Nostalgia canaglia o gocce di memoria
Da più parti, dai dirigenti di Sinistra Ecologia Libertà, dallo stesso Nichi Vendola, ascoltiamo e assumiamo la necessità di rilanciare il partito, nei luoghi dell’opposizione, come sfida a Renzi nel campo della sinistra, dei diritti, della tutela delle persone, del lavoro, della lotta ai diktat europei. Il dibattito interno, tra i militanti, nei territori, a tutti i livelli, discute dell’errore di chi si è dimesso, di chi è uscito da SEL arrendendosi al partito della Nazione, quello del decreto Poletti e Lotti, di come è stato fatto, ma anche della necessità di non arroccarsi su esperimenti di una certa sinistra radicale-intellettuale che potrebbero risultare stantii, vecchi e antiquati.
Esperimenti, di federazioni o costituenti, che andrebbero a scartare quell’ipotesi di sinistra plurale, propositiva e di governo che era, e continua ad essere, la ragione di vita di Sinistra Ecologia Libertà. Si apre il dibattito insomma, mai fermo, su cosa debba essere la sinistra in Italia, si guardano i modelli di Syriza e di Podemos, si fanno ipotesi di posizionamento. Io credo che quello su cui bisogna ragionare, visto che si apre il nuovo tesseramento, è: perché dovremmo, e più di noi, dovrebbero farlo persone che vorremmo partecipassero e si avvicinassero alla politica, tesserarsi a SEL? Cosa proponiamo? Ma piuttosto, come lo proponiamo?
Sono convinta che questo governo non risolva la vita delle persone, che sia assolutamente carente nell’ambito dei diritti, che stia producendo una serie di decreti che precarizzano ancora di più la vita delle persone, che non dica nulla in materia di ambiente e anzi persegua la distruzione del territorio, a partire dalle trivellazioni nei nostri mari e dal regalare ancora la terra alle forze armate (MUOS). Credo che in Europa Renzi rispetterà i patti, quelli con la Merkel, che continuano a impoverire e creare miseria, e farà i conti con il pareggio di bilancio piuttosto che con i cittadini. E penso che dobbiamo stare all’opposizione, adesso, perché non c’è nulla in questo governo che miri a dare attenzione agli ultimi ed alle fasce deboli della società. Anzi, è un governo che alimenta un sistema generatore di disuguaglianze e povertà. Ho letto la lettera di Nichi, che invita a entrare e cambiare il partito, questo Paese e il mondo, che è poi la spinta essenziale che porta ognuno di noi a fare politica. Eppure c’è qualcosa che manca: è quel “come si fa” a cui ognuno prova a dare, a suo modo, una risposta. C’è chi ricorda le grandi vittorie, quelle dei referendum e delle buone amministrazioni, chi decide di non ricadere nella nostalgia dei tempi che furono e avverte invece l’esigenza di segnare una cesura con progetti passati. Io credo invece che sia utile riprendere alcuni punti essenziali, per capire dove siamo e qual è il nostro campo di agire il cambiamento.
Credo che, se è vero che il progetto di Italia Bene Comune ha perso e che riproporlo tale e quale, sul piano nazionale, sarebbe un’operazione di pura follia, essendo cambiati quadro ed interlocutori, oggi va indagata e approfondita invece quell’idea di Bene Comune che, sebbene non abbia vinto alle scorse politiche, continua a vincere, quando messa in pratica, in molte amministrazioni. Un’idea che rappresentava, per me e molti di noi, uno straordinario avanzamento nel campo della sinistra. Non penso che questo sia un atteggiamento nostalgico, ma un riconoscimento che è punto di partenza, senza il quale si torna indietro, a quella canzone di Gaber, “Cos’è la destra, cos’è la sinistra”, a cui avevamo provato ad accennare una risposta.
Bene Comune significava, e significa tuttora, rendere le persone protagoniste della vita propria e degli altri, della vita collettiva, della Res Publica e delle sue risorse, provando ad abbattere uno degli effetti più drammatici della crisi che stiamo vivendo: le immense solitudini. Bene Comune significava chiamare i cittadini e le cittadine ad una partecipazione attiva alla politica del territorio, del lavoro, del Paese, colmando una distanza abissale tra istituzioni e persone. Sarebbe estremamente riduttivo pensare a Italia Bene Comune solamente come alleanza di Sel con il Pd, tanto quanto mi è chiaro che quel cartello, così riproposto non avrebbe oggi un senso. Quello spirito va però ricostruito, con altre parole, con un linguaggio nuovo, che apra un percorso di partecipazione attiva della società e che dia il senso di una politica non ristretta al Palazzo o ai grandi vertici, ma praticata in mezzo e con le persone, terreno su cui Renzi sta perdendo, preso dai grandi vertici, dai tatticismi di partito, dalle grandi manovre riformiste, più interne che reali.
