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Mercoledì, 20 aprile 2016

Maria Elena Boschi, la revisione costituzionale e le cose che non avvengono per caso

Camera dei Deputati. Comunicazioni del premier in vista del Cosiglio Europeo

Il forte depotenziamento a cui è stata sottoposta la rappresentanza politica non è certamente da attribuire soltanto alle ambizioni egemoniche di Matteo Renzi né alla sua pessima riforma costituzionale. Il cerchio magico della Leopolda, guidato da Maria Elena Boschi, ha semplicemente portato a compimento, per quanto riguarda il nostro Paese, un processo di restaurazione più o meno diluito nel tempo, ma ostinatamente pervasivo, oltre che segnato da vari passaggi traumatici, di cui, come per molte altre cose, si perde la memoria, perché così operano i dispositivi delle nuove forme di dominio del capitalismo.
Nel modo in cui sono stati veicolato e fatti assimilare questi dispositivi, è possibile rintracciare quanto di suo ci abbia messo anche la sinistra italiana, per far passare e rendere adattiva l’opinione pubblica e soprattutto il sentimento del “suo popolo” alla nuova logica economico-sociale, che si era affermata In Occidente fin dalla fine degli anni Settanta. Una sinistra sempre meno di sinistra, sempre più soggiacente alla logica neo-liberale e del tutto incapace di misurarsi con la “nuova ragione del mondo” che, sotto l’impulso dei teorici raccolti in particolare  nella famigerata Trilateral– per noi gente di sinistra di quegli anni – , divenne il modo nuovo di pensare e realizzare i rapporti sociali, valutare il ruolo delle istituzioni, mettere al centro della vita individuale e collettiva il principio della competizione e dell’ asservimento dello Stato al mercato. Il depotenziamento del costituzionalismo democratico nasce in quegli anni, “troppa democrazia” si diceva nelle sedi, nei circoli, nelle scuole economiche, nei think tank dei gruppi dominanti – tra cui appunto la Trilateral. E tutto questo lavorio fu decisivo per cambiare nel profondo il corso delle cose e soprattutto il modo di pensare le cose perché presto produsse potenti performance politiche a cominciare da quelle del presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan e della premier britannica Margaret Tatcher. Furono loro i primi ad avviare ricette economico,sociali volte a rompere il ciclo ascendete del secondo dopoguerra caratterizzato da conquiste sociali,messa a punto di nuove tavole dei diritti, comprovata capacità di contrattazione dei movimenti sindacali sul terreno del sostegno del mondo del lavoro e dei ceti popolari.

