Se la maggioranza invisibile entra in campo
Leggendo Left del 23 marzo 2015.
Alla potenziale maggioranza del cambiamento è dedicata la copertina e molta parte del contenuto del numero di fine marzo del settimanale Left.
Il consiglio più fuori dalle righe, il “pensare senza ringhiera”, come avrebbe detto Hannah Arendt, affinché la maggioranza che serve a cambiare rotta entri in campo, viene da Emanuele Ferragina, giovane professore di Oxford. Lui è convinto che la Coalizione sociale proposta dal segretario della Fiom, per decollare, non solo debba abbattere i recinti, ristrutturare dalle radici la forma e la pratica sindacale, come va continuamente spiegando lo stesso Landini, ma soprattutto debba dotarsi di nuovi paradigmi per interpretare il mondo cambiato e le nuove figure sociali della crisi. E dunque senza esitazione, suggerisce Ferragina, si archivi il lavorismo, che è stata la grande narrazione novecentesca dell’assalto al cielo e delle poderose conquiste sociali e politiche del movimento operaio, ma che oggi, in questa parte del mondo che chiamiamo Occidente, non solo non corrisponde più a nulla ma rende difficile individuare e capire a chi ci si debba rivolgere perché le cose cambino davvero.
A chi parli, chi vuoi convincere, di chi vuoi guadagnare il consenso? E chi vuoi rappresentare? Domande cruciali, ancora quasi ignote nel dibattito della sinistra che sopravvive, e, quando compaiono, sono malamente elaborate e chiarite. Ma rispondere a esse è indispensabile per cambiare verso alla politica e per non cadere di continuo nella trappola di rimettere insieme pezzetti di ceti politici privi di legittimazione sociale e quindi intrinsecamente votati all’autoreferenzialità.
E’ così, è fisiologico, si è quello a cui ci si acconcia di essere per sopravvivere.
Per questo è necessario misurarsi coraggiosamente, fuori dalle righe appunto, per “incarnare” , dare corpo, chiamare per nome le varie componenti di quella “maggioranza invisibile”, che è davvero tale, cioè maggioranza, come dimostra nel suo articolo Alessandro Arrigoni, ma resa invisibile, oltre che frantumata e dispersa, dal predominio del canone neoliberista. Venticinque milioni di persone, secondo i calcoli di Arrigoni, trascurate dalla politica non solo perché il neoliberismo ha vinto ma perché la sinistra non è stata più in grado di capire come, dove, perché esso vinceva. Venticinque milioni di persone racchiuse all’interno di cinque gruppi sociali: disoccupati, pensionati poco abbienti, migranti, Neet (chi non lavora, non studia e non si forma) e precari. Donne e uomini, e soprattutto giovani, socialmente invisibili e politicamente senza peso.
Nell’analisi di Ferragina (con Arrigoni ha scritto il libro intitolato appunto La maggioranza invisibile), queste componenti rappresentano potenzialmente il cuore sociale e la forza politica di una nuova stagione di lotta e di un nuovo protagonismo sociale e politico.
Molti degli articoli pubblicati, da punti di vista diversi, ragionano sulla proposta della Coalizione sociale e ne mettono a fuoco le potenzialità di riattivazione dell’iniziativa dal basso. Ma evidenziano anche che, per questo, c’è la necessità che nuovi processi di soggettivazione sociale e politica si affermino, nuovi protagonismi entrino in scena, costruendo dal basso la pratica della relazione e della coalizione. Molti dei contributi pubblicati hanno il grandissimo pregio di venire dall’esperienza di chi appartiene alle nuove generazioni, quei giovani, giovanissimi e anche ormai meno giovani che vivono sulla propria pelle la condizione dell’invisibilità sociale, e, proprio per questo, meglio di altri sono in grado di leggere la realtà e scegliere su che cosa scommettere. Come, per esempio, il tema del reddito garantito, di cui scrive Maria Pia Pizzolante, portavoce di Tilt, in uno degli editoriali dal titolo emblematico “Dalla sofferenza alla lotta, questione di democrazia”. Il punto, dice Pizzolante, diventa oggi come organizzare questo sociale sofferente in movimento e come trasformare la sofferenza in lotta per il reale cambiamento delle condizioni di vita. Il punto, scrive ancora Maria Pia, è capire che sono i rapporti di forza all’interno della società che devono essere cambiati e per questo servono proposte che abbiano la forza di mettere insieme le forze, disegnando la griglia di una politica comune e in comune. Il tema del reddito è oggi finalmente al centro – o quasi – del dibattito politico. Mettere al centro il tema della redistribuzione della ricchezza, l’uguaglianza nelle opportunità, la liberazione dai ricatti, l’autodeterminazione: passa da qui spiega Maria Pia, una attivista in prima fila per dare il massimo di visibilità a questa battaglia, il filo di connessione necessario per mettere insieme le forze disperse – e a se stesse invisibili – della maggioranza reietta.
Che potrebbe però diventare una potenza.
Per questo la parola d’ordine che corre in tutti i contributi è quella di unire, mettere insieme, coinvolgere, costruire ponti, abbattere paratie stagne, tutto ciò insomma che rende impossibile ai più il riconoscimento della propria condizione nel rispecchiamento nella condizione dell’altro. Che fu, aggiungo io, il fondamento strutturale della forza della classe operaia fordista.
Nell’editoriale di apertura, Ilaria Bonaccorsi spiega il senso della parola in lingua inglese – “Unions” – di antica memoria operaia, con cui Landini ha battezzato la prima piazza della sua Coalizione sociale. Per Landini l’idea è di riunire le grandi battaglie oggi essenziali: il referendum da organizzare contro il Jobs act, la lotta alla corruzione, il salario minimo, la lotta all’evasione. E dunque Unions tra soggetti diversi. Il tema del come comporre iniziative e azioni comuni ritorna nel contributo di Daniele Di Nunzio – dall’emblematico titolo “Fate entrare i precari” . Di Nunzio scrive di dinamiche aggregative dal basso che sono già in atto e andrebbero implementate, di iniziative che coinvolgono il lavoro invisibile nei settori dell’economia avanzata, di reti costruite dallo stesso sindacato anche con i lavoratori autonomi. E la sfida per il sindacato, che si è costruito nelle grandi aziende del Novecento e di quella fase conserva un ormai vano approccio alle cose, non può che essere quella di mettersi coraggiosamente su questa strada, trasformando i primi esperimenti che qua e là supporta nella ragione sociale della propria esistenza.
Il sindacato d’altra parte, per i pesanti retaggi del suo passato, è un tema davvero cruciale. Ne parla anche Luca Sappino nella presentazione del numero della rivista, spiegando che il sindacato è responsabile non meno del Pd (in Italia) di quello che è successo sotto l’incalzare delle ricette neoliberiste. E oggi è oggetto degli assalti finali perché il nocciolo duro della nuova ragione del mondo è soprattutto una: ridurre il potere contrattuale dei lavoratori rispetto a quello di chi possiede capitali e aumentare i vantaggi remunerativi del capitale rispetto a quelli del lavoro. Lo ammettono, scrive Luca, anche due economiste del Fmi, Florence Jaumotte e Carolina Osorio Buitron.
Mi piace pensare che questa attenzione all’ineguaglianza sociale, che il neoliberismo moltiplica senza fine, abbia a che fare con un’attenzione al mondo che viene dal loro essere donne. Ma forse il loro è solo un rilievo oggettivo, funzionale ai compiti che devono svolgere. E, la mia, una nostalgia femminista.
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