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Giovedì, 9 ottobre 2014

Renzi come la Troika

Senato - Fiducia governo Renzi

Sulla Stampa di oggi (9 ottobre), Marcello Sorgi scrive che Matteo Renzi esce vincitore da una partita decisiva per il futuro del governo. Vincitore, precisa l’editorialista del quotidiano torinese, sul fronte interno – il Pd – e su quello esterno – l’Europa. Ma scrivendo quello che scrive, Sorgi ha in mente soprattutto i dissidi interni al Pd, la resistenza di alcuni parlamentari di fronte ai diktat ultimativi del premier, come sempre soavemente annunciati nelle aule parlamentari dalla ministra Boschi, e le assillanti richieste di modifiche della sinistra interna, e i disordini al Senato e tutto il resto. Ma alla fine Renzi ce l’ha fatta, sottolinea Sorgi. Solo lui però può pensare – o forse finge di pensare – che le minoranze interne al Pd abbiano davvero pensato di sottrarsi all’obbedienza di fronte alla decisione del “loro” governo di ricorrere al voto di fiducia sul Jobs act. Non poteva succedere, perché tutto ciò avrebbe causato una crisi del governo Renzi. C’era certamente Forza Italia pronta a aiutare, ma proprio un decisivo pronto soccorso di quel partito avrebbe immediatamente messo in discussione la sopravvivenza del governo. Perché ipocritamente, come è nelle corde italiche, se ne nega la natura di governo retto dal determinante sostegno di Berlusconi e il voto degli azzuri a sostegno di una questione diversa da quelle contemplate nel patto del Nazareno avrebbe reso insostenibile la sussistenza dell’attuale esecutivo. E loro, gli oppositori interni al Pd, una crisi di governo semplicemente non la vogliono, come a ogni occasione ripetono. Sono una sinistra di opinione, un insieme di biografie individuali, magari nobili alcune, ma non certo intenzionate a tradurre il dissenso in azione autonoma. Basta loro far sapere all’opinione pubblica di riferimento che ci sono, esistono e riempiono ancora una casella.

Pippo Civati, il più audace, è anche il più solo in questa audacia. Difficile pretendere che faccia l’eroe.

Così stanno le cose e se il primo round della partita sul Jobs Act salva per il momento il governo Renzi non salva certo il Paese dalla crisi lo sta riducendo ko, come tutti gli indicatori continuano impietosamente a indicare.

Se Renzi non ce la fa arriva la Troika, è il mantra mediatico, alimentato da tutte le parti. Ma la Troika sta agendo in Italia per interposta persona – da Monti a Renzi – e, la Troika, prima che i tecnocrati di Bruxelles in carne ed ossa, magari insediati a Palazzo Chigi, à soprattutto un programma da realizzare, una serie di prospettive strategiche a cui adeguarsi, a cui sacrificare quel che resta di costituzionalmente orientato nel funzionamento delle istituzioni, nei rapporti sociali in materia di lavoro e di welfare, nell’applicazione delle regole democratiche.

L’importanza del Jobs Act e i tempi del voto in Parlamento sono stati due obiettivi renziani pensati insieme fin dall’inizio e questo le minoranze del Pd lo sapevano bene. La data dell’otto ottobre, fissata per il voto al Senato su stringente richiesta del governo, era la stessa del vertice europeo sull’occupazione, appositamente convocato a Milano dallo stesso Renzi, nella sua qualità di leader del semestre di presidenza italiana, Al vertice ha partecipato tutto il ghota del potere comunitario, dalla potente Merkel al debilitato Hollande, dall’ancora in carica Barroso all’egualmente ancora in carica Van Rompuy (la nuova Commissione si deve ancora insediare), tutti massimamente plaudenti nei confronti del premier italiano. La Troika è la politica messa in atto da Renzi e sono i suoi balletti sul continuare a chiedere la flessibilità, che non è nelle intenzioni di Bruxelle concedere, mentre si procede sulla sostanza delle misure che Bruxellea chiede, fino alla completa delega in bianco al governo sul mercato del lavoro

L’accelerazione impressa da Matteo Renzi nel suo “semestre europeo” incide qualitativamente sui terreni fondamentali che l’Europa dell’austerity e dell’ossessione dei vincoli di spesa ha messo sotto schiaffo. La questione sociale è infatti ormai posta anche in Italia nei termini di un azzeramento di tutto ciò che era sopravvissuto da altre stagioni di quella “civiltà del lavoro” costituzionalmente fondata, che sembra ormai appartenere alla preistoria del genere umano. Passa così in modo definitivo, come unica chance della vita delle giovani generazioni, che non hanno mai conosciuto l’articolo 18, mai sperimentato una logica diversa dall’endemica condizione di esclusi o disponibili a qualunque rapporto di lavoro, l’idea della giungla sociale, del dumping sociale, della competizione a tutti i livelli, a partire da quello tra individui, che è il brand incantatore del modello neo liberista. Jobs Act? No, meglio Jump our business, come ha suggerito maliziosamente Melania Mazzucco.

