Mettere via le armi e riconsegnare la parola alla politica. La risposta di Sel all’informativa di Alfano sul terrorismo internazionale
Signor ministro, abbiamo ascoltato con molta attenzione le sue parole perché speravamo di avere nuovi e ulteriori elementi per aprire una seria riflessione su un tema delicato come quello del terrorismo internazionale. Ci dispiace costatare che Lei oggi non ha aggiunto una parola in più rispetto a quanto abbiamo già appreso in questi giorni dalla stampa.
Di fronte agli orrori di questi mesi in Medio Oriente, la comunità europea ed internazionale deve intervenire a protezione delle popolazioni civili e per porre fine alle barbarie Jihadiste e ad una guerra che si trascina ormai da troppi anni. Condanniamo fermamente le atrocità commesse dai miliziani dell’Isis verso le popolazioni e gli ostaggi. Le immagini delle esecuzioni che hanno fatto il giro del web ci indignano e aumentano la nostra preoccupazione nei confronti degli ostaggi ancora nelle mani di questi assassini.
Pur tuttavia l’Europa e gli Usa hanno grandi responsabilità rispetto a quanto si sta consumando in quell’area. L’assenza di una vera politica estera europea, fondata sulla diplomazia e il dialogo e le decisioni errate assunte in questi anni hanno contribuito a creare la minaccia del terrorismo internazionale. Ci piacerebbe sapere come si declinerà nei fatti la nuova strategia della Nato e in che cosa si esplicita la coalizione contro l’Isis e quale sarà la posizione dell’Italia, che non è esente da colpe rispetto alla situazione determinatasi in tutto il Medio Oriente. Sulla Siria e la Libia ad esempio, non abbiamo compreso quale sia il ruolo dell’Italia nel processo di democratizzazione di quei Paesi. L’impressione è stata quella di un governo che ha scelto di stare a guardare, preferendo la salvaguardia degli interessi economici in quei territori, alla pace e alla stabilità. Il caos iracheno è la diretta conseguenza delle scelte compiute negli ultimi 15 anni anche dai nostri governi.
Restiamo contrari all’invio di armi ai Peshmerga perché vuol dire dare ragione a chi, come l’Isis, sostiene che l’Iraq non esiste più, accelerandone il processo di divisione. È incredibile che il Governo abbia assunto tale decisione senza coinvolgere l’intero Parlamento. Il quotidiano Libero ha scritto che dall’Italia sarebbero partiti esperti addestratori militari che avrebbero addestrato alcuni combattenti siriani finiti poi ad ingrossare le fila dell’Isis. Se così fosse sarebbe un errore strategico sul quale il governo deve fare chiarezza e riferire in Aula. Lei su questo punto non ha detto una parola!
Oggi serve inviare un contingente Onu a protezione dei civili con funzioni di ‘Peace Enforcement’ a guida europea e l’apertura di una conferenza di pace sul Medioriente che coinvolga tutte le forze moderate della regione per isolare economicamente e politicamente Isis e le forze jihadiste che operano in quelle aree. Serve creare corridoi umanitari a difesa dei civili. Su questo l’Italia e l’Europa sono in forte ritardo e il pericolo che le teorie jihadiste e del terrorismo islamico possano fare proseliti anche in casa nostra non può essere sottovalutato. Il fenomeno di reclutamento internazionale da parte dell’Isis ricorda (con tutte le dovute differenze, dal contesto storico alle finalità di quella guerra), quando da ogni parte si andava in Spagna per combattere contro il franchismo. Tuttavia, la risposta al pericolo del terrorismo religioso non può consistere nella chiusura degli Stati, con l’adozione di politiche repressive, discriminatorie e anti immigrazione.
Non possiamo contrastare un fenomeno di tale portata solo con leggi emergenziali. Occorre mettere in campo una serie di politiche che isolino i terroristi jihadisti e la loro propaganda. Il nostro compito è quello di indagare sul perché un giovane cresciuto in una capitale europea decida di partire per combattere a fianco di organizzazioni come l’Isis. Magari scopriremmo che le grandi sacche di disagio in cui spesso sono costretti a vivere gli immigrati possono rappresentare terreno fertile per il terrorismo. Solo la promozione di processi di pace e diplomazia estera, coniugata a politiche inclusive e di integrazione interne agli Stati europei tra culture e religioni diverse, possono rappresentare gli antidoti più efficaci per combattere la perversa spirale guerra-terrorismo. È giunto davvero il momento di mettere via le armi e riconsegnare la parola alla politica.
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