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Giovedì, 9 aprile 2015

Senza diritto allo studio non si costruisce il futuro del paese #osate cambiare

scuola

L’aspetto peggiore di tutte le versioni, più o meno patinate, della cosiddetta ‘buona scuola’ è che mancano gli studenti, la ragione fondante della scuola in ogni Paese democratico. Mancano gli investimenti nel Diritto allo studio, ignorando che l’Ocse è tornato giustamente a bacchettare l’Italia, nel recente rapporto Going for Growth, perché la nostra spesa in istruzione è insufficiente, inefficiente e iniqua. Le parole della Costituzione: “La scuola è aperta a tutti. I capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi” (art. 34) prefigurano una società in cui, grazie alla scuola pubblica, accessibile a tutti in ogni zona della penisola, ogni studente diviene un cittadino che ha la possibilità di contribuire, alla crescita civile ed economica del Paese. Una società guidata da una classe dirigente – non solo politica – composta dai ‘capaci e meritevoli’ e non da raccomandati e ‘figli di’. Come Calamandrei ricordava nel celebre Discorso in difesa della scuola pubblica del 1950 essa è “il complemento necessario del suffragio universale”.

Nel nostro Paese l’istruzione è stata per decenni motore di sviluppo e mobilità sociale, ma oggi non è più così: negli ultimi anni siamo stati gli unici ad aver ridotto la spesa pubblica in istruzione, già bassa, di un ulteriore -3% contro l’aumento medio del +38% nei Paesi OCSE. Conseguendo così i risultati impietosi attestati dall’Unione Europea: i 758.000 ESL (Early School Leavers : coloro che abbandonano la scuola prima del diploma) e i 2.250.000 Neet ci costano 35 miliardi in termini di mancate tasse e welfare, senza calcolare gli aumentati costi sanitari e l’incremento della microcriminalità legati all’abbandono scolastico. È il costo più alto in Europa, il sesto se calcolato sulla percentuale PIL. Sono dati la cui gravità aumenta se si aggiunge che gli ESL sono per il 2.9% figli di laureati e 27,7% figli di genitori con licenza media, per il 3,9% figli di professionisti e per il 31,2% figli di lavoratori non qualificati. È evidente che a causa del progressivo impoverimento la scuola, anziché rimuovere gli ostacoli e premiare il merito, perpetua le disparità sociali. (Focus Miur)

E se la ‘riforma Gelmini’ traduceva il Berlusconi-pensiero “il figlio dell’operaio non può essere uguale al figlio del professionista”, la riforma epocale di Renzi parte dall’assunto, incostituzionale, che “le risorse pubbliche non saranno mai sufficienti a colmare le esigenze di investimenti nella nostra scuola”. Quindi, la ‘buona scuola’ non riapre il prossimo settembre senza i finanziamenti privati: i contributi ‘volontari’ delle famiglie, il pacchetto di agevolazioni fiscali per il settore privato e no-profit, il 5×1000 destinabile non al sistema scolastico, come sarebbe logico ed equo, ma alla singola scuola. Con un’evidente conseguenza: scuole ricche in zone ricche e scuole povere in aree disagiate, rompendo il principio di unitarietà del sistema scolastico nazionale e aggravando le disparità territoriali e sociali, la malattia principale della nostra scuola che ogni riforma degna di questo nome dovrebbe invece ridurre. (CIDI)

Che la ‘buona scuola’ sia non una riforma, ma una controriforma in piena continuità con i precedenti interventi del centro destra, si evince anche da un secondo dato, ancora più incomprensibile: le scuole paritarie, secondo la Costituzione “senza oneri per lo Stato” in realtà hanno goduto di contributi pubblici crescenti senza però migliorare la propria qualità. L’Ocse scrive, infatti: “In Ungheria, Indonesia, Italia, Giappone, Messico, Nuova Zelanda e nel Regno Unito le differenze nelle prestazioni, corrette per i fattori socio-economici dell’ambiente di provenienza sia degli studenti che delle scuole, pendono in grado statisticamente significativo a favore delle scuole pubbliche“, ma il divario a favore della scuola pubblica italiana è il più alto rispetto agli altri Paesi considerati dall’OCSE. Sempre alla faccia della meritocrazia tanto sbandierata dal governo Renzi.

