Renzi, tante parole pronunciate, ma pesano di più quelle che non ha detto
Mette in fila tante idee, ma all’idea su come l’Italia possa uscire dalla crisi gira attorno a vuoto e non ci arriva mai. Quell’idea, infatti, presuppone un’alternativa politica che il suo governo non ha, non può avere. Per come è nato, per la maggioranza su cui poggia, per la scelta sbagliata di numerosi ministri. E se c’è, inutile negarlo, un diverso stile che viaggia lungo le suggestioni dell’informale, questo tasto non è in grado da solo di suonare alcuna musica nuova per la politica che da domani, ottenuta la fiducia, continuerà sullo stesso campo di gioco di Letta e prima ancora di Monti.
Il punto è proprio questo, in quel che non ha detto. Lì stanno i nodi non sciolti, l’impossibilità di quest’impresa. C’è l’elenco delle “cose da fare” e da fare subito, adesso, com’è nelle sue corde a cui ci sta già abituando. Partire dalla scuola e cambio radicale delle politiche economiche. Così dice. E come possiamo dargli torto noi che lo sosteniamo da sempre? Ma il “cosa fare” ha sempre come contrappunto l’altro risvolto della stessa medaglia: “come fare”. Come fare della centralità del sapere e del lavoro i due pilastri della ricostruzione sociale e democratica del paese? Come, senza introdurre finalmente quella patrimoniale che in ogni altro paese europeo è norma e da noi parola persino impronunciabile? Come, senza andare alla radice di una politica fiscale che fonda le sue storiche storture nel dilagare dell’evasione e dell’elusione? Come, senza aggredire subito sul piano economico, oltre che su quello morale, l’implodere della corruzione che attira i poteri criminali delle diverse mafie e allontana gli investimenti virtuosi?
Ma dalla sua sciolta prosopopea fiorentina queste parole, con Angelino Alfano seduto al suo fianco, in più di un’ora di discorso non escono mai. L’avesse fatto avrebbe potuto dire: le risorse per fare quel che intendo fare le prenderò da lì. Sarebbe stato almeno credibile. E da lì invece non le prenderà per il fatto che la sua politica è un’altra, in continuità con la stessa maggioranza che, pur perdendo pezzi per strada, guida il paese da Monti a lui, passando per Letta. La continuità di governi che, susseguendosi dentro il perimetro delle larghe intese, hanno portato l’Italia ad essere in Europa il paese con il tasso più alto, e per il periodo più lungo, di recessione economica.
La stessa parola “austerità” non entra a far parte del suo lessico di nuovo capo del governo, eppure è la parola con cui si misurano criticamente ormai tutti i premier europei, il Fondo Monetario Internazionale, l’ OCSE e la stessa BCE. Costa dirlo, ma Napolitano a Strasburgo, qualche giorno fa, ha dato di questa parola una lettura, rispetto a Renzi, rivoluzionaria. E quando ha snocciolato i dati economici e sociali dell’Italia dal 2008 ad oggi, definendoli “numeri di un tracollo”, si è dimenticato di dire, o ha finto di farlo, che essi sono in gran parte il risultato di quella stessa maggioranza politica che oggi propone addirittura come base per un governo di intera legislatura. Ma ha fortemente voluto la bicicletta e ora dovrà pedalare. Il rischio però che il paese faccia un altro giro a vuoto è alto, molto alto.