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Martedì, 7 aprile 2015

Se la maggioranza invisibile entra in campo

left

Leggendo Left del 23 marzo 2015.
Alla potenziale maggioranza del cambiamento è dedicata la copertina e molta parte del contenuto del numero di fine marzo del settimanale Left.

Il consiglio più fuori dalle righe, il “pensare senza ringhiera”, come avrebbe detto Hannah Arendt, affinché la maggioranza che serve a cambiare rotta entri in campo, viene da Emanuele Ferragina, giovane professore di Oxford. Lui è convinto che la Coalizione sociale proposta dal segretario della Fiom, per decollare, non solo debba abbattere i recinti, ristrutturare dalle radici la forma e la pratica sindacale, come va continuamente spiegando lo stesso Landini, ma soprattutto debba dotarsi di nuovi paradigmi per interpretare il mondo cambiato e le nuove figure sociali della crisi. E dunque senza esitazione, suggerisce Ferragina, si archivi il lavorismo, che è stata la grande narrazione novecentesca dell’assalto al cielo e delle poderose conquiste sociali e politiche del movimento operaio, ma che oggi, in questa parte del mondo che chiamiamo Occidente, non solo non corrisponde più a nulla ma rende difficile individuare e capire a chi ci si debba rivolgere perché le cose cambino davvero.

A chi parli, chi vuoi convincere, di chi vuoi guadagnare il consenso? E chi vuoi rappresentare? Domande cruciali, ancora quasi ignote nel dibattito della sinistra che sopravvive, e, quando compaiono, sono malamente elaborate e chiarite. Ma rispondere a esse è indispensabile per cambiare verso alla politica e per non cadere di continuo nella trappola di rimettere insieme pezzetti di ceti politici privi di legittimazione sociale e quindi intrinsecamente votati all’autoreferenzialità.

E’ così, è fisiologico, si è quello a cui ci si acconcia di essere per sopravvivere.

Per questo è necessario misurarsi coraggiosamente, fuori dalle righe appunto, per “incarnare” , dare corpo, chiamare per nome le varie componenti di quella “maggioranza invisibile”, che è davvero tale, cioè maggioranza, come dimostra nel suo articolo Alessandro Arrigoni, ma resa invisibile, oltre che frantumata e dispersa, dal predominio del canone neoliberista. Venticinque milioni di persone, secondo i calcoli di Arrigoni, trascurate dalla politica non solo perché il neoliberismo ha vinto ma perché la sinistra non è stata più in grado di capire come, dove, perché esso vinceva. Venticinque milioni di persone racchiuse all’interno di cinque gruppi sociali: disoccupati, pensionati poco abbienti, migranti, Neet (chi non lavora, non studia e non si forma) e precari. Donne e uomini, e soprattutto giovani, socialmente invisibili e politicamente senza peso.

Nell’analisi di Ferragina (con Arrigoni ha scritto il libro intitolato appunto La maggioranza invisibile), queste componenti rappresentano potenzialmente il cuore sociale e la forza politica di una nuova stagione di lotta e di un nuovo protagonismo sociale e politico.