E la questione democratica è ormai preoccupazione di pochi affezionati, perché il disincanto democratico è oggi un male dell’anima, come mostra l’indifferenza verso le scelte che sono state compiute in materia. Il bluff delle province, per esempio, svela bene l’inganno, Le hanno chiamate baracconi, enti inutili, covi di fannulloni, fonte di spese parassitarie. Il governo Renzi ne ha celebrato l’abolizione come fosse il funerale degli sprechi di Stato. E invece stanno lì. Come e più di prima. Con i loro vertici, eletti solo dai sindaci e dai consiglieri comunali, anziché dal popolo, ma sempre seduti a gestire nomine, competenze, servizi. Ne parla così l’Espresso in un servizio che rimette in scena uno dei tanti infingimenti politici che hanno intrattenuto per mesi il blablare dei nostrani talk show e alimentato le perfomances comunicative in salsa pop del premier. Partitocrazia: solo questo subentra alla rappresentanza per elezioni, deficitaria quanto si vuole ma almeno per una parte espressione del popolo. Partitocrazia intessuta di accordi trasversali di ogni tipo, che molto più di quelli fatti da gente eletta e in qualche misura controllabile dall’esterno, meglio può sfuggire al controllo democratico.

Ma ovviamente tutte le partite si possono riaprire, anche quelle finite malissimo come le attuali.

Sel, nella manifestazione del 4 ottobre a Roma, ha lanciato la proposta di una coalizione dei diritti e del lavoro. Se sarà accolta, soprattutto se andrà anche molto oltre Sel e oltre gli ospiti/le ospiti di valore che hanno partecipato e parlato alla manifestazione, se si avrà la forza di farla diventare davvero la pratica condivisa da e di molti, potrà costituire un’occasione positiva, offrire a tutti quelli che si oppongono al governo Renzi un modo per mettere insieme utilmente le forze, e costruire – cominciare almeno a costruire –quell’alternativa che oggi appare irrealizzabile.

Le partite insomma non solo si possono riaprire ma è bene sempre tentare di riaprirle.

 

Commenti

  • Riccardo

    Mi pare che Tu abbia centrato in pieno la questione principale: non c’è nessuna Troika alle porte d’Italia, semplicemente perchè le sue politiche già vengono attuate dall’attuale governo Renzi. Purtroppo la nascita del PD e la sua degenerazione renziana hanno portato all’annichilimento della Sinistra. Condivido quel che Tu scrivi che ” le partite non solo si possono riaprire ma è bene sempre tentare di riaprirle” ma dobbiamo essere consapevoli che ci attende un lungo, difficile e faticoso lavoro di riaggregazione del popolo della Sinistra in gran parte disorientato, deluso e avvilito di come le cose si sono evolute. L’importante è non demordere e non lasciarci prendere dallo sconforto.

  • claudio

    ” le partite non solo si possono riaprire ma è bene sempre tentare di riaprirle”.
    Parole astratte e niente più.
    Non ci piacciono le scelte del Governo (e su questo sono sostanzialmente daccordo nella maggioranza dei casi) ma per sostenere che sono anche sbagliate occorre indicare delle alternative credibili e praticabili, cosa che nessuno di chi tanto si agita, sia la sinistra PD, sia il Sindacato, sia SEL o il PRC, fà.
    Al netto di proposte astratte decontestualizzate (ovvero che fingono di ignorare impegni già assunti o i delicati equilibri in essere) e poco altro, l’unica vera proposta concreta che tutti i soggetti a sinistra dell’attuale Governo fanno è quella di non cambiare niente, mantenere lo status quo.
    Francamente proporre di mantenere il piede schiaciato sull’accelleratore anzichè frenare quando stiamo andando a sbattere con l’auto (il paese) come alternativa non mi sembra granchè.
    E che sia così lo hanno capito in molto, a partire dal popolo tradizionale di sinistra (i giovani, i precari, il ceto medio riflessivo, etc.) che ha perso ogni fiducia in voi, come ha dimostrato anche il 4 ottobre disertando in massa la manifestazione indetta da SEL e Landini; inequivocabile segnale che noi di sinistra di Voi non ci fidiamo più.

  • francesco

    L’esistenza in vita di presunti oppositori di Sinistra dentro il PD non serve unicamente per “abbagliare l’opinione pubblica di riferimento”, come scrive la Deiana. E’ anche un provvidenziale scudo dietro il quale si nasconde Sel per giustificare alleanze e accordi al ribasso con il Partito di Renzi, ormai quasi ovunque, come attestano i casi di Piemonte, Emilia Romagna , Calabria ecc.
    Grazie a questa scelta di comodo, si sabota nei fatti la costruzione di un fronte ampio, plurale e autenticamente antagonista coagulatosi intorno alla lista Tsipras per un’Altra Europa, contro il liberismo economico dilagante in tutto il continente.
    Dopo la meschina “performance” di Civati e degli altri “sinistri” che si sono comportati come ladruncoli notturni, non ci sono più alibi per le alleanze future: o di quà, o di là. Le “terre di mezzo” non esistono se non nell’immaginario di Nichi Vendola e di qualche epigono ammaliato dalle sue piroette e dalle sue stantie narrazioni oniriche.
    La ripresa di un Movimento di lotta non sarà possibile senza smontare gli equivoci e senza demistificare il ruolo del PD agli occhi delle masse, e applicargli il marchio di strenuo difensore delle leggi di mercato, del primato dell’Impresa sui diritti dei lavoratori, insomma del Capitalismo oppressore, cinico e guerrafondaio.

  • nino

    e’ claudio che non ha ancora capito che le politiche di prodi, d’alema, amato, berlusconi, monti, letta e renzi, strettamente legate all’austerità, ci sta portando, con il piede fermo sull’accelleratore, contro il muro. La politica dell’austerità è da venti anni che viene praticata e siamo in questa situazione. Che un macchinista piu’ giovane dei suoi successori sia alla guida del treno non migliora il viaggio su una linea ferrata obsoleta.

