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Lunedì, 19 ottobre 2015

Roma non è un deserto da governare dall’alto

roma

La crisi al Comune di Roma non nasce certo sugli scontrini di Ignazio Marino. È figlia dello smarrimento di un progetto autonomo di cambiamento della città e dell’incapacità di costruire una relazione positiva con chi vive e lavora a Roma da parte di chi si era candidato a governarla.

Il “modello Roma” ha mostrato tutti i suoi limiti prima dell’emersione della corruzione: la rinuncia a una pianificazione urbana che non scendesse a patti con gli interessi della rendita, la crescita di una dimensione del governo separata dalla città, basata sullo scambio e il riconoscimento reciproco tra élites politiche, economiche e finanziarie. L’esperienza Marino mostra come non basti, per rispondere a questa degenerazione affidarsi all’onestà dell’uomo solo e non investire sulla rivitalizzazione di processi democratici, partecipativi trasparenti.

Lo “scandalo” denominato dai media “mafia Capitale” era stato più correttamente individuato dai magistrati come “mondo di mezzo”, perché era proprio in quella pratica consociativa trasversale, in quel sottogoverno che non rompe con nessun potere forte della città e offusca le differenze politiche e sociali, che nasceva la spinta corruttiva.

Su questa pratica è morto il centrosinistra romano e la sua capacità di essere in sintonia con le domande di cambiamento che in questi anni sono cresciute nella città nonostante tutto.

E sull’avventura renziana del Partito della Nazione è morto il centrosinistra nazionale. Qualunque iniziativa politica non può non misurarsi con questo fatto politico.

Le difficoltà dei comuni non nascono solo dalla cattiva amministrazione ma anche dalle scelte del governo Renzi che scarica sugli enti locali e sui servizi le proprie manovre demagogiche come il taglio della tassazione sulle case di lusso.

Se è necessario valorizzare le esperienze locali che prefigurano la possibilità di una diversa risposta alla crisi, abbiamo anche imparato che locale e globale stanno insieme. È sempre più evidente la necessità di coniugare un’alternativa alle politiche europee di austerity, il contrasto alle politiche neoliberiste di precarizzazione del lavoro e privatizzazione a livello nazionale e la pratica concreta nelle città di valorizzazione dell’innovazione sociale, delle reti di solidarietà,  del pubblico come spazio di partecipazione e non governance burocratica. A partire dalle citta è possibile sperimentare una risposta alla crisi del welfare e del modello di sviluppo quantitativo sperimentando concretamente modelli di innovazione sociale basati sulla fine del consumo del suolo e delle risorse e sulla desertificazione delle relazioni sociali.

È una prospettiva che richiede creatività ma anche conflitto: l’esperienza dell’accoglienza ai profughi, la disponibilità delle e dei romani a mettersi in gioco in esperienze reali di prossimità, contrapposta ai roghi di pochi mesi prima a Torre Spaccata è un esempio che nessuno ha voluto riconoscere come “politica”.

Ma Marino anziché mettersi in consonanza con altre esperienze innovative di governo delle città ha scelto, inutilmente, di scendere a patti col Partito Democratico in cambio di  un ulteriore margine di sopravvivenza.

Il linciaggio strumentale dei lavoratori del Colosseo per un’assemblea regolarmente preannunciata è stato l’esempio lampante di una politica che anziché contrastare i tagli del governo ai servizi e alla cultura e invece di affrontare le responsabilità del management, preferisce scaricare la responsabilità su lavoratori in attesa da mesi del proprio salario accessorio.

Allo stesso modo l’attacco al Sindaco Marino è stato volgare, pretestuoso e violento: figlio della convergenza tra i poteri della rendita che controllano il sistema dell’informazione nella Capitale. Il sostegno spontaneo al sindaco dimissionario Marino, reagisce alla strumentalità di questo attacco. E una sinistra che voglia restare in connessione con la città deve ascoltare le ragioni di questa reazione

Ma cosa chiede questo sostegno a Marino? Chiede la continuità della politica della giunta monocolore PD a Roma? o non individua piuttosto nell’ex Sindaco un elemento (tardivo e contraddittorio) di rottura con l’establishment che ha governato in questi anni la Capitale?

Oggi i difensori dello status quo agitano l’abusato spauracchio da sempre utilizzato contro ogni cambiamento: “non vorrete certo favorire la Vandea di destra e populista dividendo le forze del centrosinistra!”. Purtroppo dimenticano che il centrosinistra è stato sepolto da un monocolore PD arricchito da assessori di stretta osservanza renziana come Esposito. E che l’aspirazione al cambiamento su cui Marino era stato eletto dopo la pagina buia di Alemanno è stata messa da parte molto tempo fa. Già nel momento in cui, a fronte di un parziale ripianamento del debito, Marino ha dovuto accettare una sorta di commissariamento da parte di Renzi.

