Telemaco alla prova del Semestre italiano
L’osservazione letterariamente più pungente, al discorso che Renzi ha pronunciato a Strasburgo, l’ha fatta sulla Stampa Massimo Gramellini, a proposito del Telemaco di cui ha parlato il premier. Riecheggiando Massimo Recalcati, che ne ha fatto materia di riflessione psicoanalitica in un suo libro recente (Il complesso di Telemaco), il premier ha infatti portato nella fredda aula dell’Europarlamento la figura di Telemaco, personaggio chiave dell’Odissea. Telemaco è il figlio di Ulisse, che per vent’anni custodisce la memoria del padre ramingo e cerca di meritarsi la sua eredità, aiutandolo a sconfiggere i Proci, principi usurpatori del regno di Itaca. Così si ristabilisce il potere del padre. Già su questo ci sarebbe da discutere, trattandosi del premier che della rottamazione dei padri ha fatto il suo motivo dominante.
Telemaco, per Renzi, dovrebbe rappresentare l’idea di un’altra Europa – quella che recupera “l’anima persa” cioè la memoria dei padri – fungendo da richiamo alle nuove generazioni del continente. Ma, nota Gramellini, i Proci, Renzi li ha proprio davanti a sé, in quell’Assemblea di Strasburgo, perché i Proci, cioè i nemici di Ulisse, stando alla metafora, oggi non sono più gli usurpatori di Itaca ma i burocrati di Strasburgo, i ragionieri di Berlino, gli eurofobici alla Farage e alla Le Pen. Non a caso il discorso del premier italiano, nella parte relativa alla necessità di una maggiore flessibilità, ha suscitato l’immediata reazione negativa in aula del capogruppo dei popolari Manfred Weber, occhiuto mandarino dell’ortodossia neoliberista.
I debiti non creano futuro, lo distruggono e il 130% del debito pubblico obbliga l’Italia a pensare soprattutto a rimettere a posto i suoi conti: questo è stato il messaggio, che non è venuto soltanto dall’esponente del Ppe ma ormai riecheggia come un’eco di battaglia negli ambienti di Bruxelles e adiacenze. E’ infatti avviato un gioco di postazioni tra chi non vuole mettere in discussione niente e chi si trova troppo nei guai economico-sociali e finanziari per accontentarsi del niente. Mark Rutte, primo ministro olandese, schierato con i falchi di Berlino, ha già fatto dichiarazione di fedeltà alla linea seguita fino ad oggi dall’Olanda e da tutto l’Ue nordico, che ha come focus indiscutibile la guida della Cancelliera tedesca. Perché le divergenze sulle questioni economico-sociali e sul resto oggi travalicano le parti politiche – le larghe intese europee dicono questo – e passano invece per linee geografiche. Nord e Sud. L’Italia ma anche la Francia, oltre al resto dei Paesi mediterranei, sono tra i Paesi che stanno seriamente nei guai e chiedono interpretazioni più flessibili delle rigidità. Bisognerebbe seriamente, strategicamente ripartire da qui, dagli interessi comuni di questi Paesi, per modificare la dialettica politica in Europa. Non per chiedere soltanto un’interpretazione più flessibile della flessibilità ma per scrivere l’agenda del cambiamento, mettendo subito sul tappeto quelle modifiche sostanziali di cui c’è bisogno oggi per tenere insieme l’Unione, perché senza quelle modifiche l’Europa non ha futuro. La coincidenza tra l’interesse dei Paesi più nei guai e l’Europa: o si parte da qui o ci si ferma in stato comatoso
Grande retorica e esile profilo programmatico, con in più molta baldanza fiorentina nel controbattere, spesso in salsa di orgoglio nazionale, a ogni critica, con sottolineature degli altrui debiti e deficit (la Germanica che nel 2003 sforò e fu aiutata è ormai il motivo dominante della polemica Renzi): queste sono state in sintesi le caratteristiche del discorso con cui il premier ha dato il via al semestre italiano. Cioè poca roba.
Renzi è stato come sempre straordinario nella capacità di parlare con l’intento di stupire, accattivarsi l’opinione pubblica, disegnare prospettive future, come sempre per altro nebulose. Se d’altra parte non si affrontano i nodi strutturali in termini di proposte concrete, non se ne esce e la fuffa delle chiacchiere ha sempre il sopravvento. Renzi fa la sua parte di comunicatore con dovizia di allusioni, battute, sottolineature, scomodando nomi illustri della storia e della letteratura.
