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Venerdì, 28 novembre 2014

Silenzio, parla Agnesi

humanfac

Puristi, ideologici, impolverati, nostalgici: sostanzialmente ferri vecchi. Siamo così per la stampa e per tanti nella rete, noi della sinistra che chiamano sempre radicale. Siamo così e ben vengano tutte le occasione per scrivere sotto la foto di una piazza con le bandiere rosse che trattasi di ‘stanche coreografie identitarie e nostalgiche’, di riti autoconsolatori dei pensionati di una politica che non esiste più.

E guai, imparate a non mettere il naso fuori di casa perché può accadervi di peggio. Fuori di casa c’è il regno dei liberisti, del mercato globale, del marketing politico e quindi in sostanza dei renziani, dei berlusconiani e dei confindustriali. E’ il loro regno, è la loro stirpe che ha diretto questo grande capolavoro di follia che ha globalizzato il mercato senza globalizzare diritti e democrazia.

L’inglese, o meglio lo slang della lingua globale, l’unico prodotto della globalizzazione destinato ad essere popolare tra i tanti destinati solo a colpire il popolo, è cosa loro. La nuova lingua degli Erasmus, dei cittadini cosmopoliti, dei migranti in cerca di fortuna, in politica è un recinto proprietario.

I capitalisti nacquero recintando le terre comuni con le enclosures e confinando i contadini nella terra di nessuno dell’urbanizzazione forzata, nel degrado apocalittico delle prime città industriali. Oggi confinano la lingua, cacciando tutti gli altri dalla dimensione globale per confinarli nella desolata terra di nessuno dello spazio nazionale.

Loro parlano di ‘made in italy‘, di ‘marketing‘, di ‘digital divide‘, di ‘rockstar‘, di ‘farwest‘, di ‘jobact‘, di ‘netneutrality‘, di ‘start-up‘, di ‘climate change’, di ‘spending review‘ e riferendosi al Presidente del Consiglio lo chiamano ‘Premier‘. Loro fanno le cene con l’ammuffito Blair, ma a cena il Matteo Renzi del bing-bang serve la pizza parlando rigorosamente inglese: ‘figo’, loro si che hanno il futuro davanti! Padroni del mondo, perché padroni (seppur claudicanti come Renzi) prima di tutto della sua lingua.

Ai poveri, agli ultimi nella scala sociale, a quelli che non hanno una buona scuola perché non possono permettersela, lasciano la pizza senza inglese, l’appello accorato di Salvini a salvare il tostapane dai rapaci della green economy, la difesa della razza italica di Casa Pound, la melassa nazional-popolare della Barbara D’Urso.

Tra il regno del localismo e quello globale, per la sinistra non c’è alcuno spazio. C’è il limbo di un passato che aleggia sospeso sopra l’immaginario del presente. Quello si, ma nient’altro.

Come sia potuto accadere non so. Ma per la stampa italiana una sinistra che si affaccia sullo scenario globale non può esistere, è ridicola, è contraddittoria, sostanzialmente è impensabile. Perché altrimenti fu forzosamente affibbiato l’epiteto di no-global ai primi movimento globali, nati sull’onda del popolo di Seattle? Perché altrimenti evocare la sindrome Nimby, quella della difesa del cortile, di fronte ad ogni ambientalista impegnato a sciorinare i dati sul degrado ecologico dell’intero pianeta? E perché accusarci di copiare la Leopolda, noi che insieme alle Fabbriche di Nichi, per primi portammo il ‘BarCamp‘ nella politica italiana, sotto l’egida del nome del vulcano islandese Eyjafjöll?

E perché altrimenti rimproverarci oggi per Human Factor, un titolo in inglese dato ad un appuntamento di riflessione con ospiti internazionali?

Silenzio, parla Agnesi. E che importa se il pastificio di Imperia chiude i battenti, mentre altri stabilimenti sono stati aperti in Russia e in Romania. Che importa. Mangiatevi il vostro piatto di pasta a marchio italico e grano ogm, in silenzio, al posto che abbiamo riservato apposta per voi.

Sembrano dirci così, in coro, da destra e sinistra. E vien voglia di aggiornare il tanto caro adagio di Brecht: “ci sedemmo dalla parte del torto visto che non ci piaceva il posto che avevano riservato per noi.”

E dunque mi permetto di invitare Massimo Gramellini, che ci oggi ci rimprovera sulla sua rubrica quotidiana su La Stampa e che è un attento intellettuale della sinistra italiana, a Milano per Human Factor, a parlare la propria lingua, a dire ciò che ritiene giusto fuori da ogni recinto e ogni schema.

Perché al fondo, il fattore umano è anche l’imprevisto e l’inaspettato, che non sai mai se chiamare errore o forza creativa. L’incalcolabile che c’è nel dispiegarsi della libertà umana quando incontra la diversità.

