Pisapia, Zedda, Doria perchè buttare esperienze così?
Non ci sto a ridurre la discussione sulle prospettive della sinistra, a cominciare dalle imminenti elezioni amministrative, a un puro elenco dei torti e delle ragioni. Essi ci sono, com’è evidente, ma vanno soppesati ogni volta con la lente dell’analisi dei fatti, cioè vanno ricondotti a quella dimensione oggettiva della politica che trovo purtroppo sempre più debole nel dibattito italiano.
Non c’è, nella nostra discussione, un di qua e un di là, uno spartiacque che separi irrevocabilmente il gruppo dirigente diffuso in diversi tronconi rispetto alle due o tre cose di fondo cui abbiamo messo mano sin dal momento della costituzione di Sel. Né sulla missione ultima che ci siamo sempre attribuiti: riaprire la partita, dunque unire, allargare, scomporre e ricomporre, piuttosto che diventare un altro partitino. Né sulla necessità di porre mano ad una nuova soggettività politica autonoma della sinistra, per quanto essa risulti un inevitabile attraversamento del campo di macerie da cui in diversa misura e storia ognuno di noi proviene. Né, infine, sul giudizio, doppiamente negativo, che ci siamo fatti sul Pd per come è diventato nella sua fase involutiva del renzismo. Per come Renzi ha condotto l’azione di governo sui nodi vitali del lavoro, del sapere, della manomissione costituzionale. E per come sta mutando la natura stessa del partito, spostandolo dal campo del centrosinistra, che così finisce di esistere, a quello del “partito della nazione”, alla cui massima e indistinta rappresentanza sociale corrisponde una pervasiva occupazione del potere in ogni dove nelle istituzioni.
Ma fatti salvi questi decisi nodi di fondo capaci di tenere insieme una comunità in termini di cultura, di prospettiva politica, di organizzazione, trovo naturale, persino scontato, che nel cammino emergano e si confrontino tra di noi delle differenze. Vedo queste differenze come una ricchezza, non come un vincolo. Una ricchezza che tiene viva la corda tesa del confronto, dello scambio. Il nodo politico del centrosinistra è senz’altro un punto di passaggio di questo percorso. Noi l’abbiamo voluto e ancora nelle elezioni del 2013 ci siamo fatti carichi di un programma, Italia Bene Comune, del tutto agli antipodi dell’agenda dell’attuale governo. Ma proprio perché l’implosione renziana dentro il Pd ha reso nulla quella prospettiva, una sinistra che concepisce se stessa autonoma ma non autosufficiente non può non considerare questo come un problema reale, né di Renzi né del suo “partito della nazione”, ma della politica italiana che non si esaurisce certo, oggi e in prospettiva, in questo Pd.
C’è qui uno snodo politico che il ragionamento di ieri di Sergio Cofferati sul nuovo soggetto politico – ragionamento che fortemente condivido – tende però più che a sottovalutare, a rimuovere. Il punto allora è come si risolvono le differenze che attraversano la nostra discussione, in altre stagioni avrei detto di come si portano a sintesi. Questa è o non è una necessità di cui si deve far carico, sempre, ad ogni giro di boa, il gruppo dirigente? Non vorrei apparire semplicistico, ma la questione delle alleanze alle amministrative ha una sua oggettiva incontrovertibilità, che va sottratta al politicismo.
Laddove riconosciamo, e per primi lo riconoscono i cittadini di quel territorio, che un’esperienza compiuta di buona politica, nelle politiche sociali, in quelle dei servizi e del welfare, dell’ambiente e dei diritti alle persone, può e deve essere trasferita in avanti, misurando qualità e coerenza dei programmi e delle persone, l’alleanza si fa, e noi per primi dobbiamo rivendicarla. Laddove non ci sono queste condizioni e l’esperienza risulta segnata dall’ ipoteca che il “partito della nazione” ha assunto a livello nazionale, l’alleanza non ha ragione di essere, e per noi si aprono altre strade.
Decidono i contenuti e il merito, come la qualità e la coerenza dei soggetti che l’interpretano. Dunque portare, nel passaggio difficile che stiamo compiendo, ciascuno di noi e tutti insieme nella costruzione di un campo largo, plurale, autonomo della sinistra, è una sfida da vincere. A Milano, Genova, Cagliari, per dire delle città maggiori, si sono messi alla prova in questi anni sindaci dalla grande personalità e con loro donne e uomini, amministratori e dirigenti ognuno dei quali ha costruito col proprio lavoro un pezzo importante della comunità che oggi siamo. Che sinistra saremmo se ci privassimo di quelle esperienze, di quelle competenze, dico anche di quelle differenze, ora che mettiamo a tema l’impresa di una nuova soggettività?
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Guido Conti