Mettere sotto scacco la democrazia rappresentativa fu il punto nodale della controffensiva neo-liberale e il formidabile punto a vantaggio che questa controffensiva segnò fu la conquista della sinistra “alla nuova via”. Tony Blair, che nel 1997 riportò al governo del Regno Unito il Labour, dopo diciotto anni di egemonia conservatrice, divenne il mentore della Terza via e del New Labour, dove il nuovo era rappresentato dal forte spostamento verso le ricette neoliberiste e l’abbandono delle vecchie ricette di solidarietà sociale.
Bisognerebbe rivedere il film all’ indietro della storia occidentale, oltre che italiana, per capire come siamo arrivati al punto in cui siamo e non meravigliarci troppo se in Italia si liquida la Costituzione a Parlamento dimezzato, nel tripudio o nel silenzio complice di gran parte di quel che resta o si dice ancora di sinistra. Ci sono le eccezioni, ma mai come su questo terreno le eccezioni rischiano non solo di apparire ma di essere solo residuali. Renzi ha trovato le condizioni migliori per condurre a termine l’operazione di formalizzazione anche sul piano “costituzionale” il lungo processo di indebolimento della Costituzione. Nei fatti, bisogna dire di “decostituzionalizzazione” del Paese. L’articolo 11: chi se lo ricorda?
Formalizzare un tale passaggio però non lascerà le cose soltanto come già sono. Se il referendum confermativo della legge Boschi, previsto per il prossimo ottobre, dovesse dare ragione a Matteo Renzi, si dovrà dire che il processo di revisione costituzionale è alla fine arrivato al punto essenziale – ma non definitivo, c’è da temere – di un sostanziale mutamento di quegli assetti istituzionali che la Costituzione del 1948 stabiliva e che la politica – quella di sinistra con colpevole convinzione, la politica nel suo complesso sempre con grave insipienza e non da ultimo tutta con crescente trasversalismo delle proposte – ha di fatto considerato o un ingombro per la governabilità del Paese o un aspetto non essenziale della democrazia rappresentativa.
Parliamo sia della rappresentanza politica sia, in specifico, della natura parlamentare della Repubblica italiana, di cui la legge Boschi modifica assetti e funzioni, soprattutto significante e significato. Dal Parlamento come legislatore al Parlamento come confermatore di quanto già deciso dal governo. Dal parlamento della rappresentanza politica al Parlamento del gioco della lobby, E così via.E’ stato sicuramente quello berlusconiano il ventennio decisivo per l’accelerazione del revisionismo costituzionale. Il ventennio della banalizzazione mediatica delle regole istituzionali, della riduzione della rappresentanza al fenomeno invero disgustoso del castismo e della demagogia a basso costo, mentre infuriava la devastante crisi economico-sociale che ha messo sotto shock l’Italia e gran parte dell’Europa, dando fuoco al rancore popolare e alla caduta libera della fiducia verso il Parlamento, il sistema politico, l’insieme dei partiti.
Ma la storia del revisionismo costituzionale va oltre quel ventennio, non mi stancherò di ripeterlo: era già cominciato da tempo anche in Italia, ed è doveroso il riferimento al decreto voluto da Bettino Craxi nel 1984, contro il cosiddetto punto unico di contingenza, cioè il meccanismo egualitario alla base degli scatti di allora della scala mobile. Serve a ricordare una stagione decisiva, in cui si andarono modificando strutturalmente i rapporti di forza nel Paese e si attenuò da allora fino a sparire il ruolo costituente che il riferimento alla Costituzione aveva avuto, nell’opera di colmatura che in suo nome era avvenuta, su alcuni terreni importanti. tra costituzione formale e costituzione materiale. Opera decisiva negli anni sessanta e settanta del secolo scorso: è per esempio del 1970 lo Statuto dei lavoratori che il renziano Jobs Act ha messo definitivamente sotto scacco mentre da allora è cresciuto un precariato e una precarizzazione della vita a cui – per tanti motivi che varrebbe la pena di mettere a tema per uscire anche dall’’attaccamento meramente nostalgico o ideologico a certi paradigmi del Novecento – la stessa Costituzione non era più in grado di dare risposte.
L’azione di colmatura di quel gap avrebbe via via subito battute d’arresto, soprattutto dopo un passaggio d’epoca da situare tra il 1981 della Fiat e, appunto, il 1984 di San Valentino, cioè la sconfitta di quello che era allora il cuore pulsante del fordismo operaio e l’eliminazione del meccanismo simbolo della cultura egualitaria di cui allora la sinistra andava fiera oppure che spesso doveva accettare obtorto collo. Poi cominciarono ristrutturazioni, dislocazioni finanziarizzazione a tutto campo e altro ancora.
E oggi Maria Elena Boschi che ci spiega che con la sua Costituzione “gli italiani” staranno meglio. Ahinoi, oltretutto una donna? No, assolutamente nell’ordine delle cose.

Commenti

  • francesco

    C’è chi continua a dire che la presenza di più donne in politica è garanzia di migliore funzionamento della macchina statale e di maggiore giustizia sociale. La verità è che conta quali interessi di classe si vogliono rappresentare. Ecco una campionatura significativa di donne arrivate ai centri apicali del Potere:
    Golda Meir, Margaret Thatcher, “Killary” Clinton, Elsa Fornero, Federica Guidi, Mariastella Gelmini, Nunzia De Girolamo, Elena Boschi…Un vero e proprio Tsunami!
    francesco, il primo.