Sempre a proposito di “ghigliottina”: le istituzioni di garanzia e il primato della politica
Proseguiamo il dibattito che la scorsa settimana Elettra Deiana ha lanciato sul nostro sito sulle regole e la Costituzione. Pubblichiamo la risposta che Deiana ha dato ad alcuni interventi che hanno fatto seguito al suo articolo.
Condivido e voglio sottolineare tutte le osservazioni che, in vari interventi, hanno messo in evidenza l’importanza che, in un ordinamento democratico, rivestono le istituzioni di garanzia. Da ciò deve conseguire – ma il rischio è che sempre meno consegua – la necessità che tali istituzioni operino in base al criterio della terzietà, cioè del “supra partes”, attenendosi scrupolosamente ai regolamenti, alle regole, alle procedure. Questo “attenersi” costituisce un vero e proprio principio ispiratore del loro funzionamento, uno di quei tasselli fondamentali che dovrebbero essere alla base del rapporto di fiducia tra i cittadini/e e lo Stato, tra i rappresentati e la rappresentanza democratica che cittadine e cittadini determinano col loro voto. Questo non significa che le regole non possano essere cambiate, se ce ne sia la necessità o i tempi siano molto cambiati e quelle regole risultino ormai desuete, inefficaci, inutili. Ma bisogna avere chiarissime due cose. La prima è che venga messo bene in evidenza, nel dibattito pubblico e soprattutto nei luoghi dove si decide – come il Parlamento di cui stiamo discutendo – i perché di chi chiede che le regole si cambino e le ragioni di chi è contrario. Questione di merito politico perché il cambiamento delle regole non è mai una scelta neutra, pura tecnicalità, soprattutto se si tratta del Parlamento, organo costituzionale per eccellenza. Chi lo sostiene o mette avanti il mantra dell’innovazione, senza entrare nel merito, imbroglia le carte. La seconda è la necessità che tutto venga deciso attraverso la pratica istituzionale del dibattito, degli eventuali emendamenti – anche sulle regole si possono trovare mediazioni che migliorano o peggiorano le decisioni – del voto infine per stabilire quale posizione abbia raggiunto la maggioranza. Questione, quella della pratica per arrivare al voto, di metodo ma le due cose, in democrazia, dovrebbero stare strettamente insieme. Ci sono state varie modifiche al regolamento della Camera. Nel 1997-98, per impulso dell’allora presidente della Camera Luciano Violante, furono introdotte significative modifiche del regolamento di quel ramo del Parlamento, tendenti a favorire il bipolarismo e ad affermare il principio della cosiddetta “democrazia decidente”. Detto in altri più chiari termini, le modifiche rispondevano all’idea della supremazia del rapporto maggioranza-governo rispetto alla dialettica parlamentare e ai tempi complessi di tale dialettica. Nasceva allora la tendenza all’idea della governabilità a tutti i costi che, per altro, ha condotto all’ingovernabilità che conosciamo, che oggi si tende ad attribuire alle opposizioni, ai partiti piccoli e via discorrendo. Risalgono ad allora (XIII Legislatura) misure per ridurrre l’impatto ostruzionistico del filibustering – molto utilizzato nella Prima Repubblica dalla sinistra (Pci) – come la rigida fissazione dell’agenda parlamentare o il contingentamento dei tempi. Ma, come ormai è stato chiarito, non fu introdotta la cosiddetta ghigliottina a cui ha fatto ricorso, per scelta politica non di sua competenza la presidente Bodrini. Che poteva fare? Molto, secondo i suoi poteri. Informare il governo della richiesta di dividere i due argomenti del decreto, come proposto dalle opposizioni, non solo dal M5S. Il decreto IMU che sarebbe stato votato subito e Bankitalia da destinare a un nuovo iter legislativo. Punto e a capo.
Ma oggi siamo nel pieno di una crisi politico-istituzionale che non è solo del nostro Paese ma che da noi ha assunto i contorni della crisi di sistema e del collasso dell’azione dei partiti. Il tutto in un quadro internazionale ed europeo che vede assumere sempre più potere diretto da parte dell’economia finanziaria, col conseguente svuotamento dei poteri dello Stato nazione e la tendenza a ridurre il Parlamento a ufficio di registrazione “democratica” delle decisioni di governo che rispondono più a Bruxelles che al Parlamento, essendo, soprattutto gli ultimi due, quello che sono: creature meramente artificiali, creati in vitro e mantenuti in vita dalla convinzione del presidente della Repubblica che ciò sia il bene per l’Italia.
Le presidenze di Camera e Senato, la presidenza della Repubblica, la Corte Costituzionale sono istituzioni massimamente di garanzia. Ma succede quello che segnala in questo dibattito Claudio Solarino, affrontando, con una serie di preoccupazioni che sono anche mie, la questione della sentenza della Corte sul Porcellum. La chiamo, quella che Solerino segnala, “slittamento di funzione”. La crisi della politica, questa la mia analisi, produce fenomeni di vuoto di decisionalità, efficacia politica sempre più drammatico, e supplenza sempre più invadente e performativa da parte di altri poteri e istituzioni. Altri prendono il posto che dovrebbe essere esercitato dalla politica. Il ruolo di supplenza del capo dello Stato è davanti a tutti. Vi è come una politicizzazione crescente nell’attività di cariche che dovrebbero invece tenere basso, soprattutto nell’esercizio della loro funzione, la spinta ad agire “politicamente”. Invasione invadente e anche performativa perché crea un’abitudine culturale, una “naturalizzazione” dell’eccezione istituzionale. E perché la mala politica si è adagiata e autoconservata grazie ai suoi supplenti. Il disastro del Porcellum chi alla fine l’ha “risolto”? la suprema Corte, appunto, che non solo risolve o tenta di risolvere il monstrum elettorale ma va oltre, affrontando il rapporto tra governabilità – questione extra costituzionale – e parlamento – perno dell’ordinamento costituzionale. Per questo la fedeltà alle regole è oggi non solo difesa costituzionalmente intesa degli strumenti fondamentali del funzionamento delle istituzioni, quelli che hanno/dovrebbero avere la forza interna di far accettare le decisioni delle maggioranze anche quando non ci vanno bene. Ma è grande questione politica dell’epoca di cambiamento che viviamo, perché il cambiamento non sia soltanto nelle mani di chi non solo ha un potere diretto ma anche quello di scambiare le carte nel grande gioco del circo mediatico che si è sostituito al confronto politico. Naturalmente tutto questo non ha nulla a che vedere con gli insulti e le intimidazioni che hanno fatto seguito ai fatti che sono da condannare e basta.
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