Renzi, il referendum costituzionale e l’ultima frontiera
Ci sarebbe un pregnante modo popolare di definire la faccia di bronzo, ostentata dall’attuale capo del Governo italiano, mentre da Bergamo, in apertura della sua campagna referendaria, oltre a comiziare intorno alle nefandezze – per lui bellezze – della riforma costituzionale, evocava a mo’ di spauracchio, in caso di vittoria dei no, il trasformarsi del nostro Paese nel Paradiso degli inciuci. Faccia di bronzo, ripeto, e voglio così rinunciare all’altra espressione, per uno stile di vecchia scuola culturale e politica che mi è troppo caro, soprattutto a fronte dello “streaming anche in bagno” di Renzi o al Renzi “premier decisionista perché è stato arbitro nel calcio” della sua comprimaria Boschi. Ma faccia di bronzo all’ennesima potenza, bisogna dire, senza nessuna attenuazione, visto che mentre a Bergamo andava in onda il funerario story telling renziano della Costituzione, a Napoli prendeva vita l’appassionato oltre che impresentabile sostegno pubblico del senatore Verdini alla candidata piddina Valente. Ci sono inciuci che non sono tali e inciuci che invece lo sono? O acquistano tutti quel significato, a seconda della circostanza e soprattutto da chi li fa? Forse la Ministra Boschi, esperta di una strana dialettica del paradosso, potrebbe dare spiegazioni.
Il comizio di Bergamo è stato un florilegio di passaggi ad effetto – questa almeno l’intenzione, del resto già largamente sperimentata – ma meglio studiati a livello comunicativo, che mostrano, oltre alla solita spocchia autoreferenziale di stampo leopoldino, che caratterizza da sempre lo stile di Matteo Renzi, anche l’abile mano del consigliere americano a cui il premier è ricorso. I richiami sono ovviamente i soliti: la semplificazione, la certezza dei cinque anni di governo, la partecipazione, l’abbattimento dei costi della politica.
Tutte balle all’ennesima potenza, di cui abbiamo parlato più volte e su cui il fior fiore del costituzionalismo italiano ha speso parole, critiche talvolta costruttive talaltra demolitrici, analisi in tutte le direzioni per evidenziare la portata del pasticciaccio, e poi riflessioni, consigli, appelli: tutto andato sempre a vuoto. L’obiettivo degli odierni “riformatori” infatti – ed è il punto davvero centrale di tutta la partita – non è attualizzare la Carta del 1948 alla luce dei mutamenti dell’oggi, valorizzandone insieme la cifra fortemente democratica e fortemente sociale a cui quella Carta si ispira, nella combinazione tra principi della prima parte, ordinamento dello Stato e compiti della Repubblica. Era e rimane invece, l’intenzione di Renzi, quella di dare l’addio a tutto questo e lasciare in eredità all’Italia una simulazione di legge fondamentale che fa suo l’invito di JP Morgan a farla finita con le costituzioni antifasciste del secondo dopoguerra, troppo democratiche, o, andando molto, molto all’indietro nella storia, accoglie l’allarme lanciato dalla Trilateral Coommission, cioè il Sancta Sanctorum della svolta neoliberale del capitalismo, sull’”eccesso di democrazia” che, secondo quel Sancta Sanctorum, si andava affermando allora in Occidente e avrebbe reso difficile l’esercizio del governo. Eccesso di democrazia e eccesso di Welfare e infatti così fece intendere Margaret Thatcher, antesignana della lunga epopea neoliberista che fu da lei avviata nel suo Paese per rimettere in ordine le cose e per dare l’esempio agli altri.
Questo per segnalare che l’altra balla del premier Renzi è quella di dire che non è stata toccata la prima parte della Costituzione, quella dei principi. Non è toccata perché è inutile toccarla, visto che se saltano i meccanismi che ancora tengono insieme il funzionamento del Paese in senso democratico, la prima parte si ridurrà a essere soltanto chiffon di papier. Più di quanto già non lo sia.
