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Mercoledì, 12 febbraio 2014

Napolitano e il garbo istituzionale

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La richiesta avanzata dal M5S di mettere in stato di accusa il Presidente Napolitano per attentato alla Costituzione è stato rapidamente archiviato: appena lo spazio di un mattino, tutto risolto nell’ambito del comitato dei 44 parlamentari (23 senatori e 21 deputati) che ne fanno parte, sotto la presidenza del senatore Ignazio La Russa. Ho scritto in questi giorni che era scontato che si arrivasse a una rapida archiviazione non perché non ci sia da discutere sull’operato di Napolitano o perché non ci siano degli aspetti di verità nelle critiche e accuse che il M5S gli muove. Semplicemente non ci sono gli estremi per un’accusa così estrema come quella di attentato alla Costituzione.

Le accuse dei Cinque Stelle possono sollevare questioni di legittimità politica non di legalità costituzionale. E, aspetto ancora più importante, non possono essere considerate e valutate senza chiamare in causa altri aspetti di fondo, poiché le azioni di Napolitano hanno sempre coinvolto direttamente la politica in tutte le sue varie e svariate articolazioni: partiti, rappresentanze parlamentari, maggioranze di governo e  governi hanno infatti consentito, approvato, applaudito, insieme o a fasi alterne, anche i passi più audaci che il Presidente Napolitano ha compiuto nell’interpretazione del suo ruolo. Non ci sarebbero stati probabilmente, quei passi, se ci fosse stata la politica a fare quello che doveva fare, anziché affidarsi alla “saggezza” e alla “responsabilità” del Capo dello Stato, come a una manna del cielo. Si può discutere della scivolosa  connessione tra rafforzamento del ruolo in senso presidenzialista del Presidente e indebolimento del sistema dei poteri politico-istituzionali in una Repubblica parlamentare come la nostra. Si può affermare che quel rafforzamento è avvenuto sottraendo un’importante  materia istituzionale e costituzionale al dibattito pubblico e  alle sedi preposte, così che oggi, se si arrivasse a voler cambiare il ruolo costituzionale del Presidente in senso presidenzialista, l’idea di rimettere complessivamente in equilibrio tutti poteri dello Stato, a partire da quello presidenziale,  apparirebbe peregrina e fuori luogo.

Perché è passata la cultura di una carica personalizzata, di un presidente carismatico e salvatore della patria, senza preoccupazioni di vincoli né di limiti. Si può dire e pensare tutto, ma non separare la vicenda del Presidente Napolitano dalla più complessiva vicenda della crisi politica italiana che sembra non dover mai risolversi e di continuo riproduce il dispositivo politico-istituzionale dell’ appello al Capo dello Stato. Forse oggi siamo alla fine. Ma fino a oggi è stato così.
Il clamore suscitato dai retroscena dell’estate 2011, che il giornalista statunitense Alan Friedman ha raccontato nel suo libro “Ammazziamo il gattopardo” ha a che fare col modo particolarmente irrituale che Napolitano adottò con Monti per verificare se il professore fosse il successore adatto a prendere in mano le redini del governo. Era la fase cruciale della crisi del governo Berlusconi e si allargava sullo sfondo la minacciosa escalation dello spread tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi.  L’esplorazione, Napolitano la fece con un largo anticipo, nell’estate del 2011, cioè tre, quattro mesi prima che Berlusconi si rassegnasse a dare le dimissioni. La fece in modo del tutto informale, con lo scopo di capire, verificare, farsi un’idea. Fidandosi della capacità di quel “garbo istituzionale”, cioè evitare di rendere pubblici i pour parler che si abbiano col Presidente della Repubblica,  di cui parla la Corte costituzionale nella sentenza del Gennaio 2013 a proposito del conflitto con la Procura di Palermo sulle intercettazioni. Garbo che con tutta evidenza, leggendo le cronache di Friedman, manca al professore Monti. Che Napolitano nominò anche, con tempistica da corsa agli ostacoli, anche senatore a vita. Un benefit davvero fuori misura, ma sostanzialmente nelle sue mani.

La domanda politica è un’altra: ma fino a che punto il garbo istituzionale può conciliarsi con un mondo che moltiplica la voglia di notizie e le strumentazioni tecnologiche per sapere tutto in diretta?  E fino a che punto nascondersi dietro il garbo istituzionale evita interpretazioni di parte, conflitti ex post, ulteriore avvelenamento dei pozzi della democrazia quando, per qualsiasi motivo, coincidenza, operazione calcolata, il velame viene rimosso?
Se  si rileggono gli articoli della Carta, relativi a tutto ciò che riguarda il Presidente della Repubblica (dall’articolo 83 all’articolo 91 del Titolo II) non si può non rimanere colpiti dall’estrema sobrietà con cui la materia viene trattata. In quegli articoli troviamo solo  sobrietà del linguaggio,  precisione di funzioni, compiti, prerogative, chiarezza di connessione tra la funzione di Capo dello Stato e compito di rappresentare l’unità nazionale. Compito, quest’ultimo, nobile e grande, di natura strettamente costituzionale, per il quale non dovrebbe esserci la vocazione a coinvolgimenti diretti di natura strettamente politica. In nessuna direzione.

Commenti

  • Davide

    Sono d’accordo con te Elettra. In più, io penso che il movimento 5 stelle sta cercando di arrivare in tutti i modi al punto tale, che possa dire che è giusto usare anche la forza o la censura per affermare le sue ragioni. Il movimento ha molte idee giuste e formulate nel modo migliore, però da una rabbia cosi, si rischia di perdere la giusta via (l’idea vera di democrazia). I modi con cui si fanno le cose sono importanti, è una delle cose basi che ci insegnano nella nostra vita e che credo sia giusto ricordarsi ogni volta che facciamo qualcosa.

  • joey libero

    l’abbiamo capito che sel pd e pdl fanno lo stesso gioco. saluti ad archina’, bacio le mani

  • Giacomo Cossu

    Ma almeno hai capito quello che ha scritto?