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Sabato, 27 settembre 2014

Riprendere il filo della ricostruzione a Sinistra

flag sel

Scriviamo questa nota dopo un’estate di passione malinconica, dentro ad un quadro che ha fatto esplodere, rivelato, problemi e lacerazioni al nostro interno che non immaginavamo portassero addirittura alla formazione di un nuovo gruppo parlamentare. Non sappiamo nemmeno come definire tutto ciò. La nostra spaccatura è apparsa – e non solo a noi – incomprensibile. Lontana da contenuti sostanziali, extrapolitica. Segno dei tempi.

Tutto ciò dentro ad un quadro in cui l’aggravarsi di una condizione di crisi sistemica ha investito ulteriormente il Paese e l’Europa, svuotando il terreno della rappresentanza e dei corpi intermedi. Tutto ciò dentro ad un quadro che ha ormai determinato nuove forme di sovranità e prodotto dinamiche recessive/deflattive e il dilagare di nuove forme di povertà che minano la tenuta e la coesione di interi territori. Tutto ciò rende necessario un salto di qualità nella costruzione di un’alternativa alle politiche della Troika ormai completamente sposate dall’attuale governo Renzi. Un’alternativa che, per quanto riguarda l’Italia, si ponga l’obiettivo di ricostruire una soggettività di sinistra con ambizioni di governo.

Per far questo, il ruolo, il profilo e la prospettiva politica di SEL vanno ridefiniti con nettezza. Dopo la battaglia parlamentare contro la riforma del Senato che ha ridato visibilità pubblica al nostro partito e dopo le due assemblee estive della lista Tsipras che hanno reso evidenti le difficoltà in cui si muove quel progetto politico, SEL fatica a riprendere un proprio protagonismo di prospettiva. Da qui nasce la nostra proposta. Una situazione problematica che ha poco a che fare con la recente spaccatura del gruppo parlamentare e che, invece, attiene alla difficoltà di recuperare una visione strategica, una lettura credibile della società italiana ed europea nel tempo della crisi e a fare i conti con il carattere autoritario e pervasivo della dimensione del “governo per il governo”, rappresentata oggi dal renzismo. Una situazione dove il conformismo e l’omologazione spingono ogni pensiero critico nella palingenesi della iattura. Stiamo al palo, al centro la necessità di ridefinire la nostra identità, fattasi liquida e impercettibile, nell’azione e nella cultura complessiva. SEL rischia di apparire una forza “piantata sulle gambe”. Con una proposta politica incerta. Ridefinire la nostra identità, assumere il terreno della democrazia radicale come cifra di cultura politica appaiono necessità improcrastinabili. Abbiamo sbattuto anche noi contro una resistenza nel rinnovare. Anche questa dipartita di parte del gruppo parlamentare fa riflettere per gli stessi “inconoscibili” contenuti se non quelli di un riposizionamento tattico individuale dentro al mercato elettorale. Vogliamo finalmente prendere atto anche di “passaggi a vuoto” dai quali, non ripetendoli, si può ripartire?

Le periferie sono il cuore dello scivolamento della classe media verso forme di sopravvivenza fino a poco tempo fa sconosciute. Le ricadute sui comuni della politica dei tagli messe in campo dagli ultimi governi sono devastanti. Il destino dei comuni è dato per irreversibile? Il necessario lavoro di opposizione parlamentare ai provvedimenti del governo – a partire dal cosiddetto Jobs Act, dalla delega sul lavoro e dalla riforma della scuola, nonché dalle ulteriori misure di tagli che si preannunciano sulla sanità e sulle pensioni – deve accompagnarsi ad un investimento, forte e visibile, che parli al Paese, ai suoi malesseri, al suo dolore sociale e che abbia una capacità di attrazione e di ricomposizione rispetto ai molti dissensi che il pensiero unico renziano sta producendo. Una produzione di soggettività politica, fortemente caratterizzata sul terreno della democrazia (una testa / un voto, sulle scelte di fondo e sulle persone), in grado di riannodare i fili di un processo aggregativo e di evitare il rischio che l’intera dialettica politica si esaurisca all’interno del “partito/Stato” di Renzi, per di più nel momento in cui sia sul piano nazionale con lo scontro durissimo sul lavoro e con la difficoltà a reperire i 20 miliardi per la legge di stabilità, sia sul terreno europeo – cosa ne è delle mirabolanti promesse che avrebbero dovuto accompagnare il semestre di Presidenza italiana dell’Unione? – il governo appare in grave difficoltà.