C’è una storia che farebbe luce su molte cose dell’oggi se non venisse cannibalizzata nella performance comunicativa imperante, che la priva della sua complessità e la riduce a serbatoio di notizie disparate, a disposizione di chi ne abbia bisogno. Prendiamo il caso di Enrico Berlinguer, amatissimo segretario del fu Patito comunista italiano, che ancora, in qualche misura, parla al cuore di certi settori – non necessariamente solo di antica generazione – del partito di Renzi. E così Renzi a Bergamo acchiappa Berlinguer dell’indifferenziato contenitore del notiziabile che ha a disposizione – questa la sua concezione della storia – e lo trasforma nel paladino ante litteram della sua riforma costituzionale. Addirittura per il monocameralismo, era Berlinguer! C’è ormai solo da ridere perché è molto più salutare che piangere.
Non si tratta qui di un ritorno dell’antica pratica dei vincitori, che scrivono e riscrivono la storia dal loro punto di vista. Qui si tratta di inventare un sacco di balle, vere e proprie bugie oltre che balle, ignorando la storia perché chi le inventa o non la conosce e ritiene inutile conoscerla. O meglio, preferisce usarla come meglio ritenga. A Renzi serve soltanto il frammento notiziabile, usabile, spendibile in quel momento per, nel caso del richiamo a Berlinguer, incrociare qualche nostalgia umana, guadagnare qualche voto affermativo. Visto che la partita appare più complicata di quanto si fosse immaginato e che le opposizioni del centrodestra sembrano più decise a dar battaglia di quanto lui avesse pensato. Paradossi della storia: nel 2006 votammo contro il referendum costituzionale di Berlusconi e Renzi continua a dire che nessuno osò quello che lui ha osato.
Berlinguer era per il monocameralismo perché questa era sostanzialmente allora la posizione tradizionale del suo partito, inserita in un asse strategico che faceva del Parlamento monocamerale l’istituzione principe in cui giocare la partita dell’egemonia nel Paese. Ovviamente, in questa prospettiva, l’unicità della Camera si accompagnava alla indiscussa proporzionalità del sistema elettorale. Che cosa tutto questo abbia a che fare con la controriforma boschiana è ovviamente facile da capire: assolutamente niente. Il monocameralismo, con un sistema di rappresentanza proporzionale e solidi dispositivi di bilanciamento dei poteri andrebbe bene a molti e molte del No. Io sono tra questi. E’ solo, quello di Renzi, un richiamo depistante.
Il quotidiano l’Unità, che forse avrebbe fatto meglio a cambiare nome e intitolare se stesso all’idea della faziosità, fa suo alla grande tutto il florilegio di asserzioni del premier. Un sì per dire addio al Paese degli inciuci e della casta, così il titolo di uno degli articoli più esaltativi dell’opera renziana, con l’aggiunta che il “no” verrà soprattutto da quelli che vogliono difendere poltrone e privilegi. Detto da chi ha trasformato il Senato nella sede di cento senatori di nuova e indecifrabile tipologia, tali non per voto popolare ma per designazione dei partiti, in sede regionale, cioè nelle segrete stanze degli accordi tra i potentati locali, fa, ancora una volta, solo ridere. Dalla casta alla super casta degli intoccabili, vogliamo dirlo? Perché ovviamente, in quanto senatori, i 100 godranno di immunità parlamentare. Molto opportuna, visto che dai ranghi regionali non viene certo l’esempio più fulgido dello stare all’articolo 54 della Costituzione, quello del servire la Repubblica “con disciplina e onore”.
Insomma una grancassa generale, il dispiegamento delle artiglierie, la probabile e insopportabile mobilitazione di ministre e ministri in giro per l’Italia all’inseguimento dell’ultimo “si”. E il sostegno a spada tratta del Presidente Emerito Giorgio Napolitano.
La sinistra interna del Pd è ormai senza parole, senza intelligenza di quanto ormai radicale sia il mutamento di quello che era il loro partito e che ora è un’altra cosa. Se Cuperlo dice che il referendum sarà il congresso, da qui ad allora sarà il pre-congresso?
Ultima nota. Nel clima da ultima frontiera che si è creato intorno al referendum di ottobre – alimentato in primis da Renzi e robustamente diffuso dal grande circo mediatico al suo seguito – e in quella triste fascinazione dell’apres moi le deluge su cui cerca di far presa Renzi- si evidenzia la crisi politica istituzionale che viviamo, che vive la Repubblica nata dalla Resistenza, che sembra ormai aver perso le ragioni della propria esistenza. Vincere con il no a questo ricatto e a questo stato delle cose è anche un modo di farla rinascere, recuperando il significato e il valore della partecipazione popolare come alimento oggi fondamentale di un rinnovato spirito costituzionale.