Perché votiamo no alla decreto legge sul lavoro del governo Renzi
Per l’ennesima volta in questa legislatura ci troviamo davanti ad un voto di fiducia chiesto dal governo per nascondere i contrasti interni alla maggioranza e per provare a tenere insieme una compagine troppo diversa che vacilla ogni qualvolta si affrontano i temi più delicati per il Paese.
Il sensazionalistico “cambia verso” purtroppo non ha attraversato le pratiche di questo governo e di questa maggioranza e si è fermato davanti all’uscio di quest’aula. Ho l’impressione che anche il governo guidato dal Presidente Renzi, stia cominciando ad abusare di questo strumento, che pure più volte aveva criticato rispetto all’uso fatto dai suoi predecessori e, contravvenendo a quanto sostenuto nel discorso d’insediamento rispetto alla centralità del Parlamento, sta continuando nel solco di una pratica sbagliata, che impedisce e strozza qualsiasi dibattito pubblico per rimandare le soluzioni nei retrobottega, negli accordicchi sottobanco che nulla risolvono, negli equilibrismi tra forze politiche profondamente diverse tra loro eppure appartenenti alla medesima maggioranza di governo.
Sicuramente oggi non vi mancheranno i numeri per ottenere la fiducia e potrete continuare con il vostro lavoro ma sappiate che agli occhi del Paese oggi celebriamo una sconfitta, non una vittoria. Questa maggioranza ha già perso per il semplice fatto di dover ricorrere allo strumento della fiducia per celare i ricatti mossi da una parte minoritaria della vostra maggioranza o peggio ancora da parte di qualche ex ministro del lavoro non ancora soddisfatto dei disastri che ha già fatto al Paese e che pure è in grado di condizionare l’operato del governo e orientarne le decisioni con richieste sempre maggiori avvitando la discussione in una spirale senza fine nella quale non c’è più spazio per l’interesse generale del Paese ma solo di quelli di partito o di un punto percentuale in più alle prossime elezioni.
Questa maggioranza ha già perso perché il decreto lavoro doveva rappresentare l’occasione per dare al Paese un vero segnale di cambiamento, doveva servire a dare quella spinta necessaria al Paese per rimettere in moto l’economia, creare sviluppo, far ripartire i consumi e aiutare quel milione di famiglie che vive senza un reddito da lavoro a rimettersi al passo con gli altri. Poteva essere uno strumento utile a tutti quei soggetti che oggi vivono sotto la soglia di povertà, agli incapienti, ai pensionati, ai cinque milioni di poveri, al più di mezzo milione di lavoratrici e lavoratori che nel 2013 hanno vissuto di sola cassa integrazione.
Invece avete preferito perseverare con politiche fallimentari già viste troppe volte, avete deciso di intervenire ancora una volta sull’abbassamento dei diritti e delle tutele di chi lavora. Avete preferito aumentare la precarietà, liberalizzare i licenziamenti, frammentare ancora una volta il lavoro. Poco importa se le proroghe dei contratti a termine saranno 5 o 8 in 36 mesi, la verità è che non si è intervenuti per combattere la precarietà e creare nuovi posti di lavoro. La verità è che togliendo la causale nei contratti a termine, avete allungato a 3 anni il periodo di prova durante il quale il datore di lavoro può licenziare senza pagare alcuna indennità, senza nessun preavviso e senza nessuna motivazione. Non è così che risolverete i problemi occupazionali in questo Paese. La disoccupazione non si combatte rendendo più semplici i licenziamenti.
In Italia esiste già troppa flessibilità, sia in entrata che in uscita, esistono decine di forme contrattuali diverse introdotte dalla fervida fantasia dei ministri Sacconi e Fornero e non si è vista neppure l’ombra di un posto di lavoro in più, anzi la disoccupazione è aumentata e quella giovanile è schizzata alle stelle. In compenso, sono stati colpiti i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, sono stati messi sotto il ricatto di contratti in scadenza continua che mortificano il lavoratore, lo privano di qualsiasi progettualità di vita e della serenità necessaria per sentirsi realizzati in ciò che fanno. Gli interventi di “semplificazione” sul contratto a termine e sull’apprendistato non rispondono alle esigenze dei giovani e dei precari perché non semplificano nulla, anzi, complicano quella giungla di competizione al ribasso alla quale continuate a sottoporre le migliori risorse di questo Paese.
