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Lunedì, 7 aprile 2014

Riforme, Sel: non voteremo Senato proposto da Renzi-Berlusconi

«Il punto è la riforma di Renzi: se Renzi cambia schema di riforma ci può essere una maggioranza diversa, ma l’idea che ci possa essere una maggioranza diversa e quindi anche i voti di Sel, e magari qualche ex 5 Stelle, su quel progetto di riforma del Senato di Renzi ad oggi non è dato». Lo afferma ai microfoni di Radio Radicale la senatrice di Sel Loredana De Petris, rispondendo alla domanda se il suo partito potrebbe essere la maggioranza di riserva nel caso in cui Fi dovesse far saltare il patto del Nazareno con il Pd. «Stiamo lavorando su un’altra idea – aggiunge De Petris -,  quella di un forte Senato elettivo molto ridotto nei numeri, 150 senatori e 450 alla Camera, una riduzione forte dei due rami del Parlamento, ma con un Senato con forti funzioni di garanzia, è lo stesso schema presentato dal senatore Chiti». Loredana De Petris

 

«Evidentemente qualche giornale si è un pò distratto: non credo proprio che le riforme istituzionali frutto dell’accordo tra Renzi e Berlusconi possano essere votate anche da Sel, non si può certo pensare che al posto di Forza Italia possa essere Sel a sostenere le loro proposte che non condividiamo». Così Nicola Fratoianni, coordinatore nazionale di Sinistra Ecologia Libertà, smentisce quelle ricostruzioni giornalistiche che ipotizzano un sostegno di Sel al posto di FI sul progetto riforme proposto da Palazzo Chigi.

«Proprio ieri – prosegue il coordinatore di Sel – l’assemblea nazionale di Sel ha assunto un documento molto chiaro che sarà la nostra base di discussione sulle riforme. Sel – conclude Fratoianni – vuole abbattere i costi della politica, vuole procedure istituzionali più rapide, un quadro di poteri costituzionali bilanciati che garantiscano rappresentanza, democrazia e libertà. Certo l’occasione non deve essere persa ma non si imbocchino necessariamente strade sbagliate o rovinose come si sta facendo ora».

La precisazione dei rappresentanti di Sinistra Ecologia Libertà arriva dopo che in una lunga intervista concessa a Sky dopo le parole di ieri di Silvio Berlusconi (che ha ventilato l’ipotesi di disattendere il “patto” con Renzi), il ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, aveva dichiarato che «se Forza Italia dovesse sfilarsi dall’accordo» sulle riforme costituzionali «i “numeri” per andare avanti ci sarebbero comunque». E però, «mi auguro ovviamente che continui a contribuire», ma «se non dovesse succedere, la maggioranza ha comunque i “numeri” per approvare la riforma»

 

Commenti

  • Francesco Lauria

    Riforme Costituzionali

  • Francesco Lauria

    L’intervista a Zagrebellsky:
    «La critica di Rusconi, tanto amichevole quanto severa, mi ha fatto
    molto riflettere». Pranzo a menu fisso col «professorone», 22 euro in
    due: arriviamo alla piola del cinema, due passi dietro il bellissimo
    campus di giurisprudenza a Torino, passeggiando lungo la Dora e parlando
    di tutto, da Renzi a Grillo alle riforme e ai «parrucconi».

    Cosa l’ha fatta riflettere delle parole di Rusconi, professore?

    «In primo luogo la contrapposizione tra le nuove generazioni, che hanno
    “una gran voglia di cambiare”, e noi vecchi. Rusconi su questo ha
    ragione».

    In che senso?

    «Esiste, nella contrapposizione, un elemento di biologia fisiologica.
    Viene un momento in cui i giovani dicono che tocca a loro, e noi siamo
    una palla al piede. Sotto certi aspetti questo è positivo. Tuttavia se è
    vero che l’insofferenza dei giovani ha il suo fondamento in un istinto
    vitale, non vuol dire che i vecchi debbano tacere, o peggio mettersi a
    fare i giovani. Il giovanilismo dei vecchi è una delle cose più
    disgustose. Ognuno faccia la sua parte».

    La vosta è quella dei professoroni? Lei si sente un professorone?

    «Ma è una parola di scherno. Ci gonfiano per poterci umiliare e cantar vittoria. Sono e mi sento un professore. Il
    mio habitat è l’Università, a contatto con gli studenti. Varie volte mi
    sono state offerete candidature. Ho sempre rifiutato perché la politica
    non fa per me. E’ cosa molto seria, e bisogna averne la vocazione.
    L’unico potere, per quelli come me o Rodotà, è dire ciò che si pensa.
    Mentre il dovere di un politico è ascoltare tutti; poi naturalmente
    tocca a lui decidere».

