Terzo settore, la riforma arriva in aula. Sel: C’è il rischio di snaturarlo e di spingerlo ad abbandonare la sua vocazione partecipativa
Iniziata la discussione generale al disegno di legge. Schieramenti definiti: il Partito democratico conduce la battaglia per l’approvazione, voci di dissenso chiare si levano da Sel, Movimento Cinque Stelle e Lega Nord. Sono passati oltre dodici mesi dalla pubblicazione delle Linee guida con le quali il governo Renzi apriva la partita di una riforma del terzo settore, lanciando una consultazione pubblica e un dibattito che dopo il lavoro della Commissione Affari sociali sfocia finalmente nell’aula di Montecitorio. Ed è finalmente iniziata la discussione generale sul testo del disegno di legge delega approvato in Commissione: un relatore di maggioranza, ben tre relazioni di minoranza, una ventina di interventi compreso il governo (presente il sottosegretario Bobba). Il panorama politico è piuttosto chiaro: la riforma è stata fondamentalmente scritta ed è difesa e appoggiata dal Partito Democratico. Sul fronte opposto, l’opposizione al provvedimento è incarnato dal Movimento Cinque Stelle, da Sinistra Ecologia Libertà e dalla Lega Nord. Piu’ sfumata la posizione di Forza Italia, mentre l’area centrista – dal Ncd a Scelta Civica – mostra di condividere a grandi linee il tema della riforma.
Marisa Nicchi, relatrice di minoranza per Sel. ammette che l’intento di riformare e riordinare la normativa è sicuramente lodevole e condivisibile ma che i punti sull’impresa sociale sono molto gravi. «L’impresa sociale deve caratterizzarsi per l’assenza di carattere lucrativo, la non ripartizione degli utili è la più importante discriminazione tra profit e no profit». Secondo Sel con la riforma «si apre un varco verso un possibile modello americano di no profit: non è detto che questo avvenga, ma c’è la possibilità, si sono create le condizioni per creare un welfare sostitutivo del settore pubblico alimentato da agevolazioni fiscali e da donazioni dei privati». Lo scenario è quello di «una gamba privata ricca per i più abbienti e una pubblica, residuale e compassionevole».
«L’aspetto più grave di questa riforma è proprio questo, cioè lo schiacciamento dell’esperienza partecipativa e sociale del terzo settore nella dimensione imprenditoriale e privatistica dei cosiddetti «mercati sociali», magari assistiti dal sistema politico». Da Sel arriva dunque una posizione netta: «Con questa riforma c’è il rischio di snaturare il terzo settore nel businesse di spingerlo ad abbandonare la sua vocazione partecipativa e di perdere, quindi, la sua articolazione sociale».