isis e ancora in presenza di quell’état d’urgence in cui il Paese si trova a causa degli attentati terroristici e dello stato di emergenza che Hollande dichiarò in quei giorni e che solo in parte è stato annullato dall’Assemblea nazionale.
Hollande e il Governo non hanno nessuna intenzione di demordere sulla loi travail ma lo stesso intende fare chi ha dato vita al durissimo conflitto sociale di cui nessuno parla né vuole parlare. Che invece riguarda direttamente l’Europa e il suo destino. La loi travail è il corrispettivo del nostrano Job Act. La Francia è oggi alla prese anch’essa con i compiti a casa delle riforme strutturali che fino ad oggi ha in parte eluso o ha fatto solo con parziale aggiustamenti che hanno già tuttavia segnato negativamente la vita delle persone, destando allarme e preoccupazioni, esplosa di fronte alla legge che il governo ha presentato. Che cosa succederà di questa lotta che dura da così tanto tempo, soprattutto se il governo resterà fermo alle sue intenzioni?.
Madame Le Pen è l’altra protagonista a tutto campo di questa Francia, che oggi esplode per la crisi sociale, e di questa Europa logorata al suo interno per l’inadeguatezze delle strutture istituzionali, la frammentazione della società, sempre più divisa e inviperita, ostile, rancorosa, preda, soprattutto nei suoi settori più poveri e impoveriti, della paura e della xenofobia. Nuit debout, forma di tenuta democratica della rivolta del mondo del lavoro, potrà bastare a evitare che parte della protesta si sposti a favore del voto a Le Pen? Personalmente ne dubito. Succede ovunque, di fronte alla resa della sinistra, alle ragioni del neoliberalismo e all’accettazione di concrete politiche neoliberiste, e alla mancanza di serie alternative democratiche e di sinistra, che il voto operaio e popolare vada verso i lidi della protesta anti-sistema, della proposta ultranazionalista, della demagogia del populismo di destra. Tutte forme della nuova performance politica che si va affermando in Europa: il trenta per cento delle forze presenti nel Parlamento europeo.
Siamo a questo punto, per non dire nulla dei rapporti malsani che l’Unione intrattiene col mondo, Turchia in primis, e del ruolo anch’esso malsano che la Germania, da molti punti di vista, continua a svolgere. Di tutto questo e di altri spartiti europei ci sarebbe molto da discutere e molto seriamente. Soprattutto se si pensa a dar vita a una nuova proposta, soggettività, forza organizzata di sinistra. Invece non succede e il rischio è di restare imprigionati nell’inutile gioco di ruolo tra gli europeisti del sogno e gli antieuropeisti del sovranismo, gioco che toglie la voglia di immaginare altre strade e fa rinunciare a un terreno culturale, politico, di immagine, proposta, senso delle cose senza di cui è difficile pensare alcunché di alternativo.