Gli intellettuali, quelli della lista Tsipras e altri modelli. No, non mi sento pronta a scrivere una tesi su Gramsci, ma certo è che una qualche domanda sulla figura che gli intellettuali hanno nella lista Tsipras, avendo Sel con loro un rapporto, sul concetto di intellettuale e di dirigente bisogna farsela. Cosa hanno prodotto o producono in termini di percezione della politica o di risposte alla crisi gli intellettuali della lista Tsipras, o piuttosto quanto sono “soggetto a sè”? Quanto, pur non essendo organici al partito, riescono a incidere sui cambiamenti culturali, a dare direzione a masse sempre più disgregate e fatte di solitudini? O se vogliamo dirla con i termini d’inizio millennio, quanto attraversano e danno una direzione alla moltitudine? Potremmo considerare gli intellettuali digitali, gli opinion e i policy makers, intellettuali di oggi? Chi è pronto a suggerire risposte ai problemi del Paese: solo e soprattutto gli intellettuali o anche quel gran corpo sociale di precari, scienziati, laureati e dottori che vivono le difficoltà della crisi e nel contempo formulano alternative? Quanto Grillo o Renzi, comico e one-self-man, hanno saputo dare una risposta, chiaramente differente e opinabile, alle persone? Quanto Sinistra Ecologia Libertà riesce, tramite dirigenti ed intellettuali e quali, mi chiedo, “se” ed “o” quelli della lista Tsipras, ad essere quel partito che spiega le ragioni di una sofferenza dilagante e riesce, attraverso un processo di partecipazione, a tradurla in proposta politica?
Questo lo dico perché penso che dobbiamo avere l’ onestà intellettuale di chiarire i rapporti di Sinistra Ecologia Libertà non solo nei confronti del Pd, giustamente, ma anche dell’esperienza della lista Tsipras, evidenziandone gli aspetti positivi, in termini di energie liberate, ma chiarendone anche i rapporti. Così come credo che, in termini generali, non serva l’apologia del conflitto, quanto piuttosto ne sia necessaria l’esegesi. Se dovessi parlare di funzione rappresentativa del conflitto, a malincuore dovrei al momento citare Grillo, la sua espressione della rabbia, e in un certo senso della ribellione. Falsa, ingannatrice, ma così percepita. Quanto invece il conflitto, la denuncia, la rabbia, l’esasperazione anche, sono necessari a generare l’incontro tra persone e politica? Credo che anche su questo punto Sinistra Ecologia Libertà abbia rappresentato un avanzamento. Penso che abbia detto, o meglio così io l’ho interpretato, che il conflitto non basti a sé stesso, che è necessario coglierlo, attraversarlo, ma che l’obbiettivo debba poi essere non solo rappresentarlo, ma tradurlo in forma e proposta politica, di governo. Producendo un incontro. La filosofia dell’incontro genera molte suggestioni e apre la strada al compromesso e alle mediazioni. Non possiamo praticare la strada dell’incontro tentando esclusioni e tagliando possibilità di interlocuzione.
E’ utile, secondo me, in questa fase, più che dibattere su eventuali collocazioni, alleanze o nuove soggettività politiche, riprendere quel vecchio dibattito tra forma e sostanza della politica, e ancor più tra teoria e pratica politica. Lo dico perché sembra evidente quanto la proposta di Sinistra Ecologia Libertà appaia poco comprensibile al Paese. Non bisogna liquidare, come abbiamo fatto in passato, l’idea del ruolo di Sel, ma sembrano lontani quei giorni in cui questo dibattito era vivo, in cui si discuteva, in maniera organizzata, di partito liquido, mezzo e non fine a sé stesso. Quella discussione è stata abbandonata troppo velocemente e non ha saputo supportare tutti i passaggi successivi, i cambi di fase, ritrovandosi infine oggetto di qualche sciocca battuta odierna, nello scioglimento o meno nelle fila del Pd. Ma quel dibattito rappresentava una grande innovazione, scardinava l’idea del partito novecentesco e apriva gli orizzonti a nuove forme di partecipazione e costruzione collettiva del domani. Liquidità del partito non significava scioglimento, ma piuttosto apertura degli spazi e dei luoghi della politica, attraversamento della società, inclusione. Ad una debolezza nella gestione di questo concetto si è fatto fronte da un lato con una scarsa cura della comunità, scambiando la liquidità con la non-appartenenza, come se Sel fosse precaria di per sé, dall’altro lato, per provvedere ad una necessità di strutturazione, si è proceduto con la chiusura e una sorta di settarizzazione eccessiva dei corpi dirigenziali, tralasciando l’apporto più interessante di quella forma liquida, ovvero il suo carattere inclusivo. Allo svilimento culturale dell’era berlusconiana il nostro leader contrapponeva un lessico complesso che restituiva dignità e pienezza alla politica, e questo rappresentava una novità, un’alternativa, nella forma, ad una politica che non parlava più a nessuno. La forma di una politica che era nella sostanza, alternativa. Questo è uno dei punti centrali per me oggi.
