Referendum, un No Costituente. Ripartiamo da qui
È questo il senso dell’alta affluenza al voto di ieri e del risultato netto, schiacciante a favore del No. Il No di ieri, in larghissima parte, non ha chiesto solo di lasciare inalterata la Carta, ma di applicarla pienamente, perché l’Italia è un paese fondato sul lavoro, e non sui voucher, e in cui la sovranità appartiene al popolo e non a un manipolo di tecnocrati che rispondono all’establishment economico-finanziario internazionale.
Ci sono segnali di rivolta nell’esito del voto. Segnali che vanno colti. Soprattutto se lo analizziamo alla luce della composizione anagrafica e geografica. I più giovani, innanzitutto, quelli che da anni pagano le scelte scellerate dei governi cosiddetti riformisti, a botte di precarizzazione, scippo dei diritti fondamentali e con nessuna garanzia non solo per il futuro, ma nemmeno per il presente, in cui la giornata da sfangare è l’unico parametro temporale di cui poter tenere conto.
E poi il Mezzogiorno e le Isole. Straordinario il dato della Sardegna, così come quello della Sicilia, per nulla sedotte dall’ipotesi che potessero mantenere la loro autonomia, mentre a tutte le altre regioni (e in particolare a quelle del Sud), era stata imposta una cura da cavallo che avrebbe definitivamente terremotato il quadro dei diritti sociali e della qualità della vita e dell’ambiente. Hanno detto No con forza e vigore. Più di altri. E questa deve essere una traccia da tenere a mente per la proposta politica che dobbiamo costruire.
Solo chi non frequenta il Paese e chi non ha fatto campagna referendaria può vederci esclusivamente una caratterizzazione di destra nella vittoria del No. Non c’è solo quella caratterizzazione per diverse ragioni: innanzitutto perché nel breve volgere di dieci anni (dal 2006 al 2016) l’Italia ha respinto sonoramente due tentativi di stravolgimento della Costituzione. Il primo tentativo fu di Berlusconi e aveva un segno molto, molto simile alla proposta di Renzi.
Era un No di destra anche quello? Certo, fa specie oggi vedere Salvini, Berlusconi e Meloni provare a intestarsi la vittoria del No a difesa della Costituzione, ma tutti sanno che non è così e che dieci anni fa erano dalla parte opposta. E se non tutti lo sanno, lo spiegheremo.
In secondo luogo, l’affluenza così alta, con milioni di persone che votano No, ci dice di una eccedenza che non può essere banalizzata e di uno spazio immenso per organizzare quel segnale di rivolta che aspettavamo.
Infine, appena cinque anni fa, oltre 25 milioni di cittadini italiani hanno bocciato con decisione l’ipotesi di privatizzazione dell’acqua e dei servizi idrici, riaffermando anche in quel caso uno dei principi fondamentali della nostra Carta. Come li consideriamo quei 25 milioni di voti? Ricordo bene, piuttosto, che nei mesi successivi a quel referendum si disse che era necessario dare una risposta chiara e netta a quel popolo.
Ecco, penso che valga anche per oggi. Perché se non si organizza una risposta chiara e netta, sin da subito, e ci si attarda nel campo delle mille ipotesi, magari attendendo una qualche riorganizzazione di altri “campi da gioco”, allora sì, quella domanda troverà riparo e risposte a destra, alla ricerca di facili rassicurazioni magari fondate sul l’idea che il problema sia nel migrante che ti “ruba” il lavoro.
Questo è il senso del “No costituente” di cui ho parlato durante tutta la campagna referendaria. È nel popolo della sinistra che ha scelto il No che dobbiamo cercare le energie per costruire un cambiamento radicale del paese. Questo No può diventare la base per ridefinire un’altra idea di società e un giudizio maturo su come siamo arrivati fino a questo punto, nel piano inclinato di una politica (anche della cosiddetta sinistra) troppo spesso genuflessa alla finanza.
C’è chi pensa che Renzi, le sue scellerate idee di riforme, siano un accidente nella storia del Pd e che la sua uscita di scena sia di per sé la soluzione. Ma non basta. Il tentativo di costituzionalizzare l’idea di una democrazia senza popolo è il frutto della lunga stagione in cui la sinistra socialdemocratica ha rinunciato a cambiare il mondo, a mettere in discussione il capitalismo e il neoliberismo.
Il frutto di una lunga stagione in cui la socialdemocrazia europea e italiana ha rinunciato a se stessa e al mandato che aveva ricevuto, riuscendo a realizzare con precisione devastante i programmi della destra economica e politica. Cosa sono il Jobs Act, la buona scuola, lo sblocca italia e la stessa riforma costituzionale bocciata, se non l’applicazione delle ricette propagandate per anni dalla destra europea?
E certo, il voto di ieri contiene in parte anche un giudizio netto, duro, popolare, sulle politiche avanzate dal governo di Matteo Renzi.
Da qui dobbiamo ripartire. Come hanno fatto e stanno facendo tutte le sinistre del mondo, da Sanders a Corbyn, da Pablo Iglesias a Tsipras.
Il Pd, come molte altre forze di ispirazione socialdemocratica in Europa e nel mondo, a un certo punto ha pensato che il campo del neoliberismo fosse l’unico praticabile e che là dentro al massimo si trattava di fare qualche operazione di maquillage. Quel tempo è finito, tanto che perfino Bersani da qualche settimana dice di voler fare i conti con la fine di quella stagione.
E allora, si faccia immediatamente una legge elettorale rigorosamente proporzionale, per garantire la massima rappresentanza democratica alle culture politiche del paese, anche perché il voto di ieri ci dice ancora una volta che le rappresentanze parlamentari frutto della stagione maggioritaria non hanno nulla a che vedere con il sentimento popolare, e contemporaneamente la sinistra si occupi di disegnare un’alternativa credibile, una risposta alla straordinaria mobilitazione di questi mesi.
Una risposta che metta al centro tutto un altro ordine di priorità: investimenti pubblici, lavoro, redistribuzione della ricchezza, messa in sicurezza del territorio e universalismo dei diritti. In altre parole un programma costituzionale. Questa è la prima delle riforme a cui dobbiamo lavorare. Applicare una Costituzione troppo a lungo violata.
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