Oggi ad aprire la strada alla destra o al populismo a Roma è proprio la fine di quella speranza e l’assenza di un’alternativa credibile e leggibile nel governo della città. Il Partito Democratico è  parte costitutiva di questa degenerazione e causa della fine di questa speranza.

La giunta romana aveva acceso molte speranze con iniziative che evocavano una rottura e un cambiamento: l’avvio della pedonalizzazione dei Fori, la chiusura della discarica di Malagrotta, la lotta all’abusivismo commerciale e a “tavolino selvaggio”, la registrazione delle unioni civili.

Ma poi è venuta la rottura con i lavoratori capitolini e la retorica contro il lavoro pubblico, le proposte di privatizzazione di ATAC, le proposte di esternalizzazione dei servizi AMA, e poi la chiusura di preziosi spazi di cultura e socialità, la progettazione di un milione di  nuovi metri cubi associati al nuovo stadio in un’area di esondazione del Tevere, e poi la candidatura alle olimpiadi con presidenza Montezemolo e poi il CdA dell’auditorium spartito tra gli esponenti dei poteri forti romani…

Chi come Sinistra Ecologia e Libertà ha chiesto negli scorsi mesi a Marino, senza ottenere risposta, una svolta, oggi non può accodarsi alle forze che hanno prodotto un’esperienza di governo deludente.

Riproporre un’alleanza di governo come quella giunta oggi alla crisi sarebbe il modo migliore per aprire la strada alla vittoria del movimento 5 Stelle.

A Roma, come nel Paese, è necessario che sia in campo un’alternativa credibile e praticabile ai tre blocchi della destra leghista e razzista, al movimento 5 stelle e al Partito della nazione, tre forme diverse di risposta populista alla crisi. Ed è evidente che il voto romano avrà un peso anche nel rilanciare o affossare la prospettiva di un nuovo soggetto della sinistra unitario, plurale e capace di rappresentare questa alternativa. La costruzione di un’alternativa politica nel Paese e la costruzione di esperienze reali di governo innovative nei territori non sono due terreni distinti.

Proprio perché vogliamo costruire un’alternativa reale sosteniamo Pisapia a Milano, Zedda a Cagliari e dobbiamo costruire una svolta reale nel governo di Roma.

Sinistra Ecologia e Libertà avrebbe fatto bene ad esplicitare meglio una propria posizione critica e distinguersi da una maggioranza trasformatasi in porto delle nebbie e dei veleni.  E non a caso proprio da questa maggioranza sono arrivati i colpi bassi contro il Sindaco. Ma sarebbe stato davvero paradossale che per contrastare le manovre interne al PD romano contro Marino, SEL avesse continuato a sostenere un monocolore PD in Campidoglio e ne avallasse oggi le scelte politiche. Se si è contro il modello neoliberista delle città non lo si è solo i giorni dispari: bisogna essere in grado di proporre un’alternativa sostenibile al modello delle privatizzazioni dei servizi e della mortificazione del lavoro pubblico.

Forse il limite che sin dall’inizio ha segnato questa esperienza e che oggi torna come nodo irrisolto è proprio lo slogan di Marino: “non è politica, è Roma”. Ecco abbiamo visto che non c’è alternativa senza un’altra politica, senza una diversa idea di sviluppo della città, senza la capacità di coinvolgere le persone che vivono e lavorano, le loro intelligenze,  i loro bisogni, le loro esperienze reali.

Roma non è un deserto da governare dall’alto. La partecipazione, la capacità di ascoltare e spiegare, di integrare qualità dei servizi e qualità e dignità del lavoro non sono un residuo ingombrante ma la condizione per un’idea moderna di governo di una metropoli complessa.

Non basta un marziano. Non serve una sinistra rassegnata: né alla testimonianza né al sottogoverno.

 *Presidenza Nazionale di SEL

Commenti

  • Luigino Garattoni

    Analisi giusta e condivisibile. La decisione su come affrontare il futuro a Roma avra’ un rilievo anche sulle scelte che si faranno in altri comuni. Credo che l’ascolto dei cittadini sia ora condizione necessaria anche se non sufficiente. Alla prossima assemblea nazionale questo tema dovrebbe essere dibattuto e una conferenza programmatica sulle amministrative sarebbe una scelta utile

  • Dalila Novelli

    Sì certo tutto ottimo e condivisibile. Ma con chi stringiamo il patto politico, economico e sociale? Con quali leader? Quali dirigenti? La base da sola si butta nel grande mare se non vede prospettive credibili. Purtroppo.

  • Francesco

    La base agisce in conseguenza della cultura politica che le è stata inculcata dal vendolismo: campo largo e governo a tutti i costi, a prescindere.
    Sintomatica la dichiarazione di Laura Boldrini (catapultata alla Camera da Sel) a favore dell’Alleanza col PD di Renzi in vista della prossima competizione elettorale per designare il futuro sindaco di Milano.