Senato e riforme, istituzione nominate dai partiti e dove basterà avere il 25% per decidere tutto
La riforma della Costituzione è arrivata in Aula, circondata da un dissenso molto più ampio di quanto non possa apparire. I senatori che votano per convinzione sono una minoranza, e anche abbastanza esigua. Non rispondono alla loro coscienza ma a un ‘ordine di scuderia’ che negli ultimi giorni è diventato imperativo, in Fi e ancor più nel Pd. Anche i dissensi espliciti tuttavia non sono pochi: quelli “ufficiali” del gruppo Misto-Sel e del M5S, e quelli dei dissidenti all’interno dei due gruppi principali ma anche in quelli della Lega e dell’Ncd.
Solo SEL, però, ha svolto una vera e propria relazione di minoranza. La Presidente del gruppo Loredana De Petris ha smontato punto per punto l’impianto di una riforma che va nella direzione diametralmente opposta a quella, da tutti auspicata ma solo a parole, di una maggior partecipazione dei cittadini e degli elettori.
Il Senato a cui il governo, con la complicità dei senatori di maggioranza, vuole dare vita è un’assemblea di nominati dall’alto, che consentirà al partito che li nomina, e dunque al governo, di spazzare via ogni bilanciamento dei poteri, ogni reale controllo parlamentare sull’operato del governo. Sarebbe comunque una lesione grave degli assetti istituzionali democratici, ma lo è infinitamente di più in presenza di una legge elettorale che va nella stessa direzione. Anche i deputati, infatti, senza preferenze saranno nominati, e la loro rappresentanza sarà gonfiata da un premio di maggioranza abnorme. Il micidiale mix composto dalla riforma del senato e dall’Italicum farà sì che un partito forte del 25% dei consensi reali possa decidere su tutto: governo, presidenza della Repubblica, Corte costituzionale, Csm, istituti di garanzia. Forte di una maggioranza di nominati, il governo potrà procedere a piacimento, senza preoccuparsi di alcun vincolo e alcun controllo.
Del resto che questa sia la ratio dell’intero impianto delle riforme è dimostrato ulteriormente dalla scelta di aumentare vertiginosamente il numero delle firme necessarie sia per i referendum abrogativo (da 500 a 800mila) sia per le leggi di iniziativa popolare (da 50 a 250mila). L’intenzione di svincolare l’esecutivo non da lungaggini e ostacoli burocratici, bensì dal controllo del Parlamento e da quello degli elettori è palese. Per questo, ha concluso la presidente De Petris, ha concluso che la riforma viola direttamente l’art.1 della Costituzione. Rappresenta cioè un attacco diretto alla sostanza della democrazia.
Si sarebbe potuto fare diversamente, ottenendo maggiori risultati sia sul fronte dell’efficienza che del risparmio e senza accoltellare lo spirito, non solo la lettera, della Costituzione. Diminuendo il numero dei deputati, portandoli a 450, e aumentando quello previsto dei senatori fino a 150, si sarebbe risparmiato sui costi, reso il sistema davvero più rapido ed efficiente senza spogliare gli elettori dei loro poteri democratici e senza affidare al governo poteri quasi assoluti.
Solo SEL, come gruppo, ha detto ieri la verità sulla riforma, Ma i senatori che la pensano allo stesso modo sono moltissimi, e negli interventi di ieri lo hanno confermato. Lo stesso co relatore Calderoli, della Lega, ha avanzato critiche e dubbi a non finire. Per questo, probabilmente, il percorso della riforma, nonostante i diktat, sarà meno facile e meno rapido di quanto il governo non preveda.
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