TTIP, Il nostro futuro Greco
Per uno paradosso o una significativa coincidenza lo stesso giorno nel quale processava Alexis Tsipras, il parlamento europeo avrebbe votato il rapporto Lange sul Transatlantic Trade and Investment Partnership (T-tip). Raffigurazioni plastiche ed evidenti di come il progetto europeo di spazio di cittadinanza comune abbia ceduto il passo a quello elitario dell’austerity, e dell’ordoliberismo a tutti i costi, ed agli interessi delle imprese e dei mercati anche a costo della
sopravvivenza di uomini e donne in carne ed ossa.
Il tema centrale del rapporto Lange riguardava la cosiddetta «Investor to State Dispute Settlement» (Isds). La sua
approvazione è stata giustamente condannata dagli attivisti delle campagne internazionali contro il T-tip essendo
potenzialmente lesiva dei diritti umani, dell’ambiente e del lavoro: è infatti un meccanismo che — seppur nelle correzioni addotte come compromesso al ribasso dal gruppo socialista — subordina tuttora il «corpus» dei diritti umani alla
prevalenza degli interessi delle imprese e del mercato. Insomma con quella norma si crea uno stato di eccezione che può essere di volta in volta invocato dalle imprese per far valere i propri diritti rispetto a normative ritenute pregiudizievoli. Una progressiva erosione della sovranità e del diritto all’autodeterminazione.
A parte la casualità dettata dall’agenda e dagli eventi, esiste un filo rosso che lega il dibattito mattutino a quello
pomeridiano, ed è quello dei diritti umani. A suo tempo il relatore speciale dell’Onu sulla promozione di un ordine
internazionale equo e democratico, Alfred de Zayas puntò il dito contro la segretezza ed antidemocraticità con la quale viene negoziato il Ttip e contro la clausola Isds.
Ai primi di giugno De Zayas assieme ad altri relatori speciali dell’Alto Commissario Onu sui Diritti umani aveva
pubblicato un appello pubblico nel quale si denunciava di nuovo la mancanza di trasparenza dei negoziati, e l’impatto «negativo che questi trattati potranno avere sul godimento dei diritti umani, definiti in accordi internazionali vincolanti, che siano diritti civili, culturali, economici, politici o sociali, quali il diritto alla vita, al cibo, all’acqua, alla salute, alla casa, alla cultura, i diritti dei lavoratori». La clausola Isds inoltre è considerata «anomala» nel senso di assicurare
protezione agli investitori ma non agli stati ed alle popolazioni, «permettendo agli investitori di portare in giudizio gli stati e non viceversa» . I relatori speciali inoltre denunciano i rischi derivanti dai trattati internazionali sugli investimenti rispetto alla capacità dei paesi indebitati di poter rinegoziare il proprio debito estero.
Non a caso tra i firmatari figura anche Juan Bohoslavsky, esperto indipendente delle Nazioni unite sugli effetti del debito estero sui diritti umani, in particolare i diritti economici, sociali e culturali.
Bohoslavsky, che ha svolto missioni in Grecia ed in Islanda, sta lavorando ad una serie di dossier importanti sul debito estero, seguendo le tracce del suo predecessore che stilò le linee guida sul debito estero ed i diritti umani approvate a suo tempo dal Consiglio Onu sui diritti umani, con l’astensione dell’Italia. A quel tempo c’era il governo Monti. Tra
le raccomandazioni quella di riconoscere il diritto al default ed alla rinegoziazione del debito da parte dei governi,
qualora il pagamento del debito comportasse la violazione dei diritti umani fondamentali dei propri cittadini e cittadine.
Né più e né meno di ciò che chiede la Commissione di Audit del debito promossa dal parlamento greco nel suo rapporto preliminare pubblicato di recente. Ora Bohoslavsky, sulla scorta del caso legale che sta contrapponendo l’Argentina ed un fondo avvoltoio di proprietà di un tale Paul Singer — primo finanziatore dei repubblicani Usa e che già partecipò a processi di ristrutturazione del debito greco — sta elaborando una proposta di procedura indipendente di arbitrato sul debito che permetta a creditori e debitori di sedere al tavolo negoziale a pari diritto. E che consenta appunto di
capovolgere la piramide mettendo al centro i diritti rispetto agli imperativi della finanza.
Nel loro appello sul T-tip i relatori speciali si riferiscono poi alle norme Onu sulle imprese ed i diritti umani secondo le quali gli Stati hanno l’obbligo di assicurare il rispetto dei diritti dei propri cittadini. Dà da pensare che proprio nella stessa sede delle Nazioni unite a Ginevra di lì a poco si sarebbe discussa la proposta avanzata dall’Ecuador e da altri stati per un accordo vincolante per le imprese transnazionali ed i diritti umani.
Questa tappa del negoziato ha portato ad un importante passo in avanti verso un regime vincolante di
responsabilizzazione delle imprese multinazionali, invocato anche da dozzine di movimenti sociali di tutto il mondo attraverso l’elaborazione e la proposta di un trattato dei popoli sulle imprese multinazionali ed i diritti.
Ebbene, proprio mentre la Commissione si sta adoperando per addolcire la pillola amara dell’Isds, dall’altra decide di disertare quel consesso. Dopo aver tentato invano di contestare l’oggetto del negoziato, adducendo il pretesto — seppur legittimo — che tale trattato dovesse essere vincolante per tutte le imprese non solo quelle multinazionali, a fronte della resistenza di alcuni paesi, il rappresentante Ue decise di abbandonare la seduta. Disertare la discussione sui diritti umani e sugli obblighi delle imprese va di pari passo con la determinazione con la quale la stessa Commissione spinge sull’acceleratore del negoziato T-tip, e con la quale impone alla Grecia misure draconiane che rischiano di aggravare ulteriormente la situazione dei diritti del popolo greco.
Un segnale ulteriore della crisi dell’Europa che si compie lungo le sue frontiere, da quella atlantica, a quella del suo Sud, dal Mediterraneo, all’Ucraina.