Non si possono chiudere gli occhi sulle violazioni dei diritti umani
La verità sulla morte di Giulio Regeni purtroppo è scritta sul suo corpo: nelle torture sistematiche durate per giorni, fino a ucciderlo, nelle ferite che lo hanno reso irriconoscibile persino agli occhi dei suoi genitori. Non abbiamo più bisogno di alcuna conferma per ricostruire cosa sia successo, per collegare la sua uccisione proprio al lavoro di studioso di quelle violazioni di diritti umani, sociali e politici che nell’Egitto di al-Sisi sono all’ordine del giorno.
I responsabili di questo delitto devono essere individuati e puniti. Ma sinora il Governo egiziano si è prodigato con ogni mezzo non per raggiungere questo obiettivo, ma per impedirlo. Ognuna delle bugie dette in questi mesi – e poi ritrattata soltanto per dirne una nuova – rappresenta un insulto alla memoria di Giulio e ai suoi genitori. Alle pressioni del nostro Governo per conoscere la verità sull’uccisione di Giulio, il Presidente al-Sisi ha risposto umiliando pubblicamente il nostro Paese, la nostra comune intelligenza, la dignità della nostra democrazia. Bugie che appaiono dalle ricostruzioni susseguitesi sin dalle prime ore, dalle voci infamanti che si è provato a mettere in giro sul suo conto, passando per la “sceneggiata” della collaborazione fra Procure. E infine le oscene derisioni diffuse dai media egiziani negli ultimi giorni e l’arresto al Cairo del consulente della famiglia Regeni Ahmed Abdallah. Una continua e perdurante offesa alla dignità del popolo italiano e finanche delle sue istituzioni democratiche.
Non voglio sottovalutare l’interscambio commerciale con l’Egitto, per esempio, o anche la possibilità di sfruttare il giacimento di gas scoperto dall’Eni a largo di Zohr, che ha un ovvio valore strategico, né occorre dimenticare il ruolo che può avere l’Egitto nel fronteggiare il crescente fondamentalismo islamico, ma ci sono momenti nei quali un Paese è chiamato a scegliere tra la difesa dei principi che proclama inviolabili e i calcoli della realpolitik. Ed è da questa scelta che dipendono la sua identità, la sua dignità e, alla lunga, anche la sua credibilità internazionale.
Avere appoggiato quei regimi in nome della realpolitik è stato per molte potenze occidentali uno dei capitoli più vergognosi della guerra fredda ed è stato anche un errore strategico per il quale l’Occidente continua a pagare durissimi prezzi. Non si può rifare oggi quello stesso tragico sbaglio in nome della guerra al Daesh o dell’emergenza profughi. Il nemico del proprio nemico non può essere sempre e comunque un amico. Non si possono chiudere gli occhi sulle violazioni continue dei diritti umani che a parole, peraltro, tutti quanti noi proclamiamo sacri. Possiamo ancora considerare l’Egitto di al-Sisi un Paese amico e un punto di riferimento privilegiato nel delicatissimo scacchiere del Mediterraneo e mediorientale?
Per questo ritengo che il premier Renzi e il ministro Gentiloni debbano agire con maggiore incisività nei confronti dell’Egitto e in tutte le sedi internazionali. Combattere quelle violazioni a tutti i livelli senza farci distrarre da considerazioni reali, ma di ben più piccolo cabotaggio è ciò che tutti noi dobbiamo alla sua memoria, alla dignità democratica dell’Italia e, infine, a noi stessi. E oggi questa scelta è una necessità politica, oltre che un dovere nei confronti di un nostro connazionale e della sua famiglia.
Nelle relazioni dell’Europa con l’Egitto la questione dei diritti umani non può essere un accessorio insignificante. Deve essere, piuttosto, una priorità fra le priorità. Condivido e sottoscrivo l’appello lanciato nei giorni scorsi su Huffpost da Luigi Manconi e da ‘A buon diritto’.