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Venerdì, 28 novembre 2014

Olive sotto attacco: tra mosche e clima annata disastrosa

Olive

Solo pochi giorni fa il giornale “il Tirreno” occupandosi dei Monti Pisani intitolava “Olive, la raccolta è calata del 90 per cento”. Le cause di un tale crollo? La mosca olearia (che deponendo il suo uovo nell’oliva ancora in fase di maturazione fa si che alla nascita la larva si nutra della sua polpa fino a divenire crisalide) e le piogge sempre più violente per colpa dei cambiamenti climatici. A rischio, certo, non è solo un territorio, che alla chiusura ed abbandono degli oliveti andrebbe incontro ad un forte rischio idrogeologico (come ricorda il sindaco di Calci Massimiliano Ghimenti), ma un’intera comunità.

Ma il caso dei Monti Pisani è solo la finestra su cui si affaccia l’Italia di circa 1 milione di medio-piccoli produttori di olio, sulla quale si è abbattuto il forte maltempo degli ultimi mesi, incidendo particolarmente sulla qualità e sulla quantità di uno dei prodotti più apprezzati, a livello internazionale, del nostro Paese. Tale calo nella produzione ha fatto già registrare un aumento dei costi del prodotto che secondo la Coldiretti, nella sola Bari, è stato ben del 38%. Ma la profonda crisi viene riportata e sottolineata dagli esperti dell’ISMEA (l’Istituto di servizi per il mercato agroalimentare) secondo i quali le tonnellate di olio prodotto scenderanno da 464 mila (dati Istat) dello scorso anno a 302 mila di quest’anno. Sempre ISMEA sostiene che la produzione di olio calerà del 45% in Liguria, in Abbruzzo e nelle Marche, stimando nel meridione d’Italia un calo del 45% in Basilicata, del 40% in Campania e in Sardegna, del 37% nel Lazio e del 22% in Sicilia.

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Un dramma, insomma, che vede a rischio il reddito di molti olivicoltori che saranno costretti o a vendere le riserve dello scorso anno o a dover acquistare olive fuori regione, mettendo a forte rischio l’alta qualità del prodotto finale. Infatti nonostante la crisi, ad esempio in Umbria, la domanda di olio extravergine di oliva è aumentata insieme alla psicosi dei produttori di non poter far fronte ad essa solo attraverso le proprie riserve.

In Abruzzo, ove in molti casi si è addirittura preferito non raccogliere le olive, in forte affanno sono le piccole aziende, soprattutto quelle produttrici di olio biologico (rigide nel non utilizzo di pesticidi), che se non aiutate cadranno in un vortice economico negativo e si vedranno costrette a ricorrere al sistema del “blending”, ossia ad una miscela simile a quella del caffè, cercando di garantire degli standard qualitativi elevati e che preservino il profilo organolettico dell’olio, non senza però escludere il rischio di incorrere in olivicoltori disonesti che manipolano il prodotto.

Le abbondanti piogge dei mesi tra maggio e luglio, e l’invasività dei parassiti (mosca e tignola), non hanno risparmiato neanche l’olio calabrese e quello pugliese (colpito anche dal batterio Xylella), produzioni che, essendo tra le prime del Paese, a fine anno, incideranno fortemente sulle tonnellate totali. Nella terra di Pitagora il cambiamento meteo repentino ha comportato problemi in fase di fruttificazione che si sono riverberati in una fortissima crisi produttiva soprattutto nelle provincie di Catanzaro e Reggio Calabria (stima Ismea -35%). Nel tarantino invece l’ultima tromba d’aria ha sradicato oltre 1000 olivi e nel tacco d’Italia il calo della produzione non sarà minore del 35% rispetto allo scorso anno.

Ma la tendenza in negativo non riguarda solo il nostro Paese ma si rivela di dimensioni mondiali. La Coldiretti e il Oil Word stimano una riduzione della produzione mondiale del 17%, equivalente a 2,9 milioni di tonnellate, diminuzione che porterà con se un aumento globale del costo dell’olio extravergine.

Presa coscienza di tali eventi non possiamo che sottolineare il nostro disappunto sull’immobilismo a cui sembrano condannati alcuni settori del nostro Paese. Negli ultimi decenni, l’Italia, ha peccato di investimenti nella ricerca e nell’utilizzo di sperimentazioni nuove, rimanendo arretrata rispetto alle tecniche applicate dall’olivicoltura moderna, pecca che, oggi, non si esclude pagheremo con importazioni di olive e olio provenienti da regioni del Nord Africa e del Medio Oriente (a forte rischio il rispetto dei vincoli di qualità e dei requisiti europei di produzione).

La maggior aggressività della mosca olearia, concausa della crisi oleicola, però, ha motivazioni riguardanti non tanto le tecniche di olivicoltura quanto il cambiamento ambientale che ha registrato un tasso di umidità stagionale molto più elevato rispetto a quello dello scorso anno. Il cambiamento climatico da pura teoria, con le sue forti concentrazioni di Co2 in atmosfera, con le sempre più frequenti manifestazioni meteorologiche estreme, coinvolgerà sempre di più nel suo mutamento le produzioni agricole, ancora caratterizzate da forte impatto ambientale e input energetico impegnativo.

Una seria programmazione politica, che dia chiarezza sui negoziati TTIP (che mettono a rischio gli standard di sicurezza agroalimentare UE), che dia sostegno alla ricerca, alla specializzazione, alla sostenibilità e dia le giuste garanzie di tutela alle piccole e medie imprese come a coloro che attraverso l’agricoltura familiare salvaguardano la sicurezza alimentare, la gestione delle agro-biodiversità, danno lustro al nostro Paese curando prodotti famosi in tutto il mondo, non può più attendere.