Nel summit annuale della Nato quale ruolo avrà l’Italia?
La prossima settimana si terrà in Galles il summit annuale della NATO. Un incontro che – si prevede – sarà quasi esclusivamente centrato sull’Europa dell’Est e la crisi ucraina. “Back to square one”, direbbero a Washington, o forse una nemesi storica, per riassumere in tre parole la NATO di domani Quella di ieri l’altro – dopo la tanto caldeggiata “fine della storia” per dirla con Fukuyama, era in cerca disperata di una nuova mission dopo la caduta del muro di Berlino e la fine del Patto di Varsavia, Quella di ieri interveniva in maniera fallimentare in Afghanistan, prima operazione “out of area and out of mission”, e poi di volta in volta tentando di riconfigurarsi come “fornitore globale di sicurezza”. Libia docet. Oggi si torna da capo. Il nemico è lì dietro agli Urali, la cortina di ferro diventa una frontiera indefinita, fissata dalla NATO con la sua strategia di allargamento ad est e da Putin con la forza muscolare delle sue armate o della pressione sugli approvvigionamenti energetici. Così vedremo anche forti pressioni per aumentare le spese militari, fino al 2% del PIL. E notare bene, in un “op-ed” recentemente pubblicato dal Wall Street Journal a firma di Fogh Rasmussen e del comandante militare NATO Philip Breedlove si parla del nuovo pericolo ad Est, ma non si cita neanche di striscio l’Afghanistan, forse ad esorcizzare il fallimento della strategia di riconfigurazione del mandato della NATO. Con che posizione andrà l’Italia? Sull’Afghanistan ad esempio, come verrà gestito il passaggio tortuosissimo – viste le forti diatribe sulla convalida delle elezioni presidenziali nel paese – da ISAF alla missione di addestramento alla quale l’Italia ha già detto di voler partecipare con propri militari? Con la Libia alle porte, risultato evidente di ulteriore fallimento della cosiddetta “mission creep”? Tra le tante tracce di analisi che questi sviluppi offrono, due elementi possono essere presi in considerazione. Uno riguarda il rischio che tornando alla sua vecchia “raison d’etre”, la NATO ritroverà legittimazione politica e pretesto per chiedere maggior fondi nel suo ruolo di alleanza militare, ricompattando forse anche i paesi membri più recalcitranti dietro un obiettivo comune, e riportando indietro di anni anche l’analisi geopolitica e geostrategica. Così verrà tenuta in ostaggio anche la prospettiva di un’Europa che si possa liberare un giorno dalla cappa della NATO e degli Stati Uniti e diventare soggetto terzo di vera mediazione nei conflitti. Mentre Obama fatica a tenere l’asse del “Pivot” asiatico in chiave anticinese. E’ difficile poter immaginare quale spazio potrà esserci per un’alternativa pacifista in questo scenario, nel quale la prospettiva di una politica europea di sicurezza comune è ancora lontana, come anche la revisione dei Trattati, in quella che si preannunciava come legislatura costituente ed invece rischia di restare ancorata alla discussione tra austerità e crescita. Eppoi sulle spese militari, il Pentagono ormai ha due budget uno per il riarmo per guerre convenzionali con deterrente nucleare e via dicendo, l’altro per le guerre asimmetriche. Per i paesi NATO ai quali si chiederà di aumentare le spese militari potrebbe significare anche nel loro caso doppia configurazione strategica, con alti costi finanziari e politici. Per quanto ci riguarda, questo elemento evidenzia una grave contraddizione. Quali prospettive infatti ci possono essere in questo scenario per un approccio diverso alla sicurezza e per un rilancio dell’opzione di disarmo nucleare? Giacché l’Italia ospiterà bombe atomiche USA di nuova generazione su F35 riconfigurati che potranno arrivare a Mosca. Allora quale possibile ruolo di “mediazione” così tanto caldeggiato dalla neonominata Mrs PESC sarà possibile se l’Italia – stando così le cose – diventerà la punta avanzata del deterrente nucleare NATO e USA? Insomma una questione che non potrà essere facilmente liquidata a colpi di hashtag.
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ophios
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francesco martone