  • claudio

    Scusami nino, se negli ultimi 20 anni (prima molto timidamente e solo dal 2011 con Monti, quando l’Italia era praticamente fallita, con più decisione) si sono avviate politiche legate all’austerità non sarà per caso perchè prima (ed anche nel periodo fino al 2011) avevamo speso più di quanto disponevamo, indebitandoci fuori controllo? Per carità anch’io sono molto critico sull’eccessivo rigore che stiamo praticando (e che rischia di portarci in deflazione) ma sinceramente quando si è in surplus (ovvero se le entrate superano le uscite alo lordo degli interessi passivi che si devono corrispondere per i debiti pregressi) allora non si risparmia ma si spende. Se siamo costretti a “risparmiare” è perchè siamo con i debiti fino al collo. Punto.
    Questo aspetto non può essere eluso ed è inutile contrapporre ad esso solo ragioni di principio perchè non cambiano la sostanza delle cose. Se una scelta non è economicamente sostenibile, per quanto sia ingiusto non sostenerla, resta insostenibile. O tu in famiglia non fai i conti con le tue disponibilità e spendi senza controllo? SUppongo di no e non lo fai perchè se non tieni sotto controllo la spesa poi ti trovi per strada, senza casa o altro. Per lo Stato, con le dovute differenze, è in sostanza uguale.
    Poi ovviamente la questione è molto complessa e sicuramente a livello europeo si potrebbero adottare misure anticicliche diverse e più efficaci (incluso l’abolire temporaneamnete un vincolo di bilancio troppo rigido), ma resta di fondo il problema del nostro scarso peso politico in Europa a causa della nostra sostanziale inaffidabilità nel mantenere gli impegni presi in passato. Comprendo benissimo che la crisi stà mettendo in ginocchio migliaia di famiglie e distruggendo migliaia di posti di lavoro ed è atroce e terribile, ma non è con l’ignorare lo stato di enorme fragilità (economica e di reputazione) del paese che risolveremeno i nostri problemi o miglioreremo e condizioni di quelle migliaia di famiglie in difficoltà o ridurremo la disoccupazione. Dire che esistono altre soluzioni “indolori” quando non ci sono non aiuta nessuno e non è credibile.
    Anche se in ritardo gli italiani lo stanno capendo ed è per questo che oramai verso la sinistra ed i sindacati sono diventati molto scettici.
    Se non capiamo questo e non correggiamo le nostre posizioni allora tanto vale chiudere i battenti; ci risparmieremo solo una lenta e dolorosa agonia.

  • Franco Rossi

    ” Abbiamo speso più di quanto disponevamo” Questo luogo comune è vergognoso: HANNO speso più di quanto disponevamo e quello che è peggio continuano a voler far tornare i conti strangolando coloro che , in tempi di vacche grasse, non hanno avuto nulla o solo qualche briciola.Una politica di equità ( per carità non parliamo di uguaglianza) è l’unica che può rilanciare l’economia, oramai lo hanno capito anche i sassi (tranne chi vuol difendere i privilegi)

  • Peppe Parrone

    Non è il debito in quanto tale che deve far paura, ma sono gli interessi sul debito che ti mettono in crisi, quando per soddisfarli devi aumentare ancora di più il debito. Se parliamo degli ultimi vent’anni, lo Stato italiano ha pagato per interessi sul debito oltre mille miliardi di euro, eppure nonostante questa massa di denaro il debito ha continuato a crescere. A dicembre 2012 il debito pubblico dell’Italia era di circa 2000 miliardi, quello della Germania di 2100 miliardi di euro. La Germania ha tutt’ora un debito pubblico più alto del nostro, ma per il costo degli interessi paga decine e decine di miliardi meno dell’Italia. Vogliamo vedere perché?. Lo Stato italiano, per il suo fabbisogno di liquidità deve prendere i soldi in prestito dalle banche, che come sappiamo sono tutte private, e quindi pagare gli interessi al tasso corrente. Possiamo dire che un debito di 2000 miliardi, ad un tasso medio del 4% matura circa 80 miliardi l’anno. La Germania, con la sua Banca pubblica, la KfW, 80% azionista lo Stato Federale e il restante 20% in mano alle regioni, accede direttamente dalla BCE per il suo fabbisogno di liquidità ad un tasso attuale dello 0,05%. Tutto questo succede perché in Italia non esiste una Banca in mano allo Stato. Ed allora caro Claudio, invece di attaccarci ai luoghi comuni come giustamente sottolinea Franco Rossi, vogliamo iniziare una battaglia affinché anche in Italia ci sia un ENTE CREDITIZIO DI PROPRIETA’ PUBBLICA?????.

  • claudio

    Mi dispiace Franco non sono daccordo. Certamente le responsabilità individuali sono diverse da persona a persona ma come collettività NOI italiani “abbiamo speso più di quanto disponevamo”. E’ indifferente che lo abbiano fatto i rappresentanti da NOI eletti nelle istituzioni, la responsabilità resta collettiva. Ripeto le responsabilità individuali sono diverse (è evidente che non tutti hanno votato la classe dirigente che ci ha governato fino ad oggi) ma in democrazia questo è ininfluente; le scelte della maggioranza coinvolgono, anche sul piano delle responsabilità, tutti i cittadini della comunità governata. Ingiusto, sicuramente si, ma molto meno di ogni altra modalità di governo fino ad oggi sperimentata dall’umanità. Dunque tutti noi ci dobbiamo fare carico delle scelte passate, ci piaccia o meno. Al limite puoi decidere di abbandonare questo paese e trasferirti in un’altro disposto ad accoglierti.

