L’Italia, l’Europa e il Califfato: l’assenza di una politica estera europea
Una nota dai toni preoccupati è stata diffusa dal Quirinale dopo che il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha presieduto il Consiglio Supremo di Difesa a cui hanno preso parte, tra gli altri, il presidente del Consiglio Matteo Renzi, la ministra degli Esteri Federica Mogherini, sul punto ormai di trasferirsi in Europa nelle vesti di Lady Pesc, il ministro degli Interni Angelino Alfano, la ministra della Difesa Roberta Pinotti e il capo di Stato Maggiore della Difesa, ammiraglio Luigi Binelli Mantelli.
La preoccupazione riguarda l’evoluzione della situazione nella zona tenuta sotto controllo dai miliziani dell’Is (Islamic State) e la crescente fascinazione che l’odierno brand del terrore può esercitare tra i potenziali foreign fighters di casa nostra (gli europei che vanno a combattere con l’Is e magari dopo un po’ pensano di ritornare nei Paesi di provenienza come se nulla fosse).
Il consiglio supremo di Difesa si è svolto in un contesto internazionale a cui il Presidente Barack Obama ha voluto dare un grande rilievo, con un collegamento in videoconferenza con i leader europei e un precedente incontro con i vertici militari di 20 Paesi. Il Presidente americano ha parlato di una “Campagna di lungo termine”. La preoccupazione dell’amministrazione americana rispetto all’evoluzione della situazione in quello che era il Medio Oriente è infatti molto alta. E non per caso, viste le responsabilità statunitensi in tutto ciò.
Come sempre, di una materia così incandescente come tutto ciò che riguarda le armi e le spese militari nonché la traduzione in operazioni militari di quelle spese, nelle sedi che dovrebbero prioritariamente occuparsene – il Parlamento italiano, ma anche quello europeo – se ne discute pochissimo o per niente mentre se ne fa materia mediatico-comunicativa per la costruzione di una “percezione”, di una interpretazione, di un immaginario. La percezione è quella del rischio da assedio incombente e da terrorista dietro l’angolo, unita all’ansiosa attesa che chi di dovere ci dica che sta facendo tutto per proteggerci.
L’Is, l’Islamic State, ha assunto velocemente la dimensione di un marchio di fabbrica di grande impatto mediatico, che agisce su terreni contrapposti e avversari ma che, nel mondo globalizzato della contemporaneità, sono qunato mai complementari. Perché l’Is – e il fantasma del Califfato, che Abu Bakr al-Bagdadi, capo dll’Is, evoca come minaccia globale del mondo – da una parte esercita una forte attrazione su settori del mondo islamico e, in particolare, su parti delle nuove generazioni di quel mondo, cresciute anche nei Paesi occidentali, dall’altra quella stessa evocazione, e la scia di sangue che in suo nome viene lasciata sul terreno, si presta a diventare il nuovo terrificante spauracchio nelle mani degli attori internazionali della geopolitica: potenze locali, regionali e globali. In Italia tutto questo rischia anche di alimentare forme inedite di islamofobia.
L’Italia non si sottrae a questo bailamme e continua a voler svolgere la sua parte nelle avventure militari intorno a cui oggi si ragiona (o sragiona) in sede internazionale. Avventure che replicano quelle disastrose di ieri e che, come quelle, sono destinate a non produrre nessun avanzamento. Ma solo ulteriori sbandamenti e disastri. Non ci stancheremo di ripeterlo.
Quello che una volta era il Medio Oriente oggi è una frantumaia in evoluzione verso ulteriori frantumazioni, perché, al di là di tutte le odierne contingenze che possiamo analizzare sulle ragioni militari, mediatiche, performative, che stanno rendendo possibile la tenuta e l’avanzate dei miliziani dell’Is, il suo successo iniziale è soprattutto di natura storica e geopolitica, ha alle spalle le guerre di Bush figlio, quelle del dopo 11 settembre, in Afghanistan e in Iraq. Il disastro della società irachena, la messa al bando della sua parte sunnita, la frustrazione di un pezzo del Paese che era stato storicamente determinante. E ha alle spalle l’implementazione della diaspora jihadista da vari Paesi anche europei (Balcani e ex repubbliche sovietiche) e della ricomposizione in loco bellico di quella galassia; nonché la capacità di mescolarsi alle convulsioni della crisi siriana e alla dissoluzione di Stati regime che per decenni avevano garantito lo status quo della fase post coloniale. Nel silenzio, nella complicità o nell’intervento diretto di Paesi occidentali. La Libia, tanto per fare un esempio di un Paese verso cui l’insipienza italiana, arrivata a partecipare all’azione diretta di Francesi e britannici, ha raggiunto livelli fuori misura e nel quale le formazioni di ispirazione jihadista oggi non per caso spadroneggiano in lungo e in largo. Insomma L’Is ha alle spalle le molte responsabilità degli Usa e dell’Europa, nonché loro alleati sauditi, che non si sono peritati di fornire tutto il possibile che ha reso possibile lo sviluppo della piovra jihadista. Con l’idea di servirsene per le loro strategie. Ma poi le cose vanno come vanno.
E’ un mondo che cambia strutturalmente, che non può tornare indietro e quelli dell’Is giocano la loro sanguinosa partita puntando al massimo disastro, alla rapida dissoluzione di Siria e Iraq. In terra bruciata è più facile stabilire nuovi rapporti di forza. Follia della guerra, opzione militare da tutte le parti, che continua a lasciare soli i Curdi a difendere i territori su cui la parte irachena di quel popolo ha cercato di stabilire il suo ubi consistam. Che è storicamente legittimo ma che solo una politica di pace, convenzioni e accordi può risolvere, nel mondo di oggi e per come è il contesto di riferimento. Turchia docet.
Nella nota finale del Consiglio supremo di Difesa è scritto che la situazione in atto dimostra” l’urgenza e l’importanza, pur nei limiti della ridotta disponibilità di risorse, di una rapida trasformazione delle nostre Forze Armate e dell’organizzazione europea della sicurezza. ” Il che significa, in altre parole, che al ministero della Difesa non si chiederanno affatto grandi sacrifici nella riduzione delle spese. D’altra parte di questo parere è sempre stato il Presidente Napolitano. E significa ancora che nessuno ha in mente, in piena Presidenza italiana del Semestre europeo di aprire il grande capitolo della politica estera europea, che non c’è e che andrebbe inventata. Invece tutto torna all’Union sacrée delle armi, mentre ogni Paese europeo continua ad agire secondo convenienze nazionali.
Mai come in questo momento l’Europa dovrebbe assumersi la responsabilità di darsi una vision politica, costruire l’idea di un suo rapporto col mondo, proporre e mettersi accanitamente al lavoro politico e diplomatico per una conferenza di quell’area, con tutti gli attori principali chiamati d assumersi le loro responsabilità, e per un rilancio dell’azione a tutti i livelli delle Nazioni Unite, per tutto quello che riguarda la salvaguardia e la protezione delle popolazioni civili sconvolte dalle guerre.
L’idea di mettere insieme, per cercare accordi e soluzioni a crisi e guerre, gli attori che sono al centro o sono contigui a quei luoghi in turbolenza bellica, potrà sembrare una proposta “astratta”. Ma l’alternativa è solo il caos che già c’è.
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Luca