Quello di Corbyn è un segnale
Si può vincere contro una tennista come Serena Williams ad un passo dal Grande Slam, si possono vincere da sinistra le primarie di un Labour Party da anni consegnato alla terza via di Blair, con la coerenza delle idee di Jeremy Corbyn. Il paragone non è innaturale, perché ci consegna l’idea – sistematicamente omessa – che nulla è ineluttabile, nello sport come nella politica, come nelle sfide di chiunque nella vita di tutti i giorni. Fosse vero il contrario, molti di noi, me compresa, avrebbero da tempo smesso di lottare. Non a caso, il tentativo messo in atto da chi ha interesse che le spinte al cambiamento vengano ridotte al lumicino dell’irrilevanza è proprio quello di farle percepire come perdenti in partenza.
Ecco allora che il dibattito sviluppatosi in Italia in seguito alla schiacciante vittoria di Corbyn, oltre a rivelare il nostro sempre aggiornatissimo provincialismo, si sostanzia delle posizioni che riflettono quello che siamo. Un Paese un po’ allo sbando, dove ognuno tira per la giacchetta chi vuole, che siano Corbyn, la Merkel, la Le Pen, senza riuscire a guardare davvero il mondo con gli occhi del presente e con l’interesse a costruire un futuro migliore per tutti.
L’ineluttabilità delle politiche degli ultimi vent’anni, le politiche che hanno impoverito il 99% del mondo e arricchito quel poco che resta, che hanno tagliato il welfare e reso le persone sempre più deboli e sole, incentivando spinte nazionaliste ed egoiste, fanno nascere forte l’esigenza di un’alternativa: la speranza di una spinta che dal basso, in paesi diversi del vecchio continente, sta mettendo in discussione il presente, e che nel caso britannico si aggrappa ad un sistema di valori del passato per provare a costruire un futuro più libero ed uguale.
Nulla è scontato: non che sia facile, naturalmente, ma nemmeno che sia univoco, che non contenga al suo interno dei rischi. In Italia, per esempio, soffia sempre più forte il vento dell’identitarismo rassicurante ma novecentesco, legato ad un’organizzazione della società che non c’è più. Così come è altrettanto rischioso ridicolizzare e sconfessare quei processi democratici che contengono al loro interno una posizione di alternativa radicale all’esistente. Lo dico ai renziani, come ai blairisti di tutto il mondo: le primarie valgono sempre e comunque, sia quando a vincere siete voi, sia quando a vincere è chi, con coerenza e coraggio, ha sempre sostenuto che stavate sbagliando.
Infine – ma la questione è altrettanto decisiva – questo non significa che si possa importare a cuor leggero qualunque esperienza venga sperimentata con successo lontano dai nostri confini. Lo dico fuori dai denti: se la minoranza del partito democratico pensa che il Corbyn italiano possa essere al prossimo congresso Ernesto Rossi o chiunque oggi si è rassegnato ad accettare la profonda regressione politico-culturale in corso, cavalcando domani i sentimenti di chi oggi paga queste scelte in termini di vita e di dignità, sbaglia. Sbaglia di grosso.
Quello di Corbyn è un segnale, come lo è stato quello di Tsipras, quello di Iglesias, quello di tanti movimenti ambientalisti, pacifisti e di lotta contro i dogmi dell’austerità. Un segnale importante perché dentro le contraddizioni del tempo presente non crescono solo i nazionalismi ma anche i loro più fieri antagonisti. Ma il tempo è adesso, è il tempo delle scelte, del coraggio, della coerenza delle idee e delle pratiche, della possibilità di coinvolgere e di stare insieme. Se anche la sinistra italiana vuole avere una chance ed essere utile alla costruzione di un’altra Europa, allora non può pensare di rimuovere ancora a lungo il confronto con il popolo che ambisce a rappresentare, consultando le persone sulla base di idee e programmi che interpretino la nostra specificità e sappiano metterla in relazione con quelle degli altri.
Siamo quelli che vincono inaspettatamente gli US Open in una finale tutta italiana, potremmo avere la possibilità di sfidare Renzi, Salvini e Grillo presto, molto presto, e potrebbero esserci delle sorprese.