In questo contesto SEL non può accontentarsi della mera sopravvivenza. La manifestazione del 4 ottobre non può ridursi ad un passaggio rituale – la manifestazione autunnale – ma deve diventare l’occasione per investire con forza su questo processo di ricostruzione. Non una precipitazione organizzativistica, ma un passaggio per la costruzione di reti e di relazioni tra diversi da far vivere anche nella prevista conferenza di programma, fatto di pratiche di buon governo e di conflitto sociale, di paziente tessitura di politiche istituzionali e di rapporti con i movimenti, di pratiche amministrative in grado di misurarsi con il necessario cambio di paradigma e di modello di sviluppo e la sperimentazione di modalità organizzative, in grado di ricostruire legami sociali e di ricomporre la separatezza tra spazio della rappresentanza politica e frantumazione sociale, costruendo mutualismo, autorganizzazione, vertenzialità diffusa, socialità. Senza un rilancio delle nostre ambizioni, il nostro progetto politico rischia di non farcela.

Lo diciamo da un territorio, il Lazio, dove SEL è una forza di governo – abbiamo posizioni di rilievo alla Regione, al Comune e in tutti i Municipi di Roma, al Comune di Rieti, in quello di Formia e in quello di Priverno, in quello di Ladispoli, tanto per citare le realtà più grandi –  che, quotidianamente prova a misurarsi con la sfida del locale nel tempo della crisi, attraverso la costruzione di politiche di prossimità, frutto di mediazioni faticose, mobilitazioni sociali, intuizioni ed intelligenza politica. Un patrimonio di pratiche e di insediamento territoriale che prova a tenere insieme rivendicazione sociali e dinamiche di governo. Come si governano gli effetti territoriali che la globalizzazione scarica nei nostri quartieri senza produrre da subito un orizzonte di senso che al collasso sociale provi ad offrire una prospettiva diversa dalla disperazione? Quanto sta avvenendo a Corcolle e a Torpignattara, è un fatto sociale con il quale una politica di cambiamento ha il dovere di misurarsi. Il collasso sociale, si esprime non certo con il protagonismo della ribellione ma con un ulteriore ripiegamento individuale ormai più che altro destinato ad una deriva morale.

La necessità di un cambio di passo nell’azione di SEL, nasce da questa consapevolezza. Dobbiamo metterci al servizio di un processo di ricostruzione con quanti sono disponibili a mettersi in gioco.

Il tempo è adesso. Facciamo appello al gruppo dirigente nazionale affinché la manifestazione del 4 ottobre sia attraversata da questo spirito. Come primo passo.

