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Lunedì, 27 luglio 2015

TTIP, Il nostro futuro Greco

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Per uno para­dosso o una signi­fi­ca­tiva coin­ci­denza lo stesso giorno nel quale pro­ces­sava Ale­xis Tsi­pras, il par­la­mento euro­peo avrebbe votato il rap­porto Lange sul Tran­sa­tlan­tic Trade and Invest­ment Part­ner­ship (T-tip). Raf­fi­gu­ra­zioni pla­sti­che ed evi­denti di come il pro­getto euro­peo di spa­zio di cit­ta­di­nanza comune abbia ceduto il passo a quello eli­ta­rio dell’austerity, e dell’ordoliberismo a tutti i costi, ed agli inte­ressi delle imprese e dei mer­cati anche a costo della
soprav­vi­venza di uomini e donne in carne ed ossa.

Il tema cen­trale del rap­porto Lange riguar­dava la cosid­detta «Inve­stor to State Dispute Set­tle­ment» (Isds). La sua
appro­va­zione è stata giu­sta­mente con­dan­nata dagli atti­vi­sti delle cam­pa­gne inter­na­zio­nali con­tro il T-tip essendo
poten­zial­mente lesiva dei diritti umani, dell’ambiente e del lavoro: è infatti un mec­ca­ni­smo che — sep­pur nelle cor­re­zioni addotte come com­pro­messo al ribasso dal gruppo socia­li­sta — subor­dina tut­tora il «cor­pus» dei diritti umani alla
pre­va­lenza degli inte­ressi delle imprese e del mer­cato. Insomma con quella norma si crea uno stato di ecce­zione che può essere di volta in volta invo­cato dalle imprese per far valere i pro­pri diritti rispetto a nor­ma­tive rite­nute pre­giu­di­zie­voli. Una pro­gres­siva ero­sione della sovra­nità e del diritto all’autodeterminazione.

A parte la casua­lità det­tata dall’agenda e dagli eventi, esi­ste un filo rosso che lega il dibat­tito mat­tu­tino a quello
pome­ri­diano, ed è quello dei diritti umani. A suo tempo il rela­tore spe­ciale dell’Onu sulla pro­mo­zione di un ordine
inter­na­zio­nale equo e demo­cra­tico, Alfred de Zayas puntò il dito con­tro la segre­tezza ed anti­de­mo­cra­ti­cità con la quale viene nego­ziato il Ttip e con­tro la clau­sola Isds.

Ai primi di giu­gno De Zayas assieme ad altri rela­tori spe­ciali dell’Alto Com­mis­sa­rio Onu sui Diritti umani aveva
pub­bli­cato un appello pub­blico nel quale si denun­ciava di nuovo la man­canza di tra­spa­renza dei nego­ziati, e l’impatto «nega­tivo che que­sti trat­tati potranno avere sul godi­mento dei diritti umani, defi­niti in accordi inter­na­zio­nali vin­co­lanti, che siano diritti civili, cul­tu­rali, eco­no­mici, poli­tici o sociali, quali il diritto alla vita, al cibo, all’acqua, alla salute, alla casa, alla cul­tura, i diritti dei lavo­ra­tori». La clau­sola Isds inol­tre è con­si­de­rata «ano­mala» nel senso di assi­cu­rare
pro­te­zione agli inve­sti­tori ma non agli stati ed alle popo­la­zioni, «per­met­tendo agli inve­sti­tori di por­tare in giu­di­zio gli stati e non vice­versa» . I rela­tori spe­ciali inol­tre denun­ciano i rischi deri­vanti dai trat­tati inter­na­zio­nali sugli inve­sti­menti rispetto alla capa­cità dei paesi inde­bi­tati di poter rine­go­ziare il pro­prio debito estero.

Non a caso tra i fir­ma­tari figura anche Juan Boho­sla­v­sky, esperto indi­pen­dente delle Nazioni unite sugli effetti del debito estero sui diritti umani, in par­ti­co­lare i diritti eco­no­mici, sociali e culturali.