  • claudio

    Temo Peppe che tu stia facendo un pò di confusione.
    innanzitutto sul debito.
    Quello italiano è pari a circa il 135% del PIL (il più alto in europa dopo la Grecia il cui debito ammonta a circa il 171% del PIL), mentre quello tedesco è pari al 77,3%.
    Una enorme differenza come vedi. Comaparer le cifre assolute è del tutto fuorviante dato che il debito pesa in rapporto alla ricchezza generale del paese. Una famiglia che ha un mutuo di 600 euro mensili ed entarte pari a 1500 euro non sono – lo capisci facilmente – nella stessa condizione di chi ha un mutuo di pari importo come debito ma entrate pari a 2500 euro al mese (questa più o meno è la stessa proporzione della diversa situazione tra noi e la Germania).
    Anche sugli interessi da corrispondere per il debito pubblico fai una certa confusione. Lo Stato acqusisce liquidità attraverso la messa all’asta dei titoli di stato che sono acquistati da chiunque sia interessato (tranne che dalla BCE che per statuto non può acquistare titoli di stato degli stati mebri, almeno non direttamente ma questo è un discorso più complesso che richiede una trattazione a parte). Semplicemente l’interesse a che l’Italia riesce a spuntare sul mercato è più alto di quello tedesco (il cds. spred) erchè i nostri conti pubblici sono meno ordinati e dunque chi acquista i nostri titoli di stato rischia di più (per questo li acquista solamente ad interessi maggiori e le aste andrebbero deserte o semi-deserte se l’interesse offerto, il cds. “rendimento”, fosse troppo basso rispetto al rschio). Nel nostro caso c’è poi un “peccato originale” che risale a circa 25 anni fà in cui i governi italiani (quando ancora c’era il pentapartito al governo) offrivano interessi sui titoli di stato sproporzionatamente alti semplicemente per distribuire così un pò di ricchezza (indebitando ulteriormente lo stato). La questione della Banca pubblica tedesca certamente avvantaggia la Germania ma soprattutto avvantaggia le sue imprese private (che accedono al credito della banca) che si trovano così in una situazione di vantaggio rispetto alle nostre (che per avere del credito pagano interessi molto più alti). Per quanto attiene la BCE nel caso dell’Italia (ma anche di Grecia, Spagna e Portogallo) non potendo acquistare direttamente Titoli di Stato li ha fatti acquistare dalle banche commerciali alle quali ha prestato danaro a tassi bassissimi ma con il vincolo di acquistare titoli di stato (da questo punto di vista, come vedi l’avere una banca pubblcia o meno non ha fatto alcuna differenza). Poi che anche in Italia sia utile un Ente creditizio pubblico per sostenere le imprese è un’altra questione, ma credimi non ha niente a che vedere con il fatto che NOI (non ripeto quanto già evidenziato a Franco in tema di responsabilità) abbiamo avuto una gestione dello Stato e dei suoi conti pessima (usando un eufemismo) e questo pesa eccome e non è ignorando questo problema (un macigno) o parlando d’altro che miglioreremo la nostra situazione.

  • Peppe Parrone

    Pur non escludendo che nel mio ragionamento ci possa essere qualche confusione, e di questo mi perdonerai, ma permettermi di ritornare sul debito. Quando mi fai l’esempio delle due famiglie che con un mutuo alla pari, ma che con entrate differenti non sono entrambi nella stessa condizione di fronte al debito, dici una sacrosanta verità. Ma è proprio questo il punto. Il debito pubblico della Germania che nel 2010 era di 2080 miliardi, superando di 236 miliardi quello italiano, secondo Eurostat pari all’83,2% del prodotto interno lordo. Ma se a questi dati si aggiungono alcune spese fatte dalla KfW, e che in Italia è spesa pubblica, perché fatta dallo Stato, questi dati schizzerebbero abbastanza in alto sul rapporto debito-PIL, che come tu giustamente dici è quello che conta. Su questo punto c’è chi parla di “trucco” da parte della Germania, io sono più propenso a pensare che si tratta di regolare applicazione di “principi contabili conformi ai regolamenti internazionali”. Infatti se andiamo a vedere il Trattato sul Funzionamento Europeo (TFUE) art. 123 comma 2 dice chiaramente che il divieto di scoperto bancario e altre forme di facilitazione creditizia in favore dei governi “non si applicano agli enti creditizi di proprietà pubblica che, nel contesto dell’offerta di liquidità da parte delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali nazionali e dalla Banca centrale europea lo stesso trattamento degli enti creditizi privati”. Ed ecco la mia naturale domanda: perché in Italia non si può fare quello che nel rispetto dei Trattati si fa in Germania???. Non è che la risposta sta in quello che ha detto Alessandro Profumo, allora AD di MPS in una intervista su La Repubblica che una Banca di proprietà dello Stato, rischia di far crollare l’intero sistema bancario italiano???.

  • Elettra Deiana

    Claudio scrive che è inutile mettere in scena Sel e Landini – allude alla manifestazione Di Sel del 4 ottobre ai Santi Apostoli a Roma – tanto il popolo di sinistra, compresi i giovani, ha perso la fiducia in loro e diserta i loro appuntamenti. Se capisco bene il suo è un atto di fiducia in Renzi e nella possibilità che il premier ce la faccia. Ma a fare che precisamente? Probabilmente riuscirà a fare i compiti a casa che Bruxelle gli ha assegnato, come in precedenza aveva assegnato a Berlusconi, Monti e Letta, che avevano dato inzio all’opera ma non erano riusciti a concluderla per varie ragion,i che andrebbero meglio analizzate. Renzi gode dell’appoggio di grandi vecchi, che si guarda bene dal voler rottmare, e quindi i compiti forse riuscirà a farli. Per esempio disastrare il già disastratissimo mercato del lavoro. Ma sicurmente il rilancio dell’economia e l’occupazione resteranno. una chimera. E di conseguenza tutte le tematiche della crisim resteranno senza risposta.