Giancarlo Torricelli Segretario Regionale SEL Lazio

Maurizio Zammataro Segretario Area Metropolitana SEL Roma

Giuseppe Fortuna Segretario Provinciale SEL Frosinone

Maurizio Camerini Segretario Provinciale SEL Rieti

Paola Marchetti Segretario Provinciale SEL Viterbo

Beniamino Gallinaro Segretario Provinciale SEL Latina

Gino De Paolis Consigliere Regionale Lazio

Luigi Nieri Vice Sindaco Comune di Roma

Gianluca Peciola Capogruppo SEL Comune di Roma

Annamaria Cesaretti Consigliere Comunale Roma

Andrea Catarci Presidente VIII Municipio Roma

Susi Fantino Presidente IX Municipio Roma

Enrico Luciani Presidente Compagnia Portuale Civitavecchia

Simone Petrangeli Sindaco Comune di Rieti

Angelo Delogu Sindaco Comune di Priverno

Bengasi Battisti Sindaco Comune di Corchiano

Maria Rita Manzo Vice Sindaco Comune di Formia

Francesca Di Girolamo Assessore Comune di Ladispoli

Gianluca Marra Coordinamento SEL Lazio

Gaetano Capuano Coordinamento SEL Lazio

Sara Graziani Coordinamento SEL Lazio

Tonino Bitti Coordinamento SEL Lazio

Enrico Chiavini Coordinamento SEL Roma

Marina D’Ortenzio Coordinamento SEL Roma

Massimiliano Ortu Coordinamento SEL Roma

Ismaele De Crescenzo Coordinamento SEL Roma

Commenti

  • barbara auleta

    Il congresso di Sinistra Ecologia Libertà di Riccione ha segnato un momento di svolta: SEL ha contribuito in modo decisivo al risultato elettorale della lista L’altra Europa con Tsipras e ha avviato un’opposizione più incisiva e leggibile.
    SEL ha poi visto l’abbandono da parte di un gruppo significativo di parlamentari sulla necessità e possibilità di una sinistra non cooptata dal renzismo. Abbiamo scelto di giungere a una Conferenza programmatica all’inizio dell’autunno per sviluppare una discussione tra noi e un approfondimento di analisi. Ogni sollecitazione di discussione è dunque benvenuta.
    Ci ha però lasciati sorpresi l’intervento di molte compagne e compagni del Lazio “riprendere il filo della ricostruzione a Sinistra”, pur per molti versi condivisibile.
    Perché non proporre questo spunto di discussione nell’assemblea regionale a cui molte delle persone firmatarie erano presenti, raccogliendo così ulteriori contributi?
    L’impressione è che risulti più rilevante il quadro delle firme di dirigenti regionali, di federazioni grandi e piccole, marine e montane, consiglieri di municipi, aree metropolitane, che la proposta di merito.
    È ancora vivo l’intento di SEL di mettersi al servizio di un processo unitario a sinistra?
    Il documento incalza giustamente il gruppo dirigente – di cui peraltro i sottoscrittori sono parte importante – ad assumere scelte chiare, ma tace sulle scelte fatte.
    Non una parola, ad esempio, sulla Lista Tsipras, sul suo ruolo, le sue difficoltà, sull’impegno che il gruppo dirigente mette (o non mette) nella costruzione di quello che dovrebbe essere un percorso comune. Quando abbiamo scelto, tutti insieme, di investire su quell’esperienza, di considerarla non un approdo né un operazione meramente elettorale, l’abbiamo definita uno spazio politico. Non uno spazio in cui galleggiare in attesa degli eventi ma nel quale fare una battaglia politica, in cui portare la nostra idea di una sinistra innovativa, capace di declinare radicalità e proposta di governo.
    Vogliamo ragionare insieme sulle difficoltà di quel percorso? Noi crediamo che non si debba lasciarlo alla deriva o dare l’impressione di liquidare l’esperienza con dichiarazioni avventate ma provando piuttosto a remare forte, tutti insieme, nella direzione che riteniamo giusta e necessaria.
    In questa nuova stagione diviene decisivo il dialogo con quanti nel PD si sono opposti alle contro-riforme prima sul piano istituzionale e oggi sul lavoro; la necessità di questo dialogo non riguarda solo SEL e dovremmo invece porla come un’iniziativa necessaria e urgente anche delle forze che hanno promosso L’altra Europa: i due processi non sono alternativi.
    La manifestazione del 4 ottobre deve esprimere questa prospettiva.
    Chi devono essere i nostri interlocutori?
    Il documento promosso dai tanti dirigenti di SEL del Lazio ci sprona a cercare interlocutori nella società. Siamo d’accordo. E ci sembra ovvio che i primi siano proprio le cittadine e i cittadini che hanno scelto alle europee di sostenere un’idea alternativa di Europa contro l’austerity: riteniamo che SEL debba innanzitutto fare una proposta credibile a chi ha sostenuto quel progetto, per connettere idee ed esperienze che non si esauriscono nel quadro dei rapporti istituzionali.