Boho­sla­v­sky, che ha svolto mis­sioni in Gre­cia ed in Islanda, sta lavo­rando ad una serie di dos­sier impor­tanti sul debito estero, seguendo le tracce del suo pre­de­ces­sore che stilò le linee guida sul debito estero ed i diritti umani appro­vate a suo tempo dal Con­si­glio Onu sui diritti umani, con l’astensione dell’Italia. A quel tempo c’era il governo Monti. Tra

le rac­co­man­da­zioni quella di rico­no­scere il diritto al default ed alla rine­go­zia­zione del debito da parte dei governi,
qua­lora il paga­mento del debito com­por­tasse la vio­la­zione dei diritti umani fon­da­men­tali dei pro­pri cit­ta­dini e cittadine.

Né più e né meno di ciò che chiede la Com­mis­sione di Audit del debito pro­mossa dal par­la­mento greco nel suo rap­porto pre­li­mi­nare pub­bli­cato di recente. Ora Boho­sla­v­sky, sulla scorta del caso legale che sta con­trap­po­nendo l’Argentina ed un fondo avvol­toio di pro­prietà di un tale Paul Sin­ger — primo finan­zia­tore dei repub­bli­cani Usa e che già par­te­cipò a pro­cessi di ristrut­tu­ra­zione del debito greco — sta ela­bo­rando una pro­po­sta di pro­ce­dura indi­pen­dente di arbi­trato sul debito che per­metta a cre­di­tori e debi­tori di sedere al tavolo nego­ziale a pari diritto. E che con­senta appunto di
capo­vol­gere la pira­mide met­tendo al cen­tro i diritti rispetto agli impe­ra­tivi della finanza.

Nel loro appello sul T-tip i rela­tori spe­ciali si rife­ri­scono poi alle norme Onu sulle imprese ed i diritti umani secondo le quali gli Stati hanno l’obbligo di assi­cu­rare il rispetto dei diritti dei pro­pri cit­ta­dini. Dà da pen­sare che pro­prio nella stessa sede delle Nazioni unite a Gine­vra di lì a poco si sarebbe discussa la pro­po­sta avan­zata dall’Ecuador e da altri stati per un accordo vin­co­lante per le imprese trans­na­zio­nali ed i diritti umani.

Que­sta tappa del nego­ziato ha por­tato ad un impor­tante passo in avanti verso un regime vin­co­lante di
respon­sa­bi­liz­zazione delle imprese mul­ti­na­zio­nali, invo­cato anche da doz­zine di movi­menti sociali di tutto il mondo attra­verso l’elaborazione e la pro­po­sta di un trat­tato dei popoli sulle imprese mul­ti­na­zio­nali ed i diritti.

Ebbene, pro­prio men­tre la Com­mis­sione si sta ado­pe­rando per addol­cire la pil­lola amara dell’Isds, dall’altra decide di diser­tare quel con­sesso. Dopo aver ten­tato invano di con­te­stare l’oggetto del nego­ziato, addu­cendo il pre­te­sto — sep­pur legit­timo — che tale trat­tato dovesse essere vin­co­lante per tutte le imprese non solo quelle mul­ti­na­zio­nali, a fronte della resi­stenza di alcuni paesi, il rap­pre­sen­tante Ue decise di abban­do­nare la seduta. Diser­tare la discus­sione sui diritti umani e sugli obbli­ghi delle imprese va di pari passo con la deter­mi­na­zione con la quale la stessa Com­mis­sione spinge sull’acceleratore del nego­ziato T-tip, e con la quale impone alla Gre­cia misure dra­co­niane che rischiano di aggra­vare ulte­rior­mente la situa­zione dei diritti del popolo greco.

Un segnale ulte­riore della crisi dell’Europa che si com­pie lungo le sue fron­tiere, da quella atlan­tica, a quella del suo Sud, dal Medi­ter­ra­neo, all’Ucraina.

 

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