    Il problema principale che l’Italia ha oggi di fronte è come è stata
    costruita l’Europa e come va avanti, secondo una logica che rischia di
    allontanare le soluzioni anziché trovarle e metterle in atto. Poi vengono gli
    altri problemi e sicuramente quello degli sprechi avvenuti nel tempo ha poco a che spartire,
    per importanza, con l’entità degli altri. Ovviamente gli sprechi di denaro
    pubblico vanno puntigliosamente evitati e, quando ci sono, sanzionati, ma le
    matasse da sbrigliare sono del tutto altre. E in benaltrismo non c’entra proprio niente in questo caso. Paragonare il bilancio di uno Stato
    a un ménage familiare è del tutto incongruo, ovviamente. Serve solo a condizionare
    psicologicamente i cittadini, a farli sentire colpevoli di default e del no future
    di figli e nipoti. Così come è incongruo pensare che in fase di deflazione e
    disoccupazione, si possa risanare alcunché senza quelle solide e determinate politiche di rilancio tramite investimenti pubblici
    che, secondo la solita solfa dei tempi, verranno (forse dopo, tramite un po’ di flessibilità). Cioè mai o risicatissime e rischiamo l’osso
    del collo. Come, tra gli altri economisti critici delle ricette neo liberiste, dice Paul Krugman, e io condivido
    la sua analisi,l’euro è un progetto politico voluto da un’élite politica. Non da una
    tecnocrazia ma da un’élite politica – c’è differenza sostanziale e strategica tra le due espressioni.
    Tuttii gli economisti di valore
    (premi nobel), ricorda sempre Krugman, avevano avvertito dei rischi di una moneta unica in un’area così differenziata
    come l’Europa. Da tempo stiamo per questo subendo le disastrose decisioni di una pessima élite
    politica ammantata da falsa tecnocrazia – il termine “tecnocrazia” appare “terzo”
    rispetto agli interessi in gioco, serve a “oggettivare” i processi, a renderli “ragione
    del mondo” ineluttabile – con il massimo della macelleria sociale delegata a cosiddetti
    governo tecnici o a governi richiesti di “fare i compiti a casa”. Pessima élite,
    se prendiamo come punto di riferimento il benessere della società. Ottima se
    prendiamo come riferimento gli interessi delle élites finanziarie. I dati economici e sociali
    accumulati nel suo da Thomas Piketty dovrebbero essere il punto di partenza per
    qualsiasi ragionamento in proposito.

    Renzi e altri politici più o meno di area vedono
    oggi la necessità della crescita, anzi chiacchierano della crescita senza deficit-spending,
    il che, direbbe Krugman è un vero e proprio ossimoro.E si domanda se per salvare la
    la stupidità politica e socialmente criminale dell’austerità si finirà col non considerane gli
    investimenti pubblici (che si finanziano solo con il deficit) negli indicatori
    dell’euro.
    I presunti oppositori di sinistra del Pd forniscono anche uno scudo protettivo a Sel, come scrive Francesco?. Non capisco come questo possa accadere. Sel sta all’opposizione, prova a sviluppare delle battaglie nelle sedi istituzionali e, per quel che è possibile, nel Paese. Posso concordare, con le voci critiche, che non sono sempre quelle risolutive. Forse non è più nelle corde della politica di oggi tentare la via risolutiva, siamo non a caso frutto di una crisi della sinistra, piaccia o non piaccia. Quale sarebbe, poi
    concretamente, la via risolutiva? Dubitare che ci sia già segnata, non assolve né giustifica nessuno ovviamente dello stato in cui la sinistra si trova, ma
    nemmeno attribuisce a nessuno il primato di chissà quale verità.
    In Parlamento Sel ha espresso importanti voti contrari. Sul Jobs act non ne parliamo.
    Sull’articolo 18, poi! Nel Paese continua a sostenere posizioni non facili
    sugli argomenti su cui spesso lo scontro non è all’acqua di rose. Cerca di
    attivare politiche di incontro e condivisione. Il che non significa abbracciare
    tutte le posizioni. Né pensare come fosse una verità assoluta che non si possa fare mai nulla col Pd. La metamorfosi del Pd, che si va accentuando in maniera palpabile dopo la cura del renzismo, rende ormai questo evidente sul piano nazionale e forse presto potrà essere la stessa cosa su qello locale. Ma si vedrà. Ognuno faccia quello che è nelle sue mani, nelle sue intenzioni, nelle sue ipotesi di lavoro politico. Astrattamente
    cioè immaginando soluzioni, concretamente, cercando di metterle in pratica.

    Per esempio vedendoci alla manifestazione della Cgil del 25 ottobre.