Nessuna ripresa sarà possibile se non si interviene sulle vere cause che hanno generato la crisi economica e finanziaria in cui il Paese è impantanato. Se non si ha il coraggio di cambiare verso rispetto alle politiche di austerità messe in atto in questi anni non si potrà più mettere un freno allo svilimento delle imprese, all’impoverimento progressivo della popolazione e alla desertificazione del nostro sistema industriale. È una questione di priorità e voi avete scelto di cominciare dalla via più semplice, quella della riduzione dei diritti ma se non si ha il coraggio di dire come e quanto si investe in politiche industriali e in innovazione tecnologica come pensate di rimettere in moto l’economia e creare sviluppo?
Mentre parliamo, a Piombino si spegne l’Altoforno e insieme a lui si spegne un pezzo di storia dell’industria italiana, un’intera cittadina e la speranza di migliaia di lavoratrici e lavoratori che perderanno il posto di lavoro.
Se non si ha il coraggio di valorizzare e rilanciare le nostre eccellenze investendo in ricerca e sviluppo e si preferisce invece privatizzare e svendere i pezzi migliori della nostra industria soltanto per fare cassa, o peggio ancora si permette che le fabbriche chiudano nell’indifferenza generale, come pensiamo di difendere il nostro Paese nella competizione di un mercato globale?
Quale disegno industriale immagina il governo Renzi per il nostro Paese? Non ci è dato ancora saperlo. Non ci stancheremo mai di ripetere che per noi la priorità è immaginare un nuovo modello di produzione, compatibile con l’ambiente, efficiente dal punto di vista energetico e delle energie rinnovabili, che affronti il tema della mobilità sostenibile, una riconversione industriale che attraverso un massiccio investimento pubblico sia in grado di rilanciare e riqualificare quei settori strategici, oggi in sofferenza, affinchè producano prodotti competitivi, innovativi ed ecocompatibili. Pensiamo ad un intervento straordinario contro il dissesto idrogeologico per esempio, che serva a mettere in sicurezza gli uffici pubblici, le scuole, gli ospedali e allo stesso tempo possa generare nuova e buona occupazione e possa garantire lavoro alle imprese. Da qui bisognava partire e non certo dall’ennesima riscrittura delle regole del mercato del lavoro.
Purtroppo questi nostri appelli anche oggi cadranno nel vuoto perché una maggioranza di governo, troppo impegnata a salvare se stessa, si mostra sorda e si appresta a dare la fiducia ad un governo che su un tema delicato come il lavoro mostra tutta la sua fragilità. Non si vive di sola improvvisazione e di battute di spirito buone per il talk show, occorre avere un disegno strategico complessivo per il Paese.
Bene restituire 80 euro al mese ad una parzialità di lavoratori, aumentare la tassazione sulle rendite finanziarie, ridurre l’Irap, chiedere alle banche una parte seppur minima dei soldi che hanno già ottenuto. Certamente tutte misure condivisibili, anzi, da noi auspicate fin da quando abbiamo messo piede in Parlamento. Ma se pensiamo che i salari italiani sono tra i più bassi d’Europa, se milioni di pensionati sono poveri e a stento arrivano a fine mese, se pensiamo a tutti quei giovani precari, ai cassintegrati, ai disoccupati che giornalmente si moltiplicano, alle fabbriche che chiudono e delocalizzano, ci rendiamo conto come la bontà di alcuni provvedimenti rappresentino solo una goccia nel mare di povertà in cui il Paese rischia di annegare.
Sinistra Ecologia Libertà annuncia quindi il proprio voto contrario alla fiducia perché ritiene che questo governo, nonostante alcuni apprezzabili tentativi, nel complesso, con questo decreto continua a far pesare la crisi sulle spalle di chi ha già pagato tanto, sulle spalle dei più deboli, sui lavoratori, sui precari, sui pensionati e continua a salvaguardare quel 10% che detiene più della metà della ricchezza del Paese. Votiamo no alla fiducia perché con il decreto lavoro non si inverte la rotta e non ci si allontana da quelle politiche economiche che hanno impoverito il Paese. Votiamo no perché se ci si muove all’interno di quegli odiosi parametri dettati dall’Europa dell’austerity senza far nulla per cambiarli e senza far nulla per far capire all’Europa che se non si cambia rotta si va a fondo, non ci potrà essere nessuna misura in grado di risollevare veramente le sorti del Paese. Ci spiace per tutti quelli, e sono tanti, che nel Paese credevano che si potesse cambiare davvero verso e invece oggi assistono, come accade ormai da 20 anni, alla visione della stessa pellicola, ogni volta più sbiadita, nella quale cambiano solo gli attori ma il finale è sempre lo stesso, quello di un governo incapace di offrire al Paese le soluzioni adeguate alle sfide che è chiamato ad affrontare.
La dichiarazione di voto di Francesco Ferrara per Sel
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Mario Iacobelli
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Silvan