Spese militari e F35: una partita a tutto campo per Renzi
Il redde rationem delle spese militari rimane ancora un punto lontano. Oggi però è più facile che se ne discuta liberamente, a cominciare dal Parlamento, a cui competerebbe la responsabilità di decidere come destinare le risorse pubbliche e non ha invece voce in capitolo. E’ già un passo avanti, bisogna dire, ma ci voleva la crisi che non finisce e che sta prostrando il nostro Paese. Proprio sul Parlamento, nel luglio di un anno fa, piovve il monito del Presidente Napolitano – “Il Parlamento non metta veti” – poiché si era osato sostenere, in quella sede, che le decisioni relative al pacchetto degli F35 potevano essere in parte congelate. Era infatti conveniente, si disse anche dai banchi del Pd, avviare i lavori di un’indagine conoscitiva sulle spese militari, visto che per il Parlamento si trattava di una materia ostica e sconosciuta. Meglio dunque che fosse messo nelle condizione di sapere.
Napolitano, in quell’occasione, come in questi giorni, in cui fervono le ipotesi sui tagli che i vari ministeri devono approntare, aveva convocato il Consiglio supremo di Difesa e aveva con baldanza presidenziale manifestato il suo fino ad oggi inossidabile punto di vista sugli armamenti e sulle spese militari. Non si toccano, ne va del prestigio della Nazione. Questa volta, dopo il Consiglio supremo di Difesa di ieri (19 marzo), non si sono sentite dichiarazioni significative ma le spese militari sono sempre, per Napolitano, un vero e proprio indiscutibile tabù, che nasce da richiami di varia natura: il ruolo delle Forze armate nel mondo, il peso dell’industria militare italiana, le convenienze politiche e tutto quello che c’è stato in questi anni relativo all’ideologia delle missioni militari e altro ancora.
Convinzioni condivise e implementate da tutti i responsabili della Difesa che via via si sono succeduti, compresa l’attuale ministra del Pd Roberta Pinotti. La ministra infatti, in più occasioni, comprese le audizioni delle competenti commissioni parlamentari di questi giorni, ha già manifestato un’estrema cautela se non una dichiarata ostilità all’ipotesi di tagli agli armamenti. Lo stesso atteggiamento lo ha adottato nelle chiacchiere tra il trendy e il politichese con Irene Bignardi, alle Invasioni barbariche, di cui è stata ospite. Con Bignardi, che le chiedeva conto del perché ci servano cacciabombardieri di quel tipo, la ministra ha anche avanzato strampalate ipotesi di possibile utilizzo degli F35 per la difesa del Paese contro oscuri pericoli.
Ma bisogna razionalizzare le spese, si dice ormai dai banchi del Pd e insiste il nuovo premier Matteo Renzi, che essendo un tipico prodotto politico della post modernità e dunque per definizione a-ideologico, ha solo l’interesse di portare a casa tutto il possibile, senza farsi coinvolgere in discussioni di principio e calcolando soprattutto che cosa meglio convenga ottenere, sui vari tavoli, per la sua personale strategia di potere. Compreso il tavolo degli interessi dell’industria militare, non di poco conto in Italia, che forse avrà anche per lui qualche peso, quando, come capo del governo, dovrà prendere le decisioni finali.
Intanto il gruppo del Pd in commissione Difesa della Camera, avvalendosi dei risultati dell’indagine conoscitiva sulle spese militari che la stessa commissione ha concluso nel dicembre scorso, ha messo a punto e fatto circolare proprio in questi giorni – certo non a caso – un documento che ruota intorno al concetto che sia ormai ineludibile procedere a una complessiva razionalizzazione delle spese relative al comparto. L’obiettivo indicato, sulle scia delle raccomandazioni del nuovo premier, è di rendere “sostenibile gli investimenti nel settore dei sistemi d’arma con le esigenze di finanza pubblica”. Nel mirino (tutto da verificare se si tratti di un mirino) c’è in primis appunto il programma di acquisto dei cacciabombardieri americani F-35: da sospendere e ridurre.
