Paracadutisti in Libia
Duecento paracadutisti del 186esimo reggimento Folgore, corpo d’eccellenza delle Forse Armate italiane, sono in partenza per la Libia. Il loro compito, secondo la vulgata istituzionale di Pinotti e Gentiloni, sarà quello di proteggere l’opera che un centinaio di medici e infermieri del nostro Paese, provenienti per lo più dal policlinico militare del Celio, svolgeranno il Libia per allestire un ospedale da campo e, come ha spiegato la ministra della Difesa, prestare soccorso ai valorosi combattenti libici, impegnati nella lotta contro Daesh.
La Libia, come le cronache ci fanno sapere, continua a essere nel caos più completo e sotto il continuo tiro incrociato delle armi, con tutto quello che ciò comporta per la quotidianità della vita di donne e uomini di quel Paese. Ma in questi ultimi tempi il disordine e gli scontri non dipendono soprattutto dalla presenza dei miliziani jihadisti dell’Isis, Le diverse enclave dei seguaci del Califfato si sono sciolte e ridotte e la maggior parte dei miliziani sono in fuga verso i Paesi limitrofi. Questo in seguito alle operazioni militari compiute dalle milizie filo Sarraj, il personaggio chiave che, per mandato dell’Onu e con l’accordo dei Paesi occidentali, dovrebbe svolgere il ruolo di capo di un governo di unità nazionale. Ma l’obiettivo di un governo così denominabile, che è stato a lungo il mantra di Matteo Renzi a sostegno di un futuro non meglio mai specificato impegno militare italiano in Libia, non è stato affatto raggiunto.
Infatti il parlamento di Tobruk, l’antagonista di quello di Tripoli in seguito ai risultati delle elezioni del 2014, non ha riconosciuto l’autorità di Sarraj e sostiene invece l’opera del generale Khalifa Haftar. Il fronte pro Haftar conta anche sull’appoggio del Consiglio militare degli Zintan che occupa una fascia di territorio a ridosso della Tunisia, e nelle ultime settimane ha realizzato la messa sotto controllo di cinque terminali petroliferi nella parte orientale del Paese, sollevando la questione del chi controlla il petrolio libico. Questo stato delle cose ha dunque i caratteri di un disordine libico sempre più legato agli irrisolti problemi del rapporto tra le due parti del Paese, che si erano divise tra Tobruk e Tripoli, nonché dagli interessi diversi delle potenze occidentali che già agiscono in loco in vari modi “segreti” e dell’Egitto, potenza locale molto interessata al suo fronte libico e non a caso sostenitore di Haftar. Conflitto interno, scontro tra le fazioni, escalation in questa direzione. Rischio di una vera e propria deflagrazione di tipo civile. Che l’Italia faccia il passo che si appresta a fare in questa situazione è estremamente negativo.
La solita informativa al Parlamento serve solo a dire che il Governo non fa cose di nascosto su una materia che sa bene quanto sia velenosa, per un Paese come l’Italia, dal passato coloniale in Libia e con non poche responsabilità dirette nel disastro dissolutivo dello Stato libico del 2011. E con gli attuali interessi energetici che ha là. Bisognerebbe augurarsi che il Parlamento prendesse seriamente la cosa, non si accontentasse dell’informativa, riprendesse in mano l’intera faccenda, avanzasse proposte efficaci per rimettere in gioco una transizione di pacificazione e ricerca di stabilizzazione. Ma è come chiedere la luna, dato che con sempre maggiore evidenza la politica serve ormai soprattutto a proteggere interessi forti e complessi e a far guadagnare consensi elettorali a chi quegli interessi operativamente porta avanti e protegge, Tertium non datur? C’è sempre l’utopia, ma è proprio un altro terreno.