Per Sel un unica e difficile strada: aprirsi al confronto rifuggendo da tentazioni minoritarie
Sono passati i tempi dei grandi progetti collettivi e delle forti identità che hanno animato grandi passioni popolari. Nella politica attuale ci si può scindere da una comunità per l’attrazione irresistibile che esercita la funzione di governo di Renzi o, da quel che si legge, per tentare di diventare primo cittadino in una grande città del mezzogiorno. Senza acrimonie e lontanissimo da sterili invettive che tradurrebbero in imbarazzante farsa le tragedie del secolo scorso, non può stupire la scarsa presa sociale che anima questa ennesima e disinvolta operazione interna al Palazzo, né la sua inintelligibile consistenza culturale e teorica. Ma il danno provocato dai parlamentari che scelgono di confluire nel Pd (di questo si tratta perché un gruppo autonomo con i socialisti e, soprattutto, con quel che resta della creatura politica di Monti non mi pare possa a lungo dare prova di buon “riformismo”) è enorme e non può essere sottovalutato.
Giovandosi dei riflettori dei media e della luce che “illumina” le politiche di governo si esalta un messaggio chiaro: o sei dentro il contenitore indistinto e fluido dell’attuale Pd o sei confinato in una marginalità residuale. E’ la negazione in radice delle ragioni teoriche e politiche con cui è nata Sel. Vale a dire costruire una sinistra con una cultura di governo in grado di orientare scelte socialmente e ambientalmente connotate e di ridare senso democratico ad una crisi drammatica di rappresentanza e di funzione della politica. Allora il quesito di fondo ineludibile che dobbiamo porci e sul quale aprire una riflessione collettiva è il seguente: si può perseguire il progetto della costruzione della sinistra nel partito della nazione di Renzi?
Io penso che sia teoricamente, socialmente e tecnicamente impossibile. Tecnicamente perché il populismo “dolce” di Renzi presuppone un rapporto tra l’uno ed il molteplice che non tollera relazioni sociali strutturate. Si guardi al rapporto sbrigativo e liquidatorio con le organizzazioni sindacali, peraltro in crisi per proprio conto. Socialmente perché insieme agli 80 euro che sarebbero un buon inizio per una politica redistributiva (salvo poi a non essere destinati a tutti coloro che ne avrebbero urgente bisogno ed essere finanziati con tagli alla spesa di enti locali che si traducono in riduzione di servizi e maggiori tassazioni per i meno abbienti) è stato varato un decreto sul lavoro che invece di intervenire sulla domanda aggregata con opportuni investimenti interviene sull’offerta precarizzando ulteriormente i rapporti in sintonia con quanto predicato ed attuato dalle politiche liberiste degli ultimi 30 anni.
Teoricamente perché il “gorgo” renziano attrae indistintamente da sinistra a destra fino a far dire a Monti che questa è la sua politica. Neanche un abbozzo di critica alla società contemporanea. Una moderna coniugazione del rapporto tra uguaglianza e libertà, termini tra loro scissi in tutto il ‘900, e fondativi di una nuova sinistra sono, come si vede, impraticabili. Per non parlare dei pasticci sulle riforme costituzionali.
L’approdo ad un Pd che ha derubricato l’orizzonte socialdemocratico mi pare una resa culturale e politica, frutto di un disperato e conformistico “non c’è nient’altro da fare” piuttosto che un investimento sul futuro. E d’altronde l’afasia, le difficoltà d’iniziativa e, in qualche caso, maldestre forme adattive e trasformistiche delle aree che si dichiarano di sinistra nel Pd lo stanno a dimostrare. Paradossalmente queste aree potrebbero essere rianimate da un rapporto politico e da una pratica sociale con una forza autonoma della sinistra piuttosto che essere rimpiazzate da una “sinistra” interna “compatibile” con il leader.
Per Sel c’è dunque un’unica e difficile strada da imboccare dopo il successo della lista Tsipras a cui ha largamente contribuito e che è stato intenzionalmente oscurato da chi ha promosso queste ultime vicende. Tenere aperto il confronto con le forze che hanno animato questa iniziativa rifuggendo da tentazioni minoritarie che qua e là si sono manifestate in questa esperienza e allargando il confronto al malessere interno allo stesso Partito Democratico cercando di interpretare la crescente disillusione provocata da una gestione privatistica, autoritaria e contraddittoria dell’ansia di rinnovamento depositata in una parte del voto grillino. Con questa interlocuzione larga occorre riprendere il filo di un’innovazione culturale e teorica della sinistra che guardi all’Europa imprigionata nelle politiche di austerity. Ulrich Beck ha recentemente pronosticato, dopo il voto europeo, un allentamento dei vincoli di rigore. Può essere, ma siamo ben lontani dall’intravedere una reale alternativa al moltiplicarsi delle diseguaglianze e della disoccupazione.
D’altronde si torna alle larghe intese ed in quel contesto cambiare verso è impresa ardua. L’iniziativa del referendum contro il fiscal compact, un piano straordinario per il lavoro ed un reddito di cittadinanza possono essere l’identità sociale di una sinistra ampia in grado di praticare un’iniziativa diffusa e capillare. Incalzare il governo con una visibile soggettività sociale e democratica, valutare laicamente e senza nessun pregiudizio ogni suo provvedimento senza subire imposizioni dovrebbe essere nel novero delle cose possibili. Più complessa è la ricostruzione di un legame sociale, di forme di solidarietà e di un’idea di comunità. Colpisce l’irrilevanza diffusa della politica ed il suo degrado persino morale. Ma trovo impossibile contrastare questa deriva senza prospettare un’alternativa di società che provi a fascinare e rimotivare una parte di popolo. Sarà mica un caso che grandi opere e grandi ruberie viaggino sempre insieme? Sarà mica un caso che la perdita di ogni bussola di uguaglianza abbia alimentato le più sordide operazioni di accaparramento individualistico di fortune?
La crisi ha accentuato distanze e spezzato legami di solidarietà. Ha impaurito e fatto sprofondare nella precarietà intere classi sociali, distrutto il futuro delle nuove generazioni. E’ evidente che gli orientamenti politici e culturali siano estremamente mobili e fluidi se non esiste una prospettiva. Qual è la nostra prospettiva, l’alternativa di modello sociale? Da un po’ di tempo lo psicanalista Massimo Recalcati parla della distinzione tra bisogni e desideri. Tra l’impulso e l’investimento nel futuro che ci faccia superare questa stagione di passioni tristi in cui prevalgono solo traiettorie e “bisogni” personalistici. Non vedo altra via per ricostruire una sinistra ed una nuova idea di società e per tornare a dare senso e dignità all’impegno politico quotidiano.
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