Revival al Quirinale
Era difficile aspettarsi da Sergio Mattarella un discorso diverso da quello che, di fronte ai grandi elettori, ha pronunciato alle dieci di questa mattina, dopo aver giurato fedeltà alla Repubblica e alla Costituzione. Un discorso in larga parte ispirato alla convenzionalità istituzionale del momento, di cui Mattarella è oggi protagonista e che lui ha affrontato con tutti i passaggi canonici messi al punto giusto. Molto meglio di quanto oggi accade in occasione dei riti laici, grandi e piccoli che siano, che costellano la vita della Repubblica e che spesso si trasformano in stucchevoli teatrini della politica. Si tratta invece di riti che, per avere ancora qualche senso, dovrebbero rispondere a istanze di tipo simbolico rappresentativo, in particolare quando, come nel caso del Presidente della Repubblica, c’è in gioco la rappresentazione dell’unità della nazione. Da questo punto di vista Mattarella è stato rigorosamente al format. Ha infatti creato col suo discorso una temperie solenne al punto giusto e, sul versante dell’antropologia politica, da prima repubblica, soprattutto per quel suo sobrio ed equilibrato andirivieni – da scuola democristiana – tra istanze, preoccupazioni, culture diverse, a cui oggi la politica non appare più in grado di offrire una cornice di convivenza, tranquillità, fiducia nel futuro e lui invece pensa di dover e poter tenere insieme, perché la Costituzione questo garantisce, e il Presidente deve, in nome della Costituzione, rendere efficace.
Al M5S, sempre ignorato dal Presidente Napolitano, Mattarella ha fatto omaggio del riconoscimento che la crisi della politica e della rappresentanza democratica pone ormai il problema di nuovo forme di partecipazione popolare. E’ così riuscito forse a spiazzare persino il frenetico Grillo e il rigido Di Maio, vicepresidente pentastellato della Camera.
In questa cornice di garanzie costituzionali per tutti e soprattutto con l’invito rivolto a Silvio Berlusconi – e anche a Grillo, d’altra parte – alla cerimonia al Quirinale, successiva a quella alla Camera, il nuovo Presidente ha messo in chiaro la sua volontà di muoversi verso la pacificazione nazionale, di stemperare i veleni berlusconiani della seconda repubblica, avallando in qualche modo – ma su questo ci sarà il tempo per capire meglio come intenda procedere concretamente – le scelte politiche a cui Matteo Renzi ha dato vita nei suoi rapporti con il Cavaliere. Il Presidente ha anche chiarito come intenda garantire il buon funzionamento dell’ordinamento della Repubblica e la funzionalità dello Stato, insistendo sulla sua funzione di arbitro e spiegando la ratio di questa funzione. Un passo importante di differenziazione da Napolitano che non ne ha mai parlato e ha caratterizzato il suo mandato per il forte interventismo politico.
L’arbitro, ha spiegato Mattarella in modo semplice e diretto, è necessario per far applicare le regole, ma, per poter essere efficace in questo, occorre che i “giocatori” lo aiutino. Fuori di metafora, Mattarella si è riferito agli ,altri poteri dello Stato, in primis in Parlamento, che ha voluto riscattare, in qualche modo, rispetto a come l’aveva brutalmente bistrattato Napolitano, in occasione della sua seconda elezione, e a come l’aveva delegittimato la stessa Corte costituzionale. Mattarella ne ha voluto invece riqualificare il ruolo e la funzione e, in questo passaggio, ha messo in evidenza una certa sua sensibilità contemporanea, sottolineando l’importanza della presenza di giovani e donne in questa legislatura. Non come numeri ma come espressione delle nuove istanze della società che cambia e che tra i giovani ha grandi talenti e grandi potenzialità. Mattarella Non si è avventurato in giudizi sulle riforme costituzionali né sulla legge elettorale, attenendosi strettamente per il momento al ruolo defilato rispetto al Governo e al Parlamento a cui sembra voglia improntare il suo settennato. Il che ovviamente non significa che non avrà la volontà di vagliare le riforme sotto il profilo della loro costituzionalità.
Mattarella ha messo all’inizio del suo discorso le problematiche del disastro sociale a cui aveva già brevemente alluso nella prima fugace dichiarazione, subito dopo il voto di qualche giorno fa. Un elenco dei problemi, un agenda politico-istituzionale, un auspicio che il governo trovi tempi e modi per risolvere i problemi. E ha colto fugacemente un punto essenziale, che doveva forse illustrare meglio, approfondire, porre come sfida del Paese, cioè il nesso tra i diritti sociali e l’amore della democrazia, l’interessa per essa, che il patto costituzionale prevede e l’andazzo delle cose economiche e sociali butta nel dimenticatoio. E’ un approccio molto diverso da come il premer pensa ai problemi sociali. Vision costituzionale e manovre politiciste, tanto per chiarire. Ma anche qui si vedrà, perché il discorso del nuovo Presidente è stato soprattutto un format da Costituzione. Ha parlato di tutti i diritti della prima parte della Carta, e della famiglia, ma non delle famiglie, e del pluralismo dell’informazione; ha insistito sul tema della legalità e della lotta alle mafie, ha ringraziato la magistratura e le forze dell’ordine per il loro impegno. Su questi aspetti della vicenda nazionale ha usato argomenti più esemplificativi di quanti ne abbia usati per illustrare i disastri sociali. Ha parlato del mondo globale in subbuglio e del fondamentalismo, a cui la comunità internazionale deve rispondere “con tutti i mezzi”. Forse Mattarella, anche per essere stato al governo nel periodo dell’implosione dei Balcani, un vero e proprio disastro per l’Europa, dovrebbe sapere che “tutti i mezzi” messi in campo dalla “comunità internazionale”, hanno fino ad oggi contribuito soltanto ad avvelenare i pozzi e a moltiplicare i disastri. E per questo il richiamo all’articolo 11 è risonato come lontano e ormai inafferrabile.
Ha concluso con i ringraziamenti canonici per le Forze armate e il richiamo ai due marò ancora nelle mani delle autorità indiane.
Insomma un discorso che dice bene la fase di transizione che l’Italia attraversa, faticosa, contraddittoria, piena di rischi democratici, con una seconda repubblica alle spalle che si è consumata nel conflitto senza fine tra berlusconismo e antiberlusconismo, e una terza repubblica che forse nascerà chissà come, forse anche con diversi robusti innesti della Prima. Non solo il Presidente Mattarella, che ha tutto il diritto di appartenere a quel periodo, per storia, cultura, modo di stare alla Costituzione. Ma soprattutto per l’idea egemonica di Renzi, dell’occupazione dello spazio al centro con un partito che è tutto e il contrario di tutto, il partito della nazione o chissà che cosa. Il nuovo Presidente gli piace sicuramente perché pensa che non gli farà ombra in questa sua proiezione centrista. Forse la giornata dell’investitura presidenziale lo ha confermato in questa idea. Ma vedremo. Il ruolo di arbitro del Presidente può risultare in certi casi più impegnativo per un premier alla Renzi di quanto non sia quello di Lord Protettore.