  • claudio

    Non sò se le affermazioni di Alessandro Profumo spieghino compiutamente le ragioni dell’assenza di una banca di proprietà dello Stato ma sono daccordo con te nel pensare che non siano quantomeno del tutto infondate.
    Nel merito dei vantaggi che deriverebbero per il nostro paese nell’istituire una banca pubblica continuo a ritenere, come già evidenziavo nel precedente intervento, che questi sarebbero sostanzialmente (e non è poco, tutt’altro) riconducibili alla possibilità di sostenere maggiormente (attraverso prestiti agevolati) la ripresa della produzione rendendo le imprese più competitive (dato che il credito privato risulta per loro molto più costoso). Da quetso punto di vista una banca pubblica sarebbe sicuramnete utile. Casomai per l’Italia i miei dubbi si concentrerebbero sulla reale capacità da parte di evitare – come in passato – un uso cientelare ed arbitrario di essa. Purtroppo fino ad oggi non abbiamo dimostrato come paese un’etcità ed un rigore adeguato nell’uso delle risorse pubbliche. Ad ogni modo questa non deve essere una ragione per evitare di valutare una tale opportunità – creare una banca pubblica – che potrebbe sostenere la nostra economia. Ciò stante tuttavia mi permetto di dubitare che la sua eventuale creazione ci permettere di superare invece i problemi di bilancio, ovvero di debito accumulato, senza altri sforzi. Continuo da quetso pnto di vista a ritenere che solo una temporanea contrazione della spesa publica accompagnata da una più assidua e puntuale lotta e contrasto all’evasione (su questo vesrante casomai ci sono diverse critiche da rivolgere al governo attuale) potrà rimette in linea il rapporto debito-pil e con esso permetterci poi di non dovcerci indebitare troppo per continuare ad accedere al necessario credito senz ail quale lo stato non è in grado di onorare i propri impegni. Onestamente non credo che si possa limitarci a difendere tout-court la spesa pubblica attuale considerando un’attacco alla democrazia ogni tentativo di razionalizzarla. La verità è che in questo paese per decenni la spesa pubblica, come le assunzioni da parte dello stato, sono state modellate non sulle esigenze di funzionamento dello sttao stesso ma anche come ammortizzatore sociale per tenere bassa la disoccupazione senza preoccuparsi delle ricadute negative nel medio periodo di un tale appesantimento della spesa pubblica. Quel medio periodo è arrivato e le conseguenze negative sono sotto i nostri occhi e chiderli sperando che i problemi si risolvano da soli o limitarsi a difendere lo status quo non ci farà fare alcun passo avanti.

  • Peppe Parrone

    Mi riservo di intervenire in seguito sulla seconda parte del tuo intervento. Voglio ritornare invece sulle dichiarazioni di Profumo rilasciate il 15 gennaio su La Repubblica. Alessandro Profumo preoccupato che qualora MPS non riuscisse a capitalizzarsi e quindi ad avere i fondi per ripagare i Monti Bond, di cui ha beneficiato, la banca senese diventerebbe automaticamente una banca di proprietà dello Stato Italiano, ossia una banca pubblica. Il fatto che MPS diventi una banca pubblica, e come indicato al paragrafo 2 del Trattato di Maastricht-Lisbona potrebbe acquistare (noleggiare) euro direttamente dalla BCE al tasso unico di sconto (TUS) come garantito alle banche private. Il punto chiave è che MPS, a questo punto banca pubblica, potrebbe agire a favore dello Stato italiano proprio come la banca tedesca agisce da tempo a favore dello Stato tedesco. In questo modo lo Stato italiano, quando emette titoli di Stato per poter ricevere a noleggio euro, non dovrebbe più riconoscere un tasso medio del 4,5% alle grandi banche internazionali autorizzate a noleggiare euro allo Stato italiano (il cosiddetto Mercato Primario). Infatti lo Stato italiano potrebbe riconoscere a MPS un più modesto tasso medio, poniamo dello 0,05% oltre al TUS che al momento è allo 0,05%, con un’ipotesi di risparmio di oltre 80 miliardi all’anno. Questi soldi risparmiati, corrispondono ad un mancato guadagno per il sistema bancario (nazionale e internazionale) dove soltanto poco più della metà sono banche italiane (Intesa, Unicredit, MPS e altri). Questo mancato guadagno per le banche private italiane spiegherebbe il senso dell’affermazione di Profumo “Se salta l’operazione non rischia solo il Monte ma tutto il sistema bancario italiano”. La questione è che una volta eliminato il profitto derivante dalla speculazione sul debito pubblico, tutte le grandi banche private italiane, e non solo, vedrebbero crollare i loro utili e quindi il loro valore, data la loro gestione finanziaria incerta, per sopravvivere dovrebbero essere a loro volta trasformate in banche pubbliche. In conclusione, l’effetto domino potrebbe essere automatico, e il sistema bancario e finanziario perderebbe la sua egemonia, consentendo di far tornare al centro l’economia reale. Il debito pubblico, causa della crisi per cittadini e imprese, si sta rivelando la fonte di un grande reddito garantito (dalle nostre tasse) per il sistema bancario privato. Comunque, condivido i tuoi dubbi sulla reale capacità di evitare “un uso clientelare ed arbitrario”, ma intanto battiamoci per avere anche in Italia un Ente Creditizio di proprietà pubblica.

