L’Otto Marzo del Presidente
Anche il Presidente della Repubblica si è esercitato sul tema dell’Otto Marzo. Un impegno al quale, d’altra parte, non avrebbe potuto sottrarsi neanche volendolo, sia per l’alta carica che ricopre sia per il valore etico-politico erga omnes che la ricorrenza di questa giornata ha ormai assunto. Non solo in Italia, come sappiamo, visto che l’8 marzo è diventata la giornata internazionale della donna. Lo impone inoltre, nel nostro Paese, quell’insistente politically correct, ancora dominante nelle istituzioni, verso le cosiddette “questioni” di genere, di cui l’Otto Marzo sembra essere diventata l’icona. Un po’ asfittica, per altro, bisogna dire.
Un tempo era un’occasione di lotta e di rivolta e la mimosa nelle mani delle donne, più che la femminea gentilezza, evocava la sfida per il cambiamento di cui quella giornata, nel cuore delle donne, era carica. Ma le cose cambiano e va bene così. Basta farci i conti e capire dove si voglia andare col cambiamento e chi, soprattutto, oggi ne abbia nelle mani principalmente la direzione di marcia.
Il Presidente, bisogna ammetterlo, ce l’ha messa tutta per stare al compito e per far rientrare nella cornice del suo discorso tutto il bene che del genere femminile si possa dire oggi. A largo raggio e dando anche una lezione di lingua italiana – semplicemente di questo infatti si dovrebbe trattare – nel suo rispettare la suffissazione al femminile che la lingua madre prevede. Si è appellato infatti, nel suo saluto, senza alcuna affettazione alla “Signora Presidente della Camera”, alle “Signore Ministre presenti” e alla “Signora Ministra Giannini”. La difficoltà ad adottare in automatico le regole che vogliono le parole declinate, secondo lo stato delle cose, al femminile o al maschile, o lasciate stare nella loro univocità maschile e femminile, sta tutta in un blocco mentale del parlante (e anche della parlante), come spiegherebbe ancora, a chi voglia capire le cose, un grande linguista di sesso maschile. Mattarella questo blocco con tutta evidenza non ce l’ha e non è poco. E non è, con tutta evidenza, soltanto una questione di conoscenza delle regole.
Linguaggio sessuato dunque per valorizzare ciò che lui, il Presidente della Repubblica, ritiene importante dire delle donne, che in Italia, sottolinea, sono “milioni di professioniste, di docenti, di casalinghe, di lavoratrici dipendenti, di imprenditrici, di disoccupate, di madri, di nonne e di ragazze.” E sono “donne consapevoli, che badano all’essenziale e a ciò che è bello, spesso alla difficile ricerca di una compatibilità tra il lavoro e la famiglia. “
E ancora, nel mondo, dice il Presidente, va riconosciuto il valore e il ruolo delle donne, perché sono le donne che hanno un “rapporto speciale con la natura e la Terra” e a questo rapporto, che “esiste, fin dagli albori della civiltà umana, tra le donne, la natura e la Terra, è dedicata, l’edizione del 2015 dell’Otto Marzo.” Una Terra, ricorda Mattarella, che spesso è definita madre, capace cioè di generare vita. La Terra e le donne: un richiamo ancestrale, che torna prepotente nella contemporaneità, col suo carico di ambiguità e contraddizioni, ancora per lo più giocate sulla pelle della parte ultima degli ultimi, di cui una gran parte delle donne nel mondo fa strutturalmente parte. I poteri del mondo e sul mondo. Ma su questo il Presidente ha sorvolato e i disastri assomigliano come sempre, nel discorso pubblico di chi occupa ruoli istituzionali, agli effetti di un destino cinico e baro.
Il Presidente menziona però le eccellenze femminili che si sono distinte in questo campo, che hanno preso parola e si sono battute per il rispetto dell’ambiente e del pianeta. Quelle del passato e quelle del presente: dalla statunitense Rachel Carson, che invisa, irrisa, osteggiata, ingaggiò negli anni Cinquanta del secolo scorso la lotta contro l’abuso degli insetticidi, riuscendo alla fine a far mettere al bando il micidiale ddt; alle grandi di oggi, la kenyana Wangari Maathai, premio Nobel per la pace, e Rigoberta Menchù, anche lei premio Nobel per la pace e paladina dei diritti dei campesinos guatemaltechi. E, ancora, l’indiana Vandana Shiva, ispiratrice del movimento democratico globale.