Alla fine però l’impressione, soprattutto tenendo conto che il suo discorso è stato fatto in un luogo così pesantemente segnato dalla logica tecnocratica della governance europea, quindi senza possibilità di reale appeal comunicativo, è che l’inquilino di Palazzo Chigi continui a tenere l’occhio fisso soprattutto sugli umori della parte italiana che guarda a lui, che ha bisogno di un mix rassicurante e anche di qualche richiamo in salsa nazionale. E la sfida europea è per il momento ridotta a controbattute alle battute degli ortodossi, con in più quell’allusione ai segreti punti di accordo che Renzi avrebbe con Angela Merkel, che risolverebbero tutto ma di cui poco o nulla si sa. Insomma una recita a soggetto, che è la sua caratteristica. L’intento di “creare un’atmosfera”, come diceva un vecchio spot dell’antico Carosello della pubblicità. Che è il suo gioco illusionistico.
Renzi, realisticamente, perché è un realista un po’ cinico, già mette in conto che i frutti del semestre saranno avarissimi e la strada europea continuerà a essere impervia. Soprattutto sa che la sua azione resterà entro le linee delle compatibilità stabilite. Perché glielo chiede chi conta, a cominciare dal Presidente della Repubblica. Questo – che vuole restare nell’ambito delle linee stabilite – Renzi lo ripete continuamente e sa che questa impostazione non potrà produrre neanche un piccolo avanzamento sul terreno della ridiscussione di fondo delle regole e dei vincoli. Il suo discorso al Parlamento Europeo ne è stata una chiara dimostrazione; la partecipazione, poche ore dopo, alla trasmissione di Bruno Vespa, ha rimesso ancora in scena lo stesso cliché. Noi, dice Renzi, non abbiamo paura dei giudizi europei, ci stiamo mettendo a posto con le riforme, abbiamo un crono programma, siamo seri. Rispettiamo regole e vincoli ma non possiamo accettare i pregiudizi.
Ma gli impegni del premier per il semestre italiano –la “ciccia” per dirla chiaramente – restano vaghi e indefiniti, non sono programmaticamente in grado di cambiare nemmeno in parte l’insieme dei dispositivi che impediscono la ripresa economica, il rilancio dell’occupazione, un po’ di respiro per chi è stato disastrato dalla crisi, imprese, lavoratori, famiglie, come dicono tutti. E i giovani, ragazze e ragazzi, il disastro di questa epoca. Mai come oggi le chiacchiere stanno a zero e la “ciccia” è la materia ideale per ridare fiato e appeal all’Europa.
E’ ancora possibile, nell’epoca dell’ evaporazione del padre – questa la riflessione di Recalcati – un’eredità autenticamente generativa. Telemaco ci indica la nuova direzione verso cui guardare, perché “Telemaco non è il figlio narciso ma è la figura del giusto erede”. Un insieme di messaggi da decifrare insomma. In chiave psicoanalitica il mito di Telemaco e l’interpretazione in chiave di “giusto erede”, al di là del merito, offre, con tutta evidenza, materia di discussione sulla crisi dell’ordine patriarcale, ma vien da chiedersi appunto come mai Renzi, il rottamatore, si metta nelle vesti del “giusto erede”, cioè di colui che fa di tutto per restituire il regno al padre, restando in secondo piano, al punto che l’Odissea si conclude senza dirci quale sarà il suo futuro. Sarà re, dopo Ulisse? Non è detto perché la legge dinastica non stabiliva questo. Inoltre, in chiave più politica, il mito omerico ci racconta che, per essere “giusto erede”, Telemaco deve battere i perfidi Proci. Il che richiama alla Presidenza italiana e alla Troika. Qui si parrà tua nobilitate, direbbe il grande fiorentino. Vedremo.
Il miglior utilizzo della flessibilità, secondo le faticose intese raggiunte nel Consiglio Europeo del 26 e 27 giugno: siamo per il momento concretamente solo a questo punto. Oltre che a Telemaco. E come segnala il Sole 24 ore, che della materia ha competenza, la cosa è tutt’altro che scontata.
Per questo il Semestre italiano merita davvero il massimo dell’attenzione politica.
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