Senato, contro questa riforma non basta la battaglia in Parlamento. Gli emendamenti di Sel
Oggi pomeriggio , in commissione Affari costituzionali del Senato abbiamo iniziato a votare gli emendamenti al testo proposto dal governo e dai relatori. Intorno a questa riforma, è in corso da settimane e mesi una campagna propagandistica tanto martellante quanto bugiarda. Secondo questo schema, che non è semplificato ma semplicemente falso, da una parte ch’è la volontà di innovare e rendere più efficiente il sistema, dall’altro “la palude”, che mira a conservare lo status quo, sprechi e privilegi inclusi.
La verità è molto diversa e per più versi opposta. Basterebbe guardare i nostri emendamenti per sincerarsene. Proponiamo il dimezzamento o in subordine una drastica diminuzione non solo nel numero dei senatori ma anche dei deputati, da 630 a 315 o 450, l’equiparazione degli indennizzi a quelli dei sindaci delle grandi città, l’eliminazione secca di ogni forma di immunità, fatta salva l’insindacabilità dei pareri espressi come parlamentari che rappresenta una delle fondamenta ineludibili della democrazia. Quanto a lotta agli sprechi e ai privilegi, le nostre sono proposte molto più efficaci e radicali di quelle del governo.
Il nodo non è dunque la difesa “paludosa” della situazione esistente, ma quella trasparente della democrazia. Troppe volte questa formula è stata usata a sproposito. In questo caso, invece, si attaglia alla situazione reale. Il cuore della democrazia è un sistema di pesi e contrappesi che impedisca a un potere istituzionale o a uno dei soggetti in campo di esercitare una sorta di potere assoluto e incontrollato. Il combinato disposto tra la riforma del Senato proposta dal governo e la legge elettorale partorita dall’incontro tra Renzi e Berlusconi, l’Italicum, colpisce al cuore proprio questo sistema di pesi e contrappesi.
I 74 senatori selezionati mediante “elezione di secondo livello” saranno infatti scelti di fatto dalla maggioranza in accordo con quella minoranza da cui si sentirà meno infastidita. Una sorta di “opposizione di sua maestà”. I 21 sindaci saranno indicati senza alcun vincolo di rappresentatività. Di conseguenza la stessa maggioranza che, grazie a un premio assolutamente sproporzionato avrà mano libera alla Camera, potrà fare lo stesso anche al Senato. Con ciò determinerà per intero tutti gli assetti istituzionali: il presidente della Repubblica, la Corte costituzionale, il Csm. L’ipotesi di un partito che, con il 25% dei voti degli aventi diritto, decide su tutto senza alcun limite non è affatto peregrina.
Noi non chiediamo affatto di mantenere il bicameralismo perfetto. Difendiamo semplicemente il diritto degli elettori a scegliersi la loro rappresentanza, con l’elezione diretta e proporzionale dei senatori, e l’equilibrio del sistema democratico lasciando al Senato così eletto la competenza, insieme alla camera, sulle questioni più vitali: le leggi costituzionali, i rapporti con le confessioni religiose e con le minoranze, la tutela della salute, i temi inerenti alle libertà e ai diritti fondamentali, per fare gli esempi principali. Il Senato dovrebbe a nostro avviso avere anche competenza esclusiva sulle leggi regionali impugnate dal governo.
Del resto, questa riforma è inutile e anzi controproducente anche sul piano dell’efficienza. Come si può pensare che consiglieri regionali e sindaci svolgano ben il lavoro di senatori se possono dedicargli i ritagli di tempo? Il doppio incarico ha dato prove pessime ovunque sia stato tentato: non a caso la Francia ha appena deciso di cancellarlo. Però non c’è bisogno di guardare oltralpe. Proprio il doppio incarico è quello che ha condannato l’Italia a essere insignificante nel parlamento europeo, dove la maggioranza degli eletti manteneva l’incarico principale in Italia e considerava il parlamento europeo un’occupazione secondaria.
Non si confrontano riformismo e palude, ma una innovazione di facciata che lede nel profondo le dinamiche della democrazia e una modifica del bicameralismo perfetto efficiente ma tale da salvaguardare la sostanza del sistema democratico nell’architettura istituzionale. E’ una battaglia parlamentare, e in parlamento noi la sosterremo strenuamente. Ma se resta confinata nelle aule parlamentari, le nostre possibilità di successo saranno scarse. E’ fuori dal Parlamento che bisogna imporre la verità, smentire quelli che contrabbandano una riforma autoritaria con il mano della lotta agli sprechi e alla casta. Solo se la difesa della democrazia sostanziale diventerà una battaglia sociale e culturale oltre che parlamentare potremo fermare questa drammatica deriva.
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