Il milione di studenti dei tredicimila istituti paritari italiani (diplomifici compresi) riceve già dallo stato 1,5 miliardi l’anno, tra contributi di Stato e Regioni, molto più di quanto stanziato agli 8 milioni di studenti delle oltre 113.000 scuole statali. In concreto, un diritto allo studio al contrario: i soldi pubblici alla scuola privata e soldi dei privati, se e dove ci sono, alla scuola pubblica. Ma la ‘buona scuola’ supera la ‘riforma’ Gelmini e le peggiori misure regionali delle destre (la ‘dote scuola’ in Lombardia e il buono scuola in Veneto): la detrazione del 19% delle spese sostenute per la frequenza di scuole d’infanzia, elementari e medie, fino a un massimo 400 euro, garantita, indifferentemente, per le paritarie e per le statali, sottrarrà alle casse dello Stato circa 116,2 milioni di gettito Irpef. È un regalo alle 874 mila famiglie che, potendo permettersi le rette della scuola paritaria, forse non ne hanno bisogno. A differenza del numero crescente di famiglie per le quali anche il costo della scuola statale, nettamente inferiore, è diventato un lusso cui si è costretti a rinunciare.

Il “Rapporto Italia 2015” Eurispes, infatti, attesta che: la condizione economica del 76,7% delle famiglie italiane è peggiorata, il 47,2% non arriva a fine mese; la dispersione scolastica, ferma al 17%, colpisce i redditi inferiori. Ma il governo Renzi, anziché investire nella scuola statale per raggiungere gli obiettivi Europa 2020 (riduzione degli abbandoni scolastici al di sotto del 10% e aumento al 40% dei 30-34enni con un’istruzione universitaria), sottrae risorse a chi ne ha bisogno per darle a chi bisogni non ha. Un governo schierato, senza esitazioni, sempre dalla parte del più forte.

La finalità della scuola per Renzi non è quella assegnatale dalla Costituzione italiana e dall’Europa. Renzi non vuole portare tutti al successo formativo, ma solo selezionare e premiare i migliori tra docenti e studenti. Ma, purtroppo, l’obiettivo, già di per sé inaccettabile, nasconde qualcosa di peggio. In realtà, il meccanismo assurdo di governance su cui si fonda la ‘buona scuola’ e la mancanza di un vero investimento pubblico finiranno col selezionare i docenti più ‘graditi’ al loro Dirigente e gli studenti più ricchi e/o delle zone economicamente più ricche del Paese.

Il Diritto allo studio è, infatti, il grande assente nella ‘buona scuola’. E il compito di definire e costruire la relazione educativa non vede più studenti e docenti come protagonisti. Domina il preside manager: il manager improbabile di un’istituzione comunque povera, costretto alla continua ricerca di sponsor privati per rimpinguare le magre casse di cui dispone. Per completare il disegno autoritario, mentre la partecipazione concreta ai processi decisionali di chi studia e lavora nella scuola è cancellata o relegata a una mera, umiliante “funzione consultiva”, il Governo chiede al Parlamento anche una delega in bianco per modificare gli organi collegiali.

Altro che Europa2020: il disegno governativo rappresenta un ritorno al passato.

SEL chiede al Parlamento un serio lavoro emendativo e con le tante iniziative, città per città, vuole collaborare con tutti i soggetti interessati – associazioni, sindacati, partiti – per ottenere una vera riforma. Dobbiamo avere il coraggio di cambiare davvero: eliminare gli sgravi incostituzionali per le scuole paritarie e il finanziamento privato diretto alla scuola statale; investire tutte le risorse pubbliche necessarie a sostegno del diritto allo studio, della professionalità dei docenti, dell’innovazione della didattica e della revisione dei cicli, per elevare la qualità di tutte le scuole in tutto il Paese.

Perché torni una speranza di futuro. #osatecambiare

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