Solo uno come Renzi può affermare che le elezioni amministrative sono un fatto locale
Matteo Renzi non ha fatto altro che ripetere in queste settimane che le amministrative sono solo amministrative, e il loro esito non comporta un giudizio sul governo nazionale. Ma le cose non stanno proprio così. Al contrario di quanto afferma il capo del Governo, la territorialità metropolitana e urbana mette oggi in forte evidenza problemi e contraddizioni di dimensione nazionale e oltre. E chiama in causa l’Europa. Direttamente.
Di questo ha parlato nei giorni scorsi anche il Sole 24 Ore, in un articolo firmato da Lina Palmerini, in cui analizza l’asimmetria del potere dei sindaci, che, secondo la legge in vigore, vengono scelti direttamente dai cittadini ma risultano nei fatti dotati di un limitato raggio d’azione per quanto riguarda le disponibilità finanziarie e la libertà di iniziativa. Cioè tutto ciò da cui dipende il bene della convivenza civile e il benessere delle persone.
Il perché di questa asimmetria è evidente: nei comuni si scaricano gli effetti del rigore europeo, a cui sono ispirate le leggi Finanziarie, e i sindaci sono condannati a un potere più nominale che sostanziale perché le regole di bilancio hanno costretto tutti, anche i comuni “virtuosi”, alla paralisi.
Per questo l’effetto delle politiche neoliberiste e della finanziarizzazione globale è sui territori che si tocca con mano e si può misurare a partire dalla vita delle persone, che sempre più, nella frattura anticostituzionale che si è prodotta tra l’alto e il basso della società, sono travolte dal declino del welfare, dalla mancanza di lavoro, dal venir meno di quelle prospettive di benessere diffuso, su cui una volta si poteva scommettere. L’incuria degli spazi urbani fa il resto mentre il blocco del futuro per le giovani generazioni ruba le speranze e immobilizza la forza della società.
E’ qui – negli slabbrati spazi urbani, soprattutto delle periferie – che allignano le tensioni spesso esplosive della contemporaneità e si accumulano contraddizioni ormai storiche e strutturali, a cui la politica non è più in grado di fornire risposte. E’ strutturale la frustrazione che corrode l’habitus mentale dei cittadini, donne e uomini, di fronte alla crescente impossibilità di contare, di proteggersi dai processi di impoverimento, dall’incertezza del domani, dall’insicurezza. E’ strutturale la diseguaglianza tra i pochi che hanno tutto e i molti che hanno sempre meno. O niente, come gli ultimi dati Istat raccontano.
E’ strutturale la svalorizzazione del lavoro e la mancanza di reddito sicuro per gran parte dei giovani e un numero crescente di anziani. Ed è strutturale l’afflusso negli spazi urbani di migranti, profughi, fuggiaschi, in un mondo globale che cambia per guerre, politiche predatorie, disastri ambientali, fame. E che la politica – europea in particolare – non sa o non vuole assumere come problema ineludibile dell’oggi. E crea soltanto i vuoti dell’indifferenza o i muri dell’odio.
Per capire davvero la portata di tutto questo, non basta la descrizione dei guasti né basta l’”empatica” e “solidale” narrazione in cui spesso si esercita la sinistra che sopravvive. Non basta sottolineare la disaggregazione dei gruppi sociali di antica memoria, le periferie una volta rosse e ora catturate da forze nuove della politica, soprattutto quelle che non hanno paura di usare il lessico e il veleno del politally incorrect o della demagogia vera e propria o della xenofobia e del razzismo. Non basta – anzi è letale – dire che prevalgono i populismi. Renzi non è forse un populista? Che cosa intendiamo per populismo?
L’allarme per il populismi è il bau bu e l’alibi della frantumaglia dei vecchi partiti novecenteschi e dei loro succedanei. Ma se i partiti godono di un indice di gradimento vicino allo zero, questo vuol dire che l’intermediazione “ virtuosa”, che in altri tempi i partiti seppero svolgere, è saltata, che concretamente essi non sono più da nessuna parte se non nei palazzi, e nei commerci, che loro stessi organizzano sui territori, per arrivare ai palazzi. E nel vuoto si insinuano le nuove voci della politica. Voci che la crisi del vecchio sistema della politica ha reso possibile. Punto e a capo.
E’ da qui che deve riprendere il filo il discorso su dove siamo, dove si va, e come si va. Oppure niente riparte.
Il capitalismo finanziario, scrive Franco “ Bifo” Berardi, è la fabbrica dell’infelicità, è un buco nero che inghiotte i beni comuni, il prodotto del lavoro, e soprattutto inghiotte la gioia, la speranza, e la possibilità stessa di vivere la vita.
Ed è negli spazi urbani che tocchiamo con mano il disastro del disagio e dell’infelicità umana. Ma scopriamo anche la forza vitale dei tanti e tante che non si arrendono e producono il grande sommerso politico del bene in comune, dell’agire per qualcosa che sentiamo riguarda tutti e apre nuovi orizzonti. Ed è da qui che occorre trovare parole, pratiche, immagini e altro ancora non solo per una buona politica dell’amministrare, ma per una politica del cambiare le cose che sia “altra” e davvero cambi le cose, quelle che impediscono alla buona politica, anche quando c’è, di portare un po’ di benessere e felicità dove non c’è.
Solo uno come Renzi può affermare che le elezioni amministrative sono un fatto locale. Certo sono una fatto locale che però dà rappresentazione all’intro Paese e specchio della vicenda nazionale, e della storia degli ultimi vent’anni