    Ci si dice – e siamo d’accordo ancora una volta – di cercare i nostri interlocutori non solo nelle esperienze politiche, ma soprattutto nelle periferie, nei luoghi del disagio delle città, della precarietà…
    Per essere capaci di questo rapporto con la società è però necessario ripensare anche le forme di relazione tra SEL e le diverse espressioni sociali e politiche dei movimenti, con cui troppe volte in passato ci si è limitati a uno scambio asfittico o tutt’al più a una logica di cooptazione.
    Come può attrezzarsi SEL a costruire questo dialogo?
    Come può divenire capace di frequentare le periferie, ascoltare e trasformare il disagio per evitarne il ripiegamento e la torsione ribellista?
    E’ necessario costruire pratiche e linguaggi innovativi, condividere davvero analisi e progetti, sperimentare processi partecipativi inclusivi e trasparenti.
    Tutte le esperienze politiche di questi anni si sono infrante sullo stesso scoglio: la scarsa dimestichezza con la democrazia e quindi con la responsabilità individuale e la tendenza a ricorrere, in carenza di dialogo, alla ricerca di leader e alla costruzione di identità contrapposte.
    Noi, un partito che si definisce nonviolento, dovremmo essere i primi a sperimentare su noi stessi la pratica della democrazia, della trasparenza, dell’inclusione, di un “noi” che non esclude.
    Questo significa che per cambiare “passo” nella società dobbiamo prima di tutto cambiare noi stessi.
    Iniziamo a ragionare in modo aperto, libero e autocritico sui temi essenziali del nostro stare insieme. Si tratta di temi che sono stati dati per scontati ma che emergono come ostacoli nella vita quotidiana di questo partito, come enormi questioni non risolte, che frustrano l’impegno individuale e collettivo e
    allontanano le persone dalla partecipazione.
    Come ripensiamo le nostre pratiche valorizzando la volontarietà dell’impegno e le competenze attraverso percorsi tematici o territoriali di partecipazione?
    Come si formano le scelte politiche? Come si formano i gruppi dirigenti?
    Come si prendono le decisioni? Come pensare a un rapporto più libero e trasparente tra la nostra comunità ed eletti nelle istituzioni? Come contrastare pratiche finalizzate esclusivamente alla gestione del potere? Come ci finanziamo e come gestiamo in modo trasparente le nostre risorse?
    Le questioni di “metodo” sono le più urgenti in un momento in cui nel nostro Paese, la crisi della democrazia rappresentativa e dei partiti ha come risposta un modello leaderistico e oligarchico che comprime la partecipazione. Non si tratta quindi di chiuderci al nostro interno, ma di coinvolgere tutti nel processo più difficile ma più necessario di questi tempi: la costruzione di pratiche di democrazia e
    responsabilità in ogni ambito del vivere comune.
    Siamo nella posizione più giusta per farlo e non c’è nessun altro che voglia o possa prendersi questa responsabilità. Dobbiamo superare logiche proprietarie che precludono ogni dibattito con una conta predeterminata sulla base delle tessere. I circoli di SEL devono servire a costruire spazio di relazione con la società e un’occasione di partecipazione e crescita per le persone e non per segnare le
    mappe di risiko autoreferenziali, così gli iscritti non possono essere meri numeri su cui misurare il peso di aree e gruppi ma corrispondere a persone reali con cui poter costruire iniziativa politica e confronto.
    Se vogliamo davvero parlare nelle periferie dobbiamo saper parlare anche tra di noi. Se vogliamo essere nella società e rappresentare un riferimento per il cambiamento dobbiamo uscire dai vizi della vecchia politica, senza paura di perdere un po’ di potere.

    Laura Arduini
    Barbara Auleta
    Stefano Ciccone
    Antonio Di Lisa
    Enzo Mastrobuoni
    Carolina Zincone

  • francesco

    Cari compagni,Sel ha un solo uomo al comando e si chiama Nichi Vendola.Intorno,una pletora di epigoni ben abbarbicati ai posti di una comoda franchigia istituzionale, proni ai diktat dei maneggioni di lungo corso del Partito democratico e del “centrosinistra”. Chi ha a cuore il riscatto delle classi subalterne e la costruzione di una vera Sinistra, non può fare altro che superare l’equivoco del vendolismo e delle sue narrazioni oniriche.L’adesione alla lista Tsipras per un’altra Europa è stata solo un incidente di percorso dovuto, inaspettatamente, a una mozione risultata maggioritaria all’ultimo congresso, già abbondantemente vanificata dagli ultimi sviluppi.