Human Factor, Facteur humain, Factor Humano, anthró̱pinos parágontas, גורם אנושי, İnsan Faktörü, Faktori njerëzor, людський фактор, ľudský faktor.

Chiamiamolo in tutte le lingue del mondo, ma non dimentichiamoci che esiste.

Commenti

  • Sil Bi

    personalmente, non è tanto l’inglese che mi disturba, quanto il riferimento incomprensibile (forse non voluto, ma inevitabile) a X factor…

  • maxalive

    Brava Elisabetta! Che palle sti lamentoni! Andiamo al sodo,mi pare un’ottima iniziativa e le prima proposte che ho letto mi piacciono molto,come ad esempio quella sull’organizzazione

  • luca casarini

    Brava.E ci portiamo pure l’iphone che va a gettone e il giradischi con l’usb. Noi chr vogliamo cambiarlo qursto mondo lo conosciamo meglio di loro.

  • Lucio Barone

    Credo stiamo ricadendo negli stessi “errori” che videro la nascita di “L’altra Europa con Tsipras”, quando ci impelagammo in una stucchevole discussione sul nome da dare alla lista di sinistra. Allora, come oggi, se proprio vogliamo fare una questione sul nome, credo che SINISTRA vada più che bene.

  • Piero

    Grande Elisabetta.

  • Valerio Casanova

    Se vogliamo proprio parlarne, parliamone.
    L’articolo mi pare lucido, e molto molto condivisibile.
    Cade solo su un punto, e cioè la difese del nome Human Factor.
    Si capisce che il gioco con XFactor è voluto, come ha rimarcare la differenza: human e non x. Alla vostra società da talent show noi contrapponiamo il fattore umano. Ma a me pare che non funzioni, perché l’associazione con xfactor sarà sempre e inevitabilmente più immediata. Non è l’inglese il problema, è l’abbinamento inglese + società dello spettacolo. Lo dico qui perché ora se ne sta parlando, ma in effetti sono cose da poco, e dovremmo invitare tutti a badare al sodo.
    Però l’idea finale di chi ha scritto l’articolo mi pare una grande idea. Decliniamolo in tutte le lingue del mondo, potrebbe avere un effetto purificante, decontaminante, e magari pure un poco internazionalista.

  • Marco Mafio Maffeis

    Io ho interpretato, forse sbagliando, il nome human factor come una contrapposizione ad x factor.
    Da una parte un fattore indefinito ed indefinibile, dall’altra l’importanza del fattore umano, quindi della persona.
    Ripeto, si tratta di una mia interpretazione e magari è totalmente sbagliata…

  • Dario

    Sarò sincero: l’associazione ad X-Factor non mi era venuta proprio in mente. Anzi, pensavo a “industria” per gli uomini, dacché “factor” ricorda tanto “factory”! In ogni caso bell’articolo.

  • massimo gaspari

    in 2 ore di tentativi di reperire una app per scaricare musica gratis ho registrato blocchi del dispositivo, reindirizzamenti ad altri siti, sbarellamenti di pagine, rallentamento del cel. i fascisti americani c’han in mente che gli si paghino centesimi per poche minuti di fruizione culturale. ricordo che nel 97 in texas nascevano le dry town. oggi han chiuso le biblioteche. quando finiranno appesi in piazza? io ci sono

  • Valium

    – comuni che non si parlano fra di loro
    – ecologie, diritti, politiche e salute sacrificate nel nome del mercato
    – progetti campati in aria attuati solo per ricevere finanziamenti
    – burocrazia, enti inutili, soluzioni peggiori dei mali
    – vecchia politica del tipo:”Lei per chi ha votato? Se ha votato altri allora non si lamenti!”
    – personalismi di partito
    Questi sono i problemi che affliggono l’Italia, spero che a Human Factor se ne parli! Non è possibile sacrificare tutto in nome del progresso, dell’Europa o della finanza, ma bisogna invece preservare i valori che ci sono stati insegnati per avanzare e superare questa crisi, che non è solo del lavoro, ma di tutto un sistema che sta cadendo a pezzi.

  • Guido Conti

    Non facciamoci prendere dallo sconforto….Abbiamo ragione da vendere e conoscenza da prestare….Io non ho la possibilità di andare in tv ma consiglierei a chi ci va di lasciar perder il bon ton e “aggredire” gli scarsissimi interlocutori del potere per il potere confrontandoli sul personale è politico…..li vedremmo arrossire e sbofonchiare….Se gli facciamo saltare il disco imparato a memoria spiazzandoli sulla realtà e sulle loro indubbie irresponsabilità non passeremo per violenti o per grillini perché noi se siamo antiliberisti possiamo dire oltre che di non aver mai governato l’Italia anche di non aver avuto il credito dagli elettori perché l’ignoranza è uno dei tumori maligni di questo paese…..Avanti verso Milano!!!

  • Anna Maria Di Miscio

    restiamo umani