Molti degli articoli pubblicati, da punti di vista diversi, ragionano sulla proposta della Coalizione sociale e ne mettono a fuoco le potenzialità di riattivazione dell’iniziativa dal basso. Ma evidenziano anche che, per questo, c’è la necessità che nuovi processi di soggettivazione sociale e politica si affermino, nuovi protagonismi entrino in scena, costruendo dal basso la pratica della relazione e della coalizione. Molti dei contributi pubblicati hanno il grandissimo pregio di venire dall’esperienza di chi appartiene alle nuove generazioni, quei giovani, giovanissimi e anche ormai meno giovani che vivono sulla propria pelle la condizione dell’invisibilità sociale, e, proprio per questo, meglio di altri sono in grado di leggere la realtà e scegliere su che cosa scommettere. Come, per esempio, il tema del reddito garantito, di cui scrive Maria Pia Pizzolante, portavoce di Tilt, in uno degli editoriali dal titolo emblematico “Dalla sofferenza alla lotta, questione di democrazia”. Il punto, dice Pizzolante, diventa oggi come organizzare questo sociale sofferente in movimento e come trasformare la sofferenza in lotta per il reale cambiamento delle condizioni di vita. Il punto, scrive ancora Maria Pia, è capire che sono i rapporti di forza all’interno della società che devono essere cambiati e per questo servono proposte che abbiano la forza di mettere insieme le forze, disegnando la griglia di una politica comune e in comune. Il tema del reddito è oggi finalmente al centro – o quasi – del dibattito politico. Mettere al centro il tema della redistribuzione della ricchezza, l’uguaglianza nelle opportunità, la liberazione dai ricatti, l’autodeterminazione: passa da qui spiega Maria Pia, una attivista in prima fila per dare il massimo di visibilità a questa battaglia, il filo di connessione necessario per mettere insieme le forze disperse – e a se stesse invisibili – della maggioranza reietta.

Che potrebbe però diventare una potenza.

Per questo la parola d’ordine che corre in tutti i contributi è quella di unire, mettere insieme, coinvolgere, costruire ponti, abbattere paratie stagne, tutto ciò insomma che rende impossibile ai più il riconoscimento della propria condizione nel rispecchiamento nella condizione dell’altro. Che fu, aggiungo io, il fondamento strutturale della forza della classe operaia fordista.

Nell’editoriale di apertura, Ilaria Bonaccorsi spiega il senso della parola in lingua inglese – “Unions” – di antica memoria operaia, con cui Landini ha battezzato la prima piazza della sua Coalizione sociale. Per Landini l’idea è di riunire le grandi battaglie oggi essenziali: il referendum da organizzare contro il Jobs act, la lotta alla corruzione, il salario minimo, la lotta all’evasione. E dunque Unions tra soggetti diversi. Il tema del come comporre iniziative e azioni comuni ritorna nel contributo di Daniele Di Nunzio – dall’emblematico titolo “Fate entrare i precari” . Di Nunzio scrive di dinamiche aggregative dal basso che sono già in atto e andrebbero implementate, di iniziative che coinvolgono il lavoro invisibile nei settori dell’economia avanzata, di reti costruite dallo stesso sindacato anche con i lavoratori autonomi. E la sfida per il sindacato, che si è costruito nelle grandi aziende del Novecento e di quella fase conserva un ormai vano approccio alle cose, non può che essere quella di mettersi coraggiosamente su questa strada, trasformando i primi esperimenti che qua e là supporta nella ragione sociale della propria esistenza.

Il sindacato d’altra parte, per i pesanti retaggi del suo passato, è un tema davvero cruciale. Ne parla anche Luca Sappino nella presentazione del numero della rivista, spiegando che il sindacato è responsabile non meno del Pd (in Italia) di quello che è successo sotto l’incalzare delle ricette neoliberiste. E oggi è oggetto degli assalti finali perché il nocciolo duro della nuova ragione del mondo è soprattutto una: ridurre il potere contrattuale dei lavoratori rispetto a quello di chi possiede capitali e aumentare i vantaggi remunerativi del capitale rispetto a quelli del lavoro. Lo ammettono, scrive Luca, anche due economiste del Fmi, Florence Jaumotte e Carolina Osorio Buitron.

Mi piace pensare che questa attenzione all’ineguaglianza sociale, che il neoliberismo moltiplica senza fine, abbia a che fare con un’attenzione al mondo che viene dal loro essere donne. Ma forse il loro è solo un rilievo oggettivo, funzionale ai compiti che devono svolgere. E, la mia, una nostalgia femminista.

 

Commenti

  • http://detestor.blog.com/ Detestor

    “Ne parla anche Luca Sappino nella presentazione del numero della
    rivista, spiegando che il sindacato è responsabile non meno del Pd (in
    Italia) di quello che è successo sotto l’incalzare delle ricette
    neoliberiste.”