  • claudio

    Provo ad esprimere alcuni dubbi circa il tuo ragionamento (dubbi perchè di certezze non ne ho) che è comunque nel complesso molto interessante.
    La questione è estremamente complessa e sicuramente per lo stato italiano (dunque per i suoi cittadini) l’aver accumulato un debito pubblico così importante che la costringe a finanziarsi con tassi di interesse alti rappresenta un enorme drenaggio di risorse pubbliche (tasse) che potrebbero essere utilizzate in modo proficuo, ovvero finalizzate ad offrire servizi e tutele sociali ai più deboli, come investite in infrastrutture a sostegno dell’economia del paese.
    Ciò detto tuttavia dubito che anche qualora l’Italia avesse una Banca pubblica le cose cambierebbero più di tanto. Non credo cambierebbero granchè perchè il quantitativo di titoli di stato che potrebbe assorbire un singolo istituto di credito è estremamente limitato e dunque inciderebbe solo marginalmente nel processo di formazione del tasso di interesse di mercato con il quale quei titoli potrebbero essere collocati. Che sia con ogni probabilità così, seocndo me, lo dimostrano i fatti recenti dove la BCE ha comunque acquistato indirettamente (sul mercato secondario) un’importante quantitatrivo (e continua tuttora a farlo) di titoli di stato dei paesi in dififcoltà dell’area euro per tenere basso il tasso di interesse. La BCE ha sostanzialmente fatto quello che potrebbe fare (ma in misura maggiore date le risorse che la BCE dispone) una ipotetica banca pubblica italiana. Certamente questo intervento produce effetti (come avrai notato il differenziale con i BUND è sensibilmente diminuito da qualche tempo) ma fino ad un certo punto dato che i soggetti acquirenti del debito pubblico italiano sono tantissimi e la maggioranza di essi sono investitori internazionali. Del resto non sarebbe praticabile neanche che – in via ipotetica – lo sttao italiano nazionalizzasse tutte le banche e le utilizzasse tutte per acquistare i propri titoli di stato perchè non avrebbe i soldi per acquistare il denaro dalla BCE a tassi bassi (le banche lo fanno utilizzando i loro capitali privati) e emettere titoli di stato per acquistare danaro per acquistare altri titoli di stato è solo un gioco delle tre carte. La Germania colloca i suoi titoli ad un tasso di interesse basso non tanto perchè li acquista una sua banca pubblica (come ti dicevo quell’istituto viene sostanzialmente utilizzato per finanziare le industrie a tassi di interesse basso, aggirando così il divieto di finanziamento di stato alle imprese previste dai trattati UE; a questo può servire una banca pubblica italiana ma non a risolvere il problema del debito), non credo che lo faccia e se lo facesse sarebbe ininfluente, ma perchè è ritenuta dagli investitori internazionali SOLVIBILE al 100% (o quasi dato che la certezza matematic ain questa materia non esiste), mentre l’italia no.
    Se vogiamo abbassare i tassi di interesse con cui ci finanziamo e liberare risorse per investimenti e spesa sociale dobbiamo ridurre il debito e con questa operazione diventare più appetibili sul mercato die titoli di stato, il resto temo siano solo vicoli ciechi mascherati da scorciatoie (inesistenti).

  • Peppe Parrone

    Da piccolo imprenditore in pensione sono convinto che il debito in quanto tale non è mai un problema, o almeno non dovrebbe esserlo, diventa un problema quando non riesci a sostenere il costo degli interessi su quel debito. Non essendo io un economista, non so se con una banca pubblica , come tu stesso dici, le cose non cambierebbero più di tanto, e nemmeno quanto potrebbero essere i titoli di Stato che tale banca riuscirebbe ad assorbire, in ogni caso visto che si parla di un possibile risparmio di miliardi di euro varrebbe la pena considerare quello che sta scritto all’art.123 comma 2 del Trattato (TFUE). Comunque, come mai nessuno si interroga perché tra Italia, Francia, Inghilterra e Germania, il nostro paese è l’unico a non avere una banca pubblica???. Riguardo alla dichiarazione di Profumo, che non era il portinaio, ma l’Amministratore delegato di MPS, come mai nessuno, ma proprio nessuno tra i politici di destra, di centro e di sinistra che abbia chiesto una spiegazione??. Sarà perché dietro le banche ci sono le Fondazioni, e quindi tutti i partiti politici??. Come dice Crozza, questo no, questo non credo. Riguardo la banca tedesca. Alla KfW, oltre a finanziare le PMI tedesche a basso tasso di interessi, sono stati assegnati compiti e operazioni che in altri paesi figurerebbero nei conti statali, mentre le attività dell’Istituto con sede a Francoforte non rientrano nel bilancio federale. Non a caso la KfW è stata messa sotto accusa, ma senza sortire effetti, da istituzioni e partner dell’Ue per operazioni (come i salvataggi di imprese e soprattutto della IkB, una banca collassata dai mutui sub prime) che ad altri Paesi non sarebbero stati permessi, ma che Berlino continua a far passare come interventi non pubblici a dispetto della proprietà al 100% pubblica dell’Istituto, si calcola di una cifra pari a circa 500 miliardi di euro, il 17% del Pil tedesco. Rimango perciò convinto che sia necessario ed urgente iniziare una battaglia politica per ottenere anche in Italia un Ente Creditizio di proprietà pubblica.

  • claudio

    In merito a quanto sostieni condivido molte delle tue riflessioni incluso l’opportunità di promuovere una battaglia politica per ottenere anche in Italia un Ente Creditizio di proprietà pubblica. Ciò che invece osservo – e non credo sia in contrasto con tale finalità – è che il problema dle debito pubblico italiano è piuttosto serio e che per risolverlo, ovvero riportarlo sotto controllo, non basterebbe una tale iniziativa ma occorre anche agire sul versante della razionalizzazione della spesa (da questo punto di vista non condivido le posizioni eccessivamente rigide di SEL in materia). Tutto qui.

