Quando la Scienza diventa Fantascienza. Accade nelle università italiane
Capita che se ti trovi a fare un dottorato di ricerca in uno dei dipartimenti dei nostri atenei, che so, in materie umaniste, scopri che ci sono tanti colleghi, che hanno già finito da anni il tuo stesso dottorato e, aspettando una borsa di studio o un assegno di ricerca, scrivono e pubblicano gratuitamente commissionati dal professore che gli dovrebbe garantire un futuro. E mandano avanti l’attività del dipartimento, gratis per mesi, a volte per anni.
O capita che se hai un assegno di ricerca a tempo determinato, che so, in Chimica degli alimenti, e sei l’unico o unica che sa usare un macchinario, a scadenza del contratto non c’è posto per te. Allora che fai? Mandi in malora la tua ricerca? No, passi ancora, scaduto il contratto, dieci ore al giorno in quel maledetto laboratorio, aspettando che qualche sponsor un giorno finanzi il tuo progetto. E intanto il dipartimento e tutto l’Ateneo gode dei lustri e degli onori ricevuti grazie all’avanguardia del tuo progetto, presentato nei convegni nazionali e internazionali, gratis (anzi rimettendoci le spese di viaggio, vitto e alloggio), per mesi, per anni.
O ancora, capita che malauguratamente vai all’ospedale per una visita specialistica e chiacchierando, ti accorgi che chi ti visita è un medico, specializzato e dottore di ricerca, che in attesa di un assegno di ricerca di qualsiasi tipo non molla i suoi pazienti, e continua a servire l’ospedale, insieme a tanti e tante, sperando che un giorno diventi assegnista e poi chissà, strutturato. Intanto nel piano di quell’ospedale ci sono quindici precari che mandano avanti il reparto, gratis, per mesi, per anni.
Sono storie di ordinaria precarietà universitaria, tre esempi, reali, di come vanno le cose nelle università di questo Paese, quelle dove solo nel 2014 a fronte di più di duemila professori che sono andati in pensione, solo 141 studiosi hanno ottenuto un assegno di ricerca di tipo B, ovvero quello che un giorno si trasformerà in un contratto a tempo indeterminato da professore associato.
Dati alla mano, secondo l’indagine “Ricercarsi” condotta dalla FLC CGIL, nelle università statali italiane i precari sono circa il 50% degli assunti (17,4% assegnisti e 28,1% dottorandi). Negli ultimi dieci anni sono stati espulsi dagli atenei pubblici il 93% di assegnisti, ricercatori a termine e dottori di ricerca, mentre ne sono stati “stabilizzati” solo il 6,7%. Un intero popolo la cui gran parte decide di cercare altri lavori, rinunciando alla ricerca, o meglio ancora (il 60% dei dottorati italiani) di fuggire all’estero.
Evidentemente tutto questo non basta al governo Renzi. Non gli basta girare per le aule universitarie e incontrare migliaia di docenti, ricercatori, che dopo qualche mese non sapranno dove sbattere la testa. Per perpetuare il sistema di distruzione della ricerca scientifica italiana, a cui già la riforma Gelmini aveva contribuito, bisognava fare di più.Sotto le mani del governo, nella legge di Stabilità al vaglio in questi giorni al Senato, c’è un articolo (art.28 comma 9) che in buona sostanza elimina l’obbligo da parte degli Atenei di attivare anche quei rari, rarissimi, assegni di ricerca di tipo B: ovvero quegli assegni che se già lo vinci è un miracolo, un premio immenso, una vittoria alla lotteria (piuttosto che il giusto e meritato proseguimento della tua carriera) perché garantiscono il passaggio a tempo indeterminato e quindi un futuro stabile.
Ecco, questo è esattamente il modo per relegare la scienza italiana alla fantascienza, per trasformare la passione di tanti studiosi e studiose di questo Paese in sogni impossibili, per svilire la ricerca e ridurla ad un percorso ad ostacoli verso il proprio futuro. Dove questo futuro, per la maggior parte delle persone, non si vedrà mai. Almeno che non ci sia un cambio di passo, verso la cultura e la ricerca, che Matteo Renzi però non sa (e non vuole) fare.