Stupro di Firenze. Non smettiamo di parlare di quella sentenza perché giudica tutte le donne
La sentenza della Corte d’appello di Firenze, sullo stupro di gruppo avvenuto ai danni di una ragazza di 22 anni nel luglio del 2008, è una roba da manuale del pregiudizio tutt’altro che latente, che ancora avvolge parte della società italiana, ma soprattutto parte delle sue istituzioni, quelle chiamate a controllare, giudicare, orientare con le loro sentenze un’opinione pubblica che, fortunatamente, dimostra di avere gli anticorpi per non accettarlo acriticamente.
E così per le strade di Firenze oltre 1000 persone, uomini e donne, sono scese in piazza al grido di “la libertà è la nostra Fortezza”, la libertà, quella di tutti, ma soprattutto quella delle donne, che ancora nel 2015 devono giustificare i loro comportamenti privati, essere redarguite per il loro modo di vestire o di essere, o peggio ancora essere giudicate, prima di tutti, con gli occhi di una morale che le vuole vittime, sole, chiuse in casa, omologate.
Le parole di quella sentenza sono lame sui nostri corpi, lo dobbiamo dire, non dobbiamo smettere di dirlo e dobbiamo far sì che molti e molte di più si assumano la responsabilità di giudicare assurda (com’è) questa sentenza. Lo faccia il Papa, lo faccia il premier, lo facciano i quasi totalmente uomini leader e capi di qualcosa, partito o movimento che sia, lo faccia tutto il mondo che conta qualcosa. Perché non si tratta di un caso ma si tratta di un’epoca, si tratta di decidere di uscire dal Medioevo che nel nostro più che in altri paesi della vecchia Europa tarda ad andar via.
“È stato scritto che ho una condotta sregolata, una vita non lineare, una sessualità confusa, che sono un soggetto provocatorio, esibizionista, eccessivo, borderline”. Tutto questo ai danni di una ragazza che rimarrà per sempre segnata da una violenza subita sette anni fa, che ancora sente addosso, che non la farà mai tornare ad essere la stessa. Tutto questo per giustificare, per far passare un terribile atto di quel macismo che si nutre del gruppo, del branco, come fosse una qualunque goliardata, non edificante vero ma neppure grave come invece appare ai nostri occhi.
Agli occhi di chi si sente offesa da quella sentenza, agli occhi di chi vuole gridare che no, non c’è nessuna scusa per la violenza, che non esistono shorts troppo corti, partner troppo numerosi, idee politiche troppo progressiste. Non esistono. E non deve esistere più chi diffonde a mezzo sentenza come a mezzo racconto, a mezzo opinione, l’idea che ci sia qualcosa di lieve, di infantile, da rito di passaggio quasi in quello stupro come in qualsiasi atto di violenza. Perché fa ancora più male pensare che se non ci ribelliamo ora e subito, che se non ci indigniamo, che se non urliamo tutta la nostra rabbia possa succedere ancora, che qualcuno guardi, che qualcuno sappia, che qualcuno faccia senza essere scalfito dalla più vera deprecazione di tutti noi. Farli sentire schifosi, farli sentire avulsi dalla storia, farli sentire reietti della nostra società è la nostra arma contro i pregiudizi, l’arroganza, la cecità delle sentenze e il rischio del contagio tra i nostri ragazzi.
L’antidoto a tutto questo sono le nostre parole, i nostri gesti, i nostri desideri esposti e le nostre libertà rivelate. Come dice “la ragazza della Fortezza dal Basso” l’antidoto per lei “è la voglia di non farmi intimidire, di non perdere la fiducia in me stessa e di riacquistarla nel genere umano, facendo volontariato, assistendo gli ultimi, i disabili, le persone con disturbi psichici (perché sì, anche quando si é sofferto di depressione e forse soprattutto per questo, si è capaci di essere d’empatia e d’aiuto)”.
Facciamolo con lei, non smettiamo.
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Minarchist1983
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Sontaran
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