  • Peppe Parrone

    Debito pubblico e “razionalizzazione” della spesa. Ormai è stata fatta passare, purtroppo anche a sinistra, l’idea che il debito pubblico non è altro che il risultato di anni di spesa pubblica troppo elevata e che quindi è arrivato il momento della sua razionalizzazione. Andiamo a vedere alcuni dati. Dal 1946 al 1981 il tasso reale di interesse è stato di -1,5%, e fino a quel momento il debito era quasi al 100% in mano agli italiani, per gran parte risparmio dei cittadini, messo al sicuro in mano allo Stato, e gli interessi sul debito erano comunque risorse che rimanevano in Italia. Nel 1980, nonostante l’inflazione alta indotta dalla quadruplicazione dei prezzi del petrolio, un italiano medio risparmiava il 25% del proprio reddito. Nel 1981 la Banca d’Italia divorziò dal Tesoro e praticamente cessò di acquistare titoli di Stato. Da allora essi vennero dati in pasto, con interessi crescenti, prima al mercato interno, e poi alla speculazione finanziaria mondiale. Quello che non viene detto è che quella decisione contribuì a produrre non solo l’enorme debito pubblico ma anche il primo attacco ai salari. L’attuale debito pubblico italiano si formò tra gli anni ’80 e ’90 passando dal 57,7% sul Pil nel 1980 al 124,3% nel 1994. Tale crescita, molto più consistente di altri Paesi europei, non fu dovuta ad una impennata della spesa di Stato, che rimase sempre al di sotto della MEDIA della Ue e dell’eurozona e, tra il 1991 e il 2005, sempre al di sotto di quella tedesca. Nel 1984 l’Italia spendeva -al netto degli interessi sul debito- il 42,1%del Pil, che nel 1994 era aumentato appena al 42,9%. Dal 1992 al 2012 gli italiani hanno (abbiamo) versato 620 miliardi di tasse superiori all’ammontare della spesa dello Stato: 620 miliardi di avanzo primario (o anche saldo primario). I 620 miliardi secondo me rubati agli italiani sono andati per il 43% all’estero (quasi tutte banche estere), quindi circa 250 miliardi sono espatriati. Soltanto negli ultimi 4 anni la spesa per interessi sul debito è stata di oltre 300 miliardi!!! Comunque, siamo abituati ad ascoltare parole come “la corruzione ci costa 60 miliardi”, “l’evasione ci costa 120 miliardi”. In realtà per quanto disdicevoli e da perseguitare legalmente, queste voci rappresentano una partita di giro interna. I 620 miliardi di avanzo di bilancio 1992-2012 sono invece una precisa scelta politica: sono soldi sottratti veramente ai cittadini e scomparsi dalla circolazione dell’economia vera per garantire alla grande finanza. E’ probabile che qualche cifra non è perfettamente esatta, ma questo è il percorso del Debito Pubblico Italiano. Per finire, e per non citare i tanti economisti e premi Nobel in economia, lo stesso Mario Draghi di recente ha detto di non aspettarci che la crisi si possa risolvere soltanto con interventi della BCE, ma che ci vogliono più soldi di Stato. E se finalmente lo dice Lui…….. Quindi come vedi Claudio, non tagli alla spesa, ma occorrerebbe ben altro.

  • claudio

    Scusami Giuseppe ma non sono daccordo con te.
    Innanzitutto sul debito.
    A prescindere dalle ragioni che ci hanno portato alla situazione attuale (che possono servire a stabilire le responsabilità ma non a cambiare lo stato delle cose presenti) il debito c’è e pesa enormemente.
    Lo ammetti tu stesso dicendo che l’avanzo primario tra entrate e uscite (che in assenza di debiti pregressi consentirebbe di aumentare la spesa) viene “bruciato” dagli interessi passivi con l’aggravante che – essendo il debito prevalentememnte in mano estera – questi soldi finiscono anche fuori dal paese e non alimentano la nostra economia.
    L’unico modo per smettere di disperdere una parte di queste risorse (entrate tributarie) è diminuire il debito e con esso gli interessi passivi ad esso legati.
    Il resto è ininfluente.
    Nel merito di quanto sostiene Draghi – che condivido – sulla necessità di una maggiore spesa dello Stato per far ripartire l’economia, questo invito è da lui rivolto a quei paesi – come la Germania – che pur avendo un attivo dei conti pubblici NON SPENDONO. Draghi li invita a spettere di essere egoisti ed a far ripartire la loro spesa pubblica così da produrre benefici in tutta Europa. A questi paesi (con bilanci dello stato in attivo e non in passivo come l’Itlaia, che ha sì un avanzo primario positivo ma per effetto degli interessi sul debito il saldo finale è NEGATIVO, specie in rapporto al PIL dato che l’economia va male ed il PIL si riduce peggiorando il rapporto tra i due).
    Del resto alter strade non ci sono e non basterebbe certo ritornare ad una Banca d’Italia autonoma dalla BCE ritornando alla lira e riportando il Tesoro sotto la sua ala. Se fosse così semplice i paesi come l’Argentina ad esempio che hanno moneta propria che stampano a loro piacimento non dovrebbero avree problemi ed essere praticamente un “paradiso in terra”. Ma non è così. E non lo è perchè le cose sono un pò più complicate di come le descrivi e la ricchezza mondiale è quella che è ed è distribuita com’è distribuita. E la ricchezza non si crea stampando moneta ma con la produzione e gli scambi e se si stampa più moneta senza aumentare la ricchezza significa solo far diminuire il valore di quella valuta, nè più nè meno e non serve dunque a nulla.