Renzi/Grillo: cinque ore al dì. Tsipras: 0
I giornali della destra (esistono, nel senso che sono molto combattivi, a differenza di quelli della sinistra) scrivono che Renzi sta in media 5 ore al giorno in televisione. Così direbbero i dati del Laboratorio di indagine sulla comunicazione audiovisiva. Cinque ore al dì. C’è dentro tutto, naturalmente, in quest’arco di tempo che con le ferrovie dirette da Moretti i pendolari vanno da Zagarolo a Roma. C’è la televisione pubblica e quelle private, i canali satellitari e quelli digitali. Dove i giornali della destra trovino il coraggio di lamentarsene, dopo che il loro proprietario (dei giornali, delle televisioni, del partito e di molto, molto altro ancora) ha inaugurato vent’anni fa questo filo diretto via etere con gli italiani resta, più che un mistero, un tratto della nuova politica che da tempo si è imposta.
Quel tratto ci dice che se in televisione ci va sempre il capo del mio partito tutto questo si chiama informazione; se ci va quello del partito avversario (solo il giorno del voto, perché poi si governa insieme) si chiama in altro modo, dittatura mediatica. In ogni caso cinque ore al giorno sono troppe, sia per stare davanti la televisione come per starci dentro. Possibile che non ci sia, anche qui, quella giusta misura dove gli spazi sono distribuiti tra tutte le voci, così che noi cittadini alla fine ci facciamo la nostra di idea anziché subire il quotidiano bombardamento di slogan che ci vengono imposti, più che proposti?
Non è una domanda ingenua, almeno non dovrebbe esserlo. Lo diventa quando l’assuefazione ha già compiuto il proprio delitto sulla capacità di pensare in proprio. E’ vero che puoi sempre cambiare canale, ma se uno sta cinque ore in televisione te lo ritrovi nell’altro e se spegni ti arriva il messaggio sul telefonino o sulla posta elettronica (alle primarie, per come funzionano anche dopo, bisognerebbe dare indirizzi depistanti). Comunque sia abbiamo fatto due conti e viene fuori qualcosa di interessante. Prendiamo per l’appunto Renzi, una sua giornata-tipo.
Dunque, 5 ore in televisione, 3 tra facebook e twitter, 2 al telefonino, almeno 3 tra mangiare, lavarsi, vestirsi e altre umane incombenze, un’ora e non un minuto di più da dedicare al rompimento di zebedei delle riunioni del partito di cui è segretario, un’ora minimo da dedicare a moglie e figli, un’altra ora per scendere in strada così da sentirsi dire dagli italiani che in cima ai loro pensieri c’è la riforma del Senato, infine 4 ore di sonno (non conosciamo le sue abitudini, prendiamo come metro di misura quello del suo maestro mediatico). Fa 20. Cosa resta al Renzi della giornata di 24 ore, in attesa che Del Rio presenti un decreto legge per allungarla? Quattro ore.
Quattro ore sono più che sufficienti a lui, con l’energia cinetica che si ritrova, per rovesciare finalmente l’Italia. Anche se Cottarelli dovrebbe pur fare qualcosa, dato che 4 ore sono pochine per uno che è, allo stato, dipendente di una pubblica amministrazione. Se Renzi sta 5 ore in televisione, Grillo gli va a ruota, tanto più che adesso ha cominciato il tour per le europee del suo movimento che cambiar il mondo da solo vuol (se no me ne vo). Sarà così, dobbiamo saperlo, fino al giorno del voto, il 25 maggio. Il sistema mediatico, sempre meno sistema informativo e sempre più sistema politico, impone (da tempo) la sua logica, che è poi quella dell’audience. Per “fare audience” cosa c’è di meglio che prefigurare la politica come un permanente duello? Non di idee, di programmi, di confronti.
Tutto questo ormai annoia, dunque basta una tabella e passiamo ad altro, al duello appunto. Il duello è per sua natura sempre e soltanto tra due cavalieri, tanto più che uno colpisce per la sua inusitata e spiazzante velocità e l’altro per il profluvio della sua dialettica dell’eterno vaffanculo. C’è da stare incollati, no? Altri cavalieri non esistono e meno ancora esistono se sono pacati nell’argomentare, rispettosi nei modi con cui trattano gli avversari, precisi nell’avanzare proposte (la capacità di concentrazione sul merito delle cose, si sa, si riduce ormai al tempo del lampo).
Ieri Alexix Tsipras è stato a Palermo, da dove ha iniziato la sua campagna elettorale come candidato alla presidenza della commissione europea. Non ha insultato nessuno, non ha urlato a squarciagola neppure uno slogan, non ha mandato a fanculo la Troika, e solo dio sa quante frecce al suo arco greco avrebbe avuto per farlo. Ha parlato di come curare i mali di questa Europa e ad ascoltarlo c’era davvero tanta gente che si sarà potuta fare un’idea, ragionando in proprio, usando cioè l’adrenalina dell’intelligenza riflessiva. Sarà proprio per questo che sui giornali di oggi, tolta una sola eccezione, non ne trovate neppure una riga? E sarà per la medesima ragione che solo qualche giorno fa dedicavano invece pagine intere alla controversia di una, una, candidatura della sua lista? Se la politica è ridotta così non è certo colpa dei giornali, fa tutto da sola, sarebbe un errore che la politica campasse scuse in quella direzione. Ma i giornali ogni tanto qualche informazione di quel che succede nei dintorni del duello dovrebbero sforzarsi di darcela.
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