Piombino, l’Italia senza acciaio e gli 80 euro del Governo
Oggi le agenzie stampa hanno battuto la notizia, come i rintocchi dolorosi di una campana: “Lucchini: alle 11 l’ultima colata dell’altoforno. Ora l’impianto senza più minerale continuerà a bruciare coke per una ventina di giorni fino al suo definitivo spegnimento”.
Noi non ci rassegniamo a considerare lo spegnimento dell’altoforno l’ultimo atto di una secolare attività. Soprattutto non accettiamo che oltre duemila lavoratori diretti, più quelli dell’indotto, con il lavoro perdano tutto e finiscano, con le loro famiglie, nel baratro della disperazione.
I lavoratori della principale fabbrica siderurgica di Piombino (che insieme a Magona-Arcelor Mittal e Tenaris-Dalmine, più piccole, costituiscono il secondo distretto italiano dell’acciaio) devono avere un futuro.
Le condizioni sono state dette, nessuna può essere saltata e ciascuna deve avere precise poste, risorse vere e certe: attivare contratti di solidarietà – e non cassa integrazione, con l’invitabile lenta agonia, per lavoratori ben lontani dalla pensione –, reimpiegare i lavoratori per una complessiva opera di bonifica di una grande area, attrezzare l’impianto con il forno elettrico e la tecnologia Corex, realizzare la bretella di collegamento con il porto, completare i lavori per l’ampliamento del porto, attivare la fase della rottamazione delle vecchie navi in quel sito. Sono le condizioni per coinvolgere investitori esteri e insieme costruire il futuro del polo della Valdicornia.
Nessuno può più scansare questi paletti e a nessuno è permesso di cavarsela con i tweet o con i tanti “tavoli”. Non è ammissibile che un Paese come l’Italia tra Taranto e Piombino perda l’industria siderurgica, peraltro base di tanti altri cicli produttivi, e rimanga alla mercé delle produzioni estere o di piccoli e spregiudicati padroncini italici che vorrebbero fare a fette quel patrimonio di competenze. Non è accettabile che un governo nazionale, com’è accaduto da troppi anni a questa parte, si limiti a osservare il declino e la deindustrializzazione di interi comparti: in altri Paesi i governi se serve entrano a gamba tesa e difendono le loro industrie. In Italia manca da anni una politica industriale, e si potrebbe dire la stessa cosa per l’agricoltura, l’energia, la mobilità e tanto altro. Non sappiamo che farcene di esponenti politici nazionali che girano intorno alla crisi e non producono un atto per risolverla: non sono lì per farsi belli.
Dicono bene i lavoratori: “Che ci facciamo con 80 euro al mese se perdiamo il lavoro”. Qui sta il nodo. Nessuno è sciocco, come vorrebbe far credere il Presidente del Consiglio Renzi: a nessuno fa schifo un piccolo risarcimento per i tanti sacrifici fatti dai lavoratori (e così dovrebbe essere anche per pensionati e lavoratori delle partite iva che ne sono esclusi, e qui non stiamo ad entrare sui trucchi sulle coperture finanziarie). Ma un Governo è degno di questo nome solo e soltanto se aziona subito non promesse elettorali o soltanto doverosi ma inadeguati risarcimenti, bensì una politica industriale a tutto tondo, altrimenti non c’è futuro e la propaganda elettorale passata la festa produrrà disperazione e rancore. Insomma, non si scherza col fuoco, col destino delle persone. “Prima le persone”, appunto, tutto il resto viene dopo e ci interessa assai meno – e non è poi tanto singolare che questo sia il messaggio che viene dal Papa e lo slogan di “Un’altra Europa con Tsipras”.
Se le condizioni per salvare il destino di migliaia di lavoratori a Piombino ci saranno, anche con un Accordo di programma, spetterà ai lavoratori stessi essere i protagonisti per sorvegliare che tempi e modi vengano rispettati e nel nostro piccolo noi saremo con loro. Di certo tutto va fatto in fretta e qui si misura su di una cosa serissima la velocità decantata per altre e meno importanti cause: i prossimi venti giorni, prima dello spegnimento definitivo, sono decisivi.
Sel ha seguito la vertenza Lucchini nel corso di questi mesi partecipando a presidi di fronte alla fabbrica, a cortei sull’Aurelia, fino alla grande manifestazione cittadina con i segretari nazionali dei sindacati ed andando anche di fronte alla Camera con i compagni del circolo di Piombino; Marisa Nicchi, in particolare, è stata infaticabile tra Piombino e l’aula di Montecitorio e il Gruppo parlamentare Sel oggi ha giustamente chiesto che la Commissione lavoro si rechi subito a Piombino e se serve lì rimanga e testimoni la serietà degli impegni. Sempre poco, quello che abbiamo saputo fare rispetto alla portata del dramma, ma oggi lo ribadiamo: se la Lucchini è ferita e in ginocchio altro non vi può essere che lavorare per delineare un futuro dei suoi lavoratori e per Sel non v’è altro impegno che non sia questo.
Giuseppe Brogi Sel Toscana
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