    Sindacato? PD? Ma dormiva in piedi, questo Luca Sappino, mentre Berlusconi e le destre creavano il precariato? Non mi risulta che la legge Biagi (in realtà legge Maroni) sia stata scritta o votata dal PD. E tantomeno che il sindacato l’abbia accettata e men che meno promossa. Con tutto il male che voglio al PD, il precariato in Italia è da imputare interamente alle destre (solo recentemente, il PD di Renzi ha peggiorato la situazione con lo scellerato Jobs Act, ma questa è un’altra storia).

    Ma si, diamo ragione alle destre e a Renzi facendo nostra la favola che la colpa del precariato è del sindacato e del vecchio PD. Continuiamo a farci del male, mi raccomando.

  • ex/fatica/nemo

    in realtà il pacchetto Treu è farina del sacco del centrosinistra e direi che tutto è cominciato da lì (posso sbagliare naturalmente). che il sindacato abbia responsabilità in materia, purtroppo, è vero, se non altro perchè in quell’occasione non fu abbastanza conflittuale e cadde nella logica del “governo amico”. una volta aperta la strada poi fu difficile recuperare terreno, sicuramente anche perchè il precariato è quasi insindacalizzabile, ma anche perchè la CGIL arrivò molto in ritardo sulla questione (non ritengo per malafeda, ma per la difficoltà oggettiva di affrontare una situazione completamente nuova), lasciando il campo a piccoli sindacati autonomi e amene cazzate come la “mayday” parade et similia – il punto non è che il precariato e altre amenità siano da imputare interamente alle destre (cosa a mio avviso non vera – ritengo che il PDS, poi DS, poi PD abbia enormi responsabilità in materia) il punto è che il governo Renzi non ha cambiato direzione e, fingendo di combattere la precarietà la sta aumentando, fino ad arrivare al punto di risvegliare finalmente anche la conflittualità sindacale.
    il discorso sui sindacati è molto complesso e se non è riducibile alla favoletta renziana, non è nemmeno sensato nascondersi i limiti dell’azione sindacale degli ultimi anni, cosa ben diversa dall’attaccare il sindacato o accusarlo di essere la causa di tutti i mali. la critica è volta a modificare una situazione: personalmente sono ben felice dell’attuale posizionamento della CGIL, anche se tecnicamente non ha prodotto risultati – al tempo stesso anche quando ritenevo che la linea fosse sbagliata non l’ho mai considerata frutto di qualche “tradimento” quanto di condizioni oggettive di debolezza unite ad interpretazioni che io ritenevo (credo giustamente a giudicare da come sono andate le cose) sbagliate.

    la cosa surreale è che renzi critica da destra cose che si sono criticate per anni da sinistra (la concertazione per esempio), ma che oggi, nel momento in cui le critica lui, dimenticandoci troppo spesso il processo argomentativo completamente differente (quano non truffaldino – vedi job’s act), abbiamo un po’ paura a continuare a criticare noi.

    non è da oggi che il centrosinistra gioca male e di rimessa promuovendo politiche discutibili, la novità è che fino ad oggi la fatto in maniera meno radicale, per assenza di iniziativa (ricordo benissimo argomentazioni del tipo “se non lo facciamo noi lo faranno peggio gli altri”) e per debolezza, mentre oggi lo fa in maniera estremamente radicale e con convinzione assoluta.
    non dimentichiamo che modello di D’Alema fu Blair… Renzi è peggio, infinitamente peggio, ma è figlio di quella storia, non arriva dal nulla.

    e lo dico non “odiando” nè il PD nè tantomeno il sindacato – da elettore di sinistra ho sempre pensato che fosse inevitabile un rapporto con il centrosinistra, anche considerando i rapporti di forza reali… oggi probabilmente è diventato impossibile, ma continuo a ritenere che parte del PD e soprattutto della sua base siano tutt’altro che disprezzabili e che andrebbero intercettati in vista di un progetto politico altro.