    Renzi non ascolta? L’ha incontrato?

    Due volte, non recentemente. Un paio di anni fa Carlin Petrini organizzò
    una cerimonia a Pollenzo, il conferimento delle lauree ai suoi
    studenti. C’eravamo Lella Costa, io e, per l’appunto, lui, chiamati a
    revocare la giornata della nostra laurea. Lo conobbi come un ragazzo
    brillante, nel quale allora, non avrei immaginato la vena di una certa
    presunzione che mi pare emerga ora e si manifesta con battute e frasi
    fatte al posto di argomenti».

    In che senso presunzione?

    «La presunzione consiste nella chiusura a ogni
    discussione, un atteggiamento che presuppone il possesso del criterio
    del bene e del male. Se ci fossero canali aperti di confronto, si
    farebbe tutti più strade: tutti, come si conviene in materia di
    Costituzione. Ma questo presupporrebbe una cosa, che manca, come ha
    detto Massimo Cacciari: la chiarezza d’un disegno generale del quale
    discutere».

    Davvero siete convinti che ci sia una svolta autoritaria in Italia?

    «La svolta autoritaria non è la riforma del Senato, un
    obiettivo marginale. E’ un insieme di elementi che formano un quadro
    inquietanti: la riduzione del Senato a un ibrido non politico; una legge
    elettorale che comprime il pluralismo con “soglie” assurde; deputati
    nominati dalle segreterie che faticano a mostrare la loro libertà di
    rappresentanti; il crollo dei partiti da cui emerge solo la leadership
    personale; una riforma strisciante, ma non dichiarata, della forma di
    governo; il rifiuto altezzoso delle mediazioni sociali, sostituite dalla
    presunta immedesimazione popolare. Ce n’è abbastanza, tanto più che la
    chiusura degli spazi della democrazia corrisponde a richieste
    d’interessi, che passano sopra la nostra testa».

    La critica che vi fa Rusconi è: perché non vi mettete in gioco? Magari per migliorare le riforme di Renzi.

    «Vuol dire che non siamo propositivi? Ecco la
    mia proposta: dimezzamento dei deputati; due senatori per regione,
    eletti direttamente tra persone con cursus honorum rispettabili; durata
    fissa e lunga senza rieleggibilità; poteri rivolti a contrastare la
    tendenza allo spreco di risorse comuni; controllo sulle nomine pubbliche
    e d’indagine sui fatti e sulle strutture della corruzione. C’è bisogno
    d’un organo che abbia lo sguardo lungo e, perciò, non sia sotto la
    pressione, o il ricatto, delle nuove elezioni».

    Perché l’idea di Renzi non funziona?

    «Scaricare integralmente l’avvio
    dell’iter legislativo sulla Camera ingolferebbe Montecitorio. Cambia,
    senza dirlo, l’articolo 138, che prevede due camere elettive nel
    processo di revisione della Costituzione. Crea un’assemblea eterogenea
    di amministratori di diverso livello e di uomini illustri non meglio
    qualificati».

    Sareste disposti a dialogare anche con voi con Renzi? L’appello non è una forma un po’ vecchia?

    «Ma chi ce lo chiede? Forse l’appello è
    stato tranchant, ma quali strumenti vede oltre l’appello? Il problema,
    dico a Rusconi, è che l’unico modo di mettersi in gioco, per Renzi,
    sembra essere quello di dire sì a Renzi. C’è un calcolo politico: se
    realizza le riforme lui sarà il riformatore; se non le realizza, si sarà
    creato un capro espiatorio, il nemico interno, il sabotatore: “non sono
    riuscito a causa loro” e la riforma apparirà ancor più ineludibile».

    E Napolitano? Raccontano che alcune vostre preoccupazioni siano anche le sue.

    «Mi limito a dire che chi apre la porta a questa riforma si assume una grade responsabilità per il futuro».

    Ci dica infine una cosa: ha notato che si è parlato tanto del vostro appello solo quando l’ha firmato Grillo?

    «Spesso mi chiedono se sono in
    imbarazzo per questo. Ma perché dovrei esserlo? In questo atteggiamento
    vedo un elemento d’intolleranza. Se qualcuno condivide le nostre
    posizioni è un bene. Per tutto il resto, vedremo»

  • Mario Iacobelli

    questa è una riforma piduista va detto con chiarezza che ormai le larghe intese servono a completare il programma di gelli