Un affresco generoso, da signore di altri tempi verrebbe da dire, oltre che da esponente di una storia politica che ha imparato a destreggiarsi con abilità “paritaria”, nel rapido cambio di passo impresso alle dinamiche sociali e simboliche dalle donne. E anche sapendo cogliere fior da fiore tra ciò che le mobilitazioni femminili hanno nel tempo alimentato e sedimentato, sempre selezionando, come pratica politica, ciò che era compatibile, ciò che era accoglibile. Perché così sostanzialmente è andata nel rapporto tra le donne e la politica maschile e al maschile. Mattarella è erede di questa politica.
E d’altra parte le donne stesse – molte, moltissime donne, sempre più donne – in particolare in Italia, ci hanno messo del loro per rendere tutto quello che veniva dalle donne il più possibile compatibile, erigendo subito il fortino della parità e delle pari opportunità in tutte le salse e via così. Non per caso dunque le donne, nella rappresentazione laudativa del Presidente, risultano alla fine prigioniere di loro stesse. Come di un destino. Perché è questa l’icona dominante e rassicurante, gestibile nel discorso pubblico. L’eccellenza femminile, quest’anno giocata nel rapporto tra le donne e la Terra madre, e la vittimizzazione delle donne, l’anno scorso, rappresentata nel rapporto tra la vittima e il suo carnefice.
Donne, quest’anno, numerose in molti campi, come le politiche di parità hanno favorito, e capaci di essere – ancora – eccellenti protagoniste di ciò a cui la natura in primis, e la Madre Terra, di cui esse stesse sono espressione e paradigma, e la loro intima vocazione e la società e gli affetti familiari, le destinano. Quel prendersi cura dei bisogni e delle attese dei propri cari, quell’assumersi la responsabilità dei vincoli familiari, quell’esercitarsi nella cura fisica e psicologica di figli e genitori anziani, quel supplire le inadeguatezze della sfera pubblica. E della Terra disastrata dallo sfruttamento selvaggio, per quel che riguarda il mondo, che non si capisce bene chi stia mandando in malora. Ma le donne vi devono far fronte, sembra dire il Presidente, perché a questo sono chiamate. Il tutto attraversato, va detto, da suggestioni del pensiero femminile e femminista, come il canone del discorso pubblico sulle donne oggi impone.
Alle sue concittadine Il Presidente ha d’altra parte ricordato, in apertura del discorso, che su di esse grava il peso maggiore della crisi economica. E che a esse “una società non bene organizzata affida il compito, delicato e fondamentale, di provvedere in maniera prevalente all’educazione dei figli e alla cura degli anziani e dei portatori di invalidità.” Testuale.
Insomma, che dire? La cura come destino naturale, attitudine innata, vocazione a riconsiderare le origini?
L’Otto Marzo, col suo mettere in scena un’indifferenziata dimensione al femminile delle donne, offre l’occasione per il manifestarsi di un discorso pubblico sulle donne multi-direzionale , che soprattutto risponde alle esigenze politiche del momento, al come quelle esigenze si misurano sulle donne, un tema tra gli altri a disposizione di chi vi si voglia esercitare.
Ma leggendo e ascoltando qua e là, l’Otto Marzo è stata anche, come spesso avviene, l’occasione per dire altro, da parte delle donne ovviamente e da parte degli uomini. Di molti ragazzi. La capacità delle donne di rimettere in discussione i canoni dominanti, di riavviare pratiche di libertà: Il cambiamento continua a esserci e c’è chi sa coglierlo. Che è ciò che cambia davvero in profondità le cose umane.
Come sempre avviene in epoche di crisi e transizione come quella che viviamo, la convivenza tra il vecchio e il nuovo si manifesta in modo confuso, contraddittorio. Si logorano i tradizionali assetti sociali, i sistemi di potere, le rappresentazioni simboliche di un tempo, che sembravano consolidate e invece svaniscono. Mentre, nello stesso tempo, i mutamenti vengono percepiti confusamente, come sprovvisti di una loro compiutezza. E il rimettere in campo antiche formule fa parte dell’epoca in cui viviamo.
Anche il discorso del Presidente sull’Otto Marzo riflette questo spirito del tempo.