Ma c’è anche il programma ‘Forza Nec, costo oltre 20 miliardi di euro di cui si chiede la sospensione. E poi ci sono anche le due portaerei della Marina militare: troppe, una delle due, probabilmente la Garibaldi, deve essere venduta e già ci sono richieste da parte degli Emirati. Inoltre vien avanzata l’ipotesi di creare “un organismo di controllo sulla qualità degli investimenti” perché al momento in Italia le spese le decidono i “singoli stati maggiori” senza coordinamento e spesso “in concorrenza” tra loro. Razionalizzare per risparmiare ma anche operare dei tagli: più o meno questi i punti salienti del documento elaborato dal gruppo Pd, al termine di 16 audizioni con di 26 personalità tra cui esponenti di Finmeccanica, Fincantieri, l’ambasciatore italiano alla Nato, l’Archivio disarmo e vari centri studi.
Strabiliante, davvero strabiliante, per quanti e quante in questi ultimi quindici e oltre anni hanno messo l’accento sulla crescita spropositate e incongrua delle spese militari e, in particolare, contrastato l’acquisto del programma F35. Anche strabiliante è la parte riguardate il giudizio sui cacciabombardieri in questione. Cose risapute, più volte sollevate dalle opposizioni pacifiste e democratiche nelle aule parlamentari e nel Paese, vengono messe in campo come se si trattasse di uno straordinario incipit conoscitivo. Vengono ricordate le molteplici riserve tecniche e operative, che fonti governative statunitensi sovente evidenziano: il Pentagono reiteratamente e con giudizi negativi, va detto per chiarezza, più che con riserve.
Inoltre si sottolinea che lo schema di accordo non garantisce, dal punto di vista della qualità e del valore, ritorni industriali significativi, “non risultando contrattualmente garantita per le piccole e medie imprese nazionali l’acquisizione di commesse o sub commesse”. E, ancora, a fronte degli investimenti impegnati per realizzare lo stabilimento di Cameri “non risulta contrattualmente definito un prezzo per l’assemblaggio delle semiali che garantisca l’ammortamento del capitale investito e un ragionevole ritorno, mentre l’occupazione che si genererà a Cameri non può considerarsi aggiuntiva rispetto a quella attualmente già impiegata nel settore aeronautico ma, solo parzialmente sostitutiva”. Tema che i sindacati di settore hanno sollevato a più riprese negli anni, sempre vanamente.
Infine si spiega che le stime del costo del programma risultano caratterizzate da un indice di variabilità che non può convivere con le esigenze della nostra finanza pubblica mentre l’embargo sull’accesso ai dati sulla cosiddetta “tecnologia sensibile” – anche questo un dato iper sensibile, più volte sollevato dalle opposizioni – determina un fattore di dipendenza operativa da istanze politico-industriali statunitensi che risulta, al momento, non superabile.
Insomma un insieme di punti critici, opzioni, suggerimenti che potrebbero aprire una pagina positiva sul capitolo delle spese militari. Suggerire intanto, come prima cosa, chiudere del tutto la partita degli F35, andare proprio oltre nel dibattito su armi e armamenti. Ma, al momento, siamo soltanto, col documento del Pd, a una serie di osservazioni indifferenziati e all’idea di ridimensionamento non meglio quantificato. E la ministra Roberta Pinotti, espressione del Pd, tende a rendere tutto più complesso e complicato prendendo le cose molto da lontano, dichiarando la necessità che tutte le decisioni e tutte le questioni siano inserite e valutate nelle riscrittura di un nuovo Libro Bianco – l’attuale, spiega Pinotti, ha quasi tre lustri e appartiene a un altro mondo – che dovrà ridisegnare il significato della missione militare nel “sistema Paese” , inquadrando anche gli investimenti indirizzati a scenari operativi. Intanto la ministra annuncia una moratoria sospendendo la tranche di pagamento allaLockheed Martin. Insomma, uno slittamento in avanti sine die.
Velocismo del nuovo premier e trame labirintiche della politica politicienne, quella che non avrebbe nulla da ridire sui pesanti tagli alle spese sociali, che la spending reveiw del nuovo governo non esclude affatto anzi ipotizza, e nulla invece vuole concedere a una seria rimessa in discussione delle spese militari: una partita a tutto campo per Matteo Renzi. Da tanti punti di vista.
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francesco