Trovare il linguaggio, chiaramente non solo del leader, che parli alle persone, nella fase mutata in cui oggi ci ritroviamo. La novità più interessante, nei termini di comunicazione politica sembra essere oggi quella di Renzi, che ha cambiato radicalmente il rapporto tra forma e sostanza. Berlusconi aveva praticato una forte scissione tra le due, appaltando la forma ai maghi della comunicazione aziendale e immettendo logiche pubblicitarie e di mercato nella pratica politica. Era questa un’immensa novità, dove prima la comunicazione faceva parte della politica in sé, e anzi ne era elemento caratterizzante. Si pensi al ruolo della propaganda politica di tutto il ‘900, ai manifesti, agli slogan, dove tutto era in mano ai dirigenti, che su quelle proposte, dettavano il più delle volte le linee politiche. Il passaggio segnato da Berlusconi è stato seguito da tutti gli altri. Non c’è politico che non abbia colto il messaggio, mettendolo in pratica più o meno bene, ma tanto da rappresentare un cambiamento del fare politica nel suo insieme. Fino all’arrivo di Renzi. Renzi sceglie, coscientemente, che la comunicazione politica deve rientrare a far pienamente parte delle segreterie di partito. Il suo staff, i dirigenti, e persino i suoi, sono gente di comunicazione, che sa comunicare, cresciuta con Facebook e Twitter, gente del XXI secolo. La forma ritorna sostanza della politica e ne costituisce la parte più importante. Lo stesso Grillo, per quanto innovativo, non era riuscito a cambiare tutto e si era mantenuto su una forma di stampo ancora berlusconiano, basata sulla dicotomia buoni vs cattivi, appaltata al mentore Casaleggio. Di fronte a un così imponente cambiamento delle forme, a partire dal successo della rottamazione, tanto brutto come termine quanto riuscito per segnare un cambiamento, Sinistra Ecologia Libertà non può non fare i conti con la sua comunicazione ed i suoi strumenti, perché la comunicazione non è più, come nel ventennio berlusconiano, un orpello vincente, più o meno bello, della sostanza, re-styling di un buon cartello, ma diventa sostanza stessa. Possiamo dire che quello di Renzi sia un velo di Maya, che occulta un governo di larghe intese, certo, che la sua sostanza in sé stessa è ingannatrice perché dietro alla “velocità” delle riforme si nascondono leggi e trasformazioni ai danni del Paese.
Ma allora dobbiamo trovare la nostra forma che indichi la nostra sostanza. Non si tratta di copiare modelli, e dico – non si tratta di copiarne alcuno. Si tratta piuttosto di capire le nostre parole e quelle che sono più comprensibili ad una società che ha difficoltà a capire “terra di mezzo”, piuttosto che “terra degli ultimi”, che comprenderebbe meglio, ma lancio solo alcuni esempi, “cantieri del domani” piuttosto che “conferenza programmatica”. Sono solo alcuni spunti per dire che a quelle tante relazioni e documenti che dettano la nostra linea politica, che per me rimane la costruzione di una sinistra di governo, è necessario dare un volto: immediato, perché quando un volto lo vedi devi riconoscerlo. Un volto che parli alle persone e non si guardi allo specchio. Questo processo può essere costruito solo a partire da una raccolta di idee, da un’elaborazione collettiva, anche al di fuori degli iscritti o militanti del partito. Dalla costruzione di quella rete degli amministratori in tutto il Paese che ormai abbiamo e che però manca, dalla formazione di luoghi e momenti di partecipazione che spaziano dalle primarie nella scelta dei dirigenti, di qualsiasi livello, alla formazione di luoghi decisionali, utilizzando nuove piattaforme del web. La preoccupazione che sento non è solo come ci presenteremo alle prossime elezioni, regionali o amministrative, o di quanti pezzi stiamo perdendo. Ma quella di trovare il modo di aprire le porte di casa, invitare le persone a entrare e fare in modo che ci rimangano, perché sanno di essere indispensabili a cambiare, in meglio, questo Paese. Troviamo il modo di farlo, e troviamolo presto.
Assemblea nazionale Sel – Tilt!
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sergio
